Spazio, ultima frontiera. Il viaggio della nave stellare Nostromo è stato interrotto da un’entità aliena che ha terrorizzato e sterminato l’intera ciurma. Uno a uno, uomini e donne, sono caduti per mano di quello che gli scienziati avrebbero in seguito definito xenomorfo. Uno a uno si spegnevano gridando, ma attorno a loro vi era unicamente gelido vuoto e nello spazio nessuno poteva sentirli urlare.
L’essere era solo, ma era implacabile; si muoveva velocemente nell’oscurità, colpiva senza preavviso e senza lasciare speranza di fuga, era una macchina per uccidere che aveva saputo trasformare quell’astronave tanto familiare nel suo crudele campo di caccia. I minatori al centro della tragedia non vantavano né l’addestramento né le armi per fronteggiare una simile minaccia, tuttavia a ben poco sarebbero servite contro quel dio della morte che li osservava in silenzio e nelle cui vene scorreva un acido temibile.
Questa era l’atmosfera che, nel lontano 1979, caratterizzava l’Alien di Ridley Scott. Le situazioni di angoscia e lucida disperazione provate dai protagonisti si estendevano oltre allo schermo, riuscendo a colpire il pubblico con immagini e suoni che andassero a toccare direttamente il subconscio. Ancora oggi, nonostante l’aspetto datato, è difficile resistere all’empatia nei confronti dell’ultima sopravvissuta, Ellen Ripley, che diviene avatar dello spettatore e lo forza in un rapporto disgustosamente intimo con una creatura uscita dai peggiori incubi freudiani.
Immedesimazione e orrore, due fattori strabilianti che l’industria videoludica di allora, a causa di ovvie limitazioni tecniche, non era stata in grado di emulare, banalizzando il tutto con un plagio di pac-man o propinando intricati giochi di ruolo testuali. Sette anni dopo, la saga è passata in mano a James Cameron, il quale ha introdotto molteplici xenomorfi e ha adottato un approccio decisamente più incentrato sull’azione. Aliens, pur essendo un capolavoro nel suo genere, si allontana dalla sublime paura del suo predecessore e detta le basi del nuovo stile che avrebbe caratterizzato il brand in tutte le seguenti interpretazioni.
Le case produttrici di videogiochi hanno largamente approfittato dei poveri alieni, sfruttandone il nome per sfornare innumerevoli titoli di qualità grandemente altalenante: dallo sbilanciato Aliens Online al coinvolgente Alien VS Predator, dall’orrido Alien la clonazione al cabinato da sala giochi di Aliens.
Indispensabile menzione va fatta al recente Aliens: colonial marines edito dalla SEGA, ultimo espediente lucrativo ai limiti della truffa che ha avuto un forte impatto negativo e ha quasi convinto i fan a smettere di sponsorizzare questa epopea fantascientifica; dopo aver fomentato il popolo con video tecnici e promesse ultraterrene, gli sviluppatori hanno preferito dividere le proprie energie per concentrarsi su progetti più remunerativi, abbandonando gran parte della progettazione a un team secondario e rassegnandosi a rilasciare un prodotto scadente pur di non incorrere in pesanti multe. La comunità è insorta con cause legali e numerose critiche, ma la cosa peggiore è che la cocente delusione aveva fiaccato gli animi e aveva fatto perdere le speranze di poter, un giorno, ottenere un gioco dignitoso collegato al mondo di alien.
Fu allora che, a sorpresa, la SEGA rivelò il suo asso nella manica e annunciò Alien: Isolation, titolo in controtendenza che vuole emulare le singolari esperienze del primo lungometraggio sia per atmosfera che per trama.
Sono passati 15 anni dagli eventi della Nostromo, Amanda Ripley non si è ancora rassegnata alla scomparsa materna e, pur di recuperare informazioni che la aiutino a rintracciarla, non esita a unirsi all’ennesima spedizione della perfida ditta Weyland-Yutani. Il viaggio in sonno criogenico procede senza problemi e presto la ragazza si trova innanzi all’immensa stazione spaziale Stevastopol, una fabbrica di droidi al cui interno viene custodita la scatola nera per cui il gruppo si è mosso. L’impianto evidentemente danneggiato e l’assenza di comunicazione spingono Amanda e i suoi compagni a tentare un approccio diretto, ma l’abbordaggio viene complicato dai numerosi detriti alla deriva e la protagonista si riesce a salvare solamente al costo di separarsi dagli altri, affrontando in solitaria le cupe atmosfere di una cittadina futuristica caduta nel caos e nell’incuria; si tratta di un mondo distorto non troppo dissimile da quello della Rapture di Bioshock, un luogo che un tempo era pieno di vita e che ora è stato deturpato da paure, paranoie e follie. La giovane ragazza scopre ben presto che la presenza di un mostro ha reclamato grande parte degli abitanti e che i rimanenti siano minacciosi quanto diffidenti, pertanto non le resta che fidarsi solamente sulle sue risorse per rintracciare i suoi gregari e fuggire dall’incubo.
Sino dai primi minuti è evidente che lo staff abbia fatto accurate ricerche riguardanti la fotografia e il sonoro usati da Ridley Scott; le musiche atmosferiche e piene di tensione lasciano spesso spazio a lunghi silenzi spezzati esclusivamente da encomiabili effetti acustici, le scenografie si concentrano invece sul rappresentare la visione futuristica della fantascienza così come la si interpretava negli anni ’70, con pareti imbottite e colossali terminali invasi da fitte scritte verdi. Queste scelte progettuali si sposano magnificamente con la decisione – molto di moda nei survival horror degli ultimi anni – di adottare la prospettiva in prima persona e divengono ancor più rilevanti se si prende in considerazione l’enorme quantità di tempo che si dedicherà alle lente esplorazioni dei cunicoli abbandonati.
La grafica non è di certo delle migliori mai viste e i modelli dei personaggi tendono a essere ridicolmente coperti da uno spesso velo di sudore per giustificare l’aspetto innaturalmente lucido della loro pelle, ma gli effetti di luce e dei vapori emessi dai tubi danneggiati sono giostrati magistralmente e riescono a nascondere con eleganza le piccole imperfezioni.
Abbiamo temporeggiato abbastanza, è arrivato il momento di parlare della vera star del videogame, è arrivato il momento di parlare dell’alieno. Per la prima volta nella storia videoludica ci troviamo davanti a un vero xenomorfo, un essere “pensante” che adotta atteggiamenti credibili e le cui reazioni sono raramente prestabilite; la creatura in questione non corrisponde a banale carne da cannone da maciullare a colpi di mitragliatore, ma è un animale mosso da istinto ed esperienza, capace di adattarsi celermente a ogni stile di gioco.
L’unico modo per fronteggiare degnamente il pericolo che esso rappresenta è quello di difendersi prevenendo le sue mosse grazie alle informazioni ricavate dal celeberrimo segnalatore di movimento; questo “sonar” d’avanguardia risulta tuttavia limitato nelle funzioni e la sua incapacità nel riconoscere la posizione esatta del nemico non fa che rendere ossessivi e paranoici, portando i giocatori a controllare compulsivamente le uscite dei condotti di areazione e persuadendoli che il miglior approccio per muoversi sia lo strisciare da un nascondiglio all’altro. La natura caotica di questa programmazione è indubbiamente interessante, ma risulta essere anche un’arma a doppio taglio capace di frustrare i giocatori soliti agli stealth di stampo classico o, peggio ancora, rischia di offrire un’esperienza sbilanciata e potenzialmente sgradevole. Avendo la creatura atteggiamenti sempre diversi e strategie imprevedibili non è insolito che si finisca ripetutamente a ricaricare il salvataggio perché il nemico ha deciso di stazionare immotivatamente in punti scomodi e invalicabili o che preferisca fare un giro turistico in un’altra zona della stazione lasciando lo spettatore a vagare lentamente per i corridoi senza che succeda nulla di concreto. A tal proposito…
È innegabile che un horror debba avere una durata limitata per essere efficacie, se una formula scioccante viene ripetuta a oltranza finisce progressivamente col perdere di mordente scadendo nella banalità e annichilendo l’immersione indispensabile per godere della scarica adrenalinica. Ecco dunque che Isolation fronteggia il problema con due soluzioni parallele, fallendo miseramente in ambo i casi. La prima irritante idea consiste nel creare una serie di colpi di scena che vadano a insinuarsi nei climax drammatici in modo da destabilizzare i videogiocatori e prolungare l’esperienza di gioco; non è raro che in una storia di orrore si ricorra a questo genere di espedienti, ma in questo caso si abusa grandemente di questa possibilità, sfiorando i limiti del ridicolo nel lasciare frequentemente credere di aver raggiunto il finale solo per fare un metaforico sgambetto che vada ad annullare i progressi conquistati. Ben più grave è la strategia – già vista anche in Aliens: colonial marines – di arrivare a sostituire l’insidia aliena con altri avversari, nella speranza di spezzare un ritmo atono con una nota di varietà.
Per evitare spoiler non scenderemo nei dettagli, ma basti sapere che prima della metà dell’avventura lo xenomorfo viene messo momentaneamente da parte e l’attenzione viene spostata verso gli inquietanti robot che, per quanto siano inizialmente spaventosi, non sono stati affatto seguiti con la stessa cura riservata all’alien, né si dimostrano una minaccia altrettanto opprimente.
Non si tratta mai di una situazione esacerbante, lo ammettiamo, ma non riusciamo comunque a capacitarci del fatto che gli sviluppatori abbiano stabilito di accantonare la risorsa su cui avevano scommesso maggiormente solo per offrire qualche ora in più di svago superfluo e mediocre. In soccorso alla giocabilità di Alien: Isolation accorre la strepitosa survivor mode, la quale permette di vivere un’esperienza sintetizzata e terrorizzante nella quale il personaggio deve muoversi in spazi angusti costantemente presidiati dall’alieno, tentando di soddisfare i requisiti che gli consentiranno la fuga prima di finire impalato da una coda appuntita.
SEGA, fin troppo consapevole delle possibilità insite in questa modalità, ha furbescamente preferito rilasciare una sola mappa di gioco, riservandosi il diritto di aggiungerne altre in futuro sotto forma di contenuti scaricabili a pagamento. I prezzi specifici per ogni singolo episodio non sono ancora stati comunicati, ma prendendo in considerazione la situazione attuale è prevedibile che si aggirino sui 3.99€ l’uno; in alternativa è possibile recuperare il season pack (comprendente tutti i DLC) a 24.99€, una cifra non indifferente per delle missioni che sarebbero potute tranquillamente essere incluse nella versione basilare del videogame.
– Walter Ferri –
Alien: Isolation – Il gioco di cui Alien aveva bisogno
Isola Illyon
- Atmosfere impeccabili
- Lo xenomorfo è terrificante
- Magnifica modalità sopravvivenza
- Storia forzata
- A tratti frustrante
- Bisogna pagare per gli "extra"