“La notte s’apre sull’orlo dell’abisso. Le porte dell’inferno sono chiuse: a tuo rischio le tenti. Al tuo richiamo si desterà qualcosa per risponderti. Questo regalo lascio all’umanità: ecco le chiavi. Cerca le serrature; sii soddisfatto. Ma ascolta ciò che dice Abdul Alhazred, per primo io le ho trovate: e sono matto.”
Essere pazzi e sapere di esserlo è già una gran bella consolazione, specie se si è uno stregone che ha fatto il passo più lungo della gamba come il nostro amico arabo qua sopra. La propria sanità mentale è una cosa tutto sommato trascurabile da sacrificare in cambio della possibilità di scrivere il libro destinato a diventare uno dei più famosi del mondo, e cioè quell’insieme di osceni rituali, infami formule magiche e tremende invocazioni che va sotto il nome di Necronomicon.
Il Necronomicon, malgrado la fama planetaria, è uno pseudobiblium, ovvero un libro mai realmente esistito ma citato come fosse vero in libri realmente esistenti. Nacque dalla fervida fantasia di HP Lovecraft, che lo utilizzò come espediente narrativo in molti dei suoi racconti, immaginandolo come la summa scritta della malvagità cosmica. Un testo proibitissimo che, in mano a folli cultisti, poteva invero stravolgere completamente le leggi della natura (tipo risorgere i morti, per cominciare dalle cose modeste) invocando i Grandi Antichi. Eh sì, perché il Necronomicon non è un banale testo satanista (Satana, ai Grandi Antichi, può fare giusto da cameriere) anzi, i satanisti sono personcine particolarmente moderate in confronto ai culti che maneggerebbero il libro. I Grandi Antichi, ragazzi, sono cattivi sul serio. Anzi, nemmeno cattivi: sono esseri talmente alieni ed al di fuori dell’esperienza dell’uomo che nemmeno avvertono la presenza umana quando la distruggono, più o meno come noi non ci accorgiamo di schiacciare qualche insetto mentre camminiamo.
Ecco, il Necronomicon assume, in racconti di questo tipo, la forma di espediente letterario per aumentare la verosimiglianza degli stessi: non è tuttavia l’unico testo oscuro a fare la sua comparsa nel fittizio New England lovecraftiano. Ricordiamo per esempio gli “Unaussprechlichen Kulten” (ted. “Culti Innominabili”) di Von Juntz, il “De Vermis Mysteriis” di Ludvig Prinn (inventato da R. Bloch e ripreso da HPL), oppure i manoscritti Pnakotici (scritti prima della comparsa dell’umanità) fare capolino nei racconti del Solitario di Providence. Eppure, vuoi perché Lovecraft stesso nella sua narrativa lo ammanta di una luce particolarmente sinistra, vuoi per la mera quantità di citazioni rispetto agli altri testi, vuoi perché diventò un gioco intellettuale citarne il testo in racconti horror o fantascientifici da parte di altri autori (uno per tutti, C.A. Smith), solo il Necronomicon sfumò in quella zona leggendaria dove la finzione narrativa e il mito si trasfigurano l’una nell’altro, senza più possibilità di rilevarne i confini. Lovecraft stesso fu quasi costretto, ad un certo punto, a confessare che il Necronomicon fosse una sua invenzione quando si accorse che troppi suoi fan lo avevano preso sul serio. Ma non bastò. Dagli anni 30 ai nostri giorni il grimorio in questione si è dimostrato davvero “maledetto”, nel senso che generò un vero parapiglia tra studiosi di occultismo, esoterismo e semplici malati di mente. Ancora oggi, c’è chi giura che il libro esista veramente. Riporto qui la versione fittizia di HP Lovecraft (con tanto di bibliogenesi e storia inventate di sana pianta) e i supposti testi “autentici” che hanno fatto capolino in giro per il mondo dal dopoguerra ad oggi, in modo che ognuno di noi possa farsi un’opinione.
La finzione lovecraftiana
Il testo di magia nera più famoso ed orrendo del mondo significa, letteralmente, “La descrizione delle Leggi dei Morti (o che governano i Morti)”, dai termini greci “nekros” (cadavere), “nomos” (legge) ed “eikon” (immagine, descrizione). Lo scrisse un certo Abdul Alhazred, un poeta pazzo originario di Sana’a nello Yemen, vissuto durante il califfato Omayyade, spostatosi a Damasco nel 730 d.c.(anno in cui affrontò la prima stesura del testo), e poi morto nel 738 d.c. in circostanze misteriose. Il libro sarebbe il resoconto di certi incubi, invocazioni e visite notturne al poeta da parte di entità legate ai viaggi di Abdul nel deserto d’Arabia alla scoperta di rovine sepolte nella sabbia, rovine di civiltà esistenti molto prima della venuta del Profeta e ormai scomparse da eoni.
In effetti, Lovecraft riferisce che il titolo arabo originale, “Al Azif”, non ha corrispondenze nelle lingue occidentali e si riferirebbe al continuo rumore notturno prodotto da certi insetti nel deserto, che il folclore arabo ritiene invece l’insieme di versi e borbottii dei demoni delle dune. Anche riguardo la fine del poeta le versioni sono discordanti ma comunque terribili: una in particolare sostiene che fu aggredito e fatto a pezzi in pieno giorno in mezzo al bazaar da un’entità invisibile, davanti ad un buon numero di testimoni agghiacciati. Alhazred sosteneva di aver visto Irem, la città delle Colonne, e di aver visitato città sepolte sotto le sabbie del deserto da un’eternità, dove avrebbe letto gli annali mostruosi di una razza più antica dell’umanità. Non era più di fede musulmana, ma si era convertito all’adorazione di entità sconosciute che chiamava Yog-Sothoth e Cthulhu. La prima traduzione occidentale di cui si abbia notizia si dovrebbe a Teodoro Fileta, mistico ortodosso di Costantinopoli, che lo redasse in Greco nel 950 d.c. e gli attribuì il nome Necronomicon. Già in questa fase alcuni sperimentatori lo utilizzarono incautamente compiendo orribili nefandezze, tanto che il libro venne bandito e fatto bruciare dal patriarca Michele. Nel 1228 Olaus Wormius redasse la prima edizione in Latino sul manoscritto greco (essendo l’originale arabo andato perduto da un pezzo). In seguito sia le versioni greca che latina furono messe all’indice dalla Chiesa sotto il pontificato di Gregorio IX. Nel corso del XV e XVI secolo il libro cominciò ad essere stampato: tra le edizioni più importanti quella tedesca in caratteri gotici del XV sec. e quella italiana del 1550 basata sulla traduzione di Fileta. La prima traduzione inglese fu a cura dell’astrologo della Regina Elisabetta I, John Dee, che ne aveva trovata una copia presso una delle biblioteche dell’Imperatore Rodolfo II, noto occultista. Il fatto che via via tutte le fedi organizzate e gli ordini costituiti del pianeta lo mettessero all’indice e lo vietassero non impedì la sua diffusione, per quanto sotterranea e di contrabbando possa essere stata. Si sa per certo che i padri pellegrini lo portarono con loro, favorendone così la diffusione anche nel Nuovo Mondo.
Attualmente (e sempre nella finzione letteraria, ovviamente), un elenco delle copie conosciute comprende: una copia alla Biblioteca Centrale UCLA (Los Angeles); una copia alla Biblioteca Pio XII, Università St.Louis (Louisiana-USA); una copia nella Biblioteca Vaticana (rinchiusa in una sala sotterranea, guardata a vista); una custodita alla Bibliotéque Nationale de Paris; una alla Widener Library, Cambridge (donata dopo la morte del proprietario, imbarcatosi sul Titanic); una al British Museum, Londra (traduzione inglese di John Dee); una alla Kester Library di Salem (Massachussets-USA); una nella Zebulon-Phare Collection (privata, New York); una nella Chiesa della Saggezza Stellare, a Providence (Rhode Island-USA); una al Museo Egizio del Cairo (copia italiana, 1550, ivi portata da Napoleone); una al Field Museum, Chicago (Illinois-USA); una presso l’Università di Buenos Aires (uno studente che la consultò morì in circostanze misteriose nel 1965); una alla famigerata Miskatonic University di Arkham (Massachussets-USA). E per finire, pare che ne fosse conservato un frammento all’Università di Firenze, ma sparì in seguito all’alluvione del ’66. Tutte copie non liberamente consultabili.
I “veri” Necronomicon
Il libro inizia ad uscire dalla finzione nel 1941 quando l’antiquario newyorchese Duchesne mette nel proprio catalogo un riferimento al Necronomicon con tanto di descrizione e prezzo base d’asta (900 dollari, una bella sommetta per l’epoca). Ovviamente nessuno lo acquista e di questa copia, esistente o meno, non si saprà più nulla. Alla fine degli anni sessanta Lyon Sprague de Camp, biografo non autorizzato di Lovecraft, sostiene di aver acquistato durante un viaggio in oriente un antico manoscritto proveniente da un villaggio nel nord dell’Iraq, nella zona dell’antica Ninive: questo manoscritto viene riprodotto e pubblicato da de Camp, che sosterrà essere proprio l’esecrato tomo. Una commissione di esperti decreta che l’originale è una sequenza di segni priva di significato, che cerca di assomigliare all’antico persiano e che retrodata al diciannovesimo secolo: insomma, una truffa bella e buona. Si scoprirà in seguito che l’autore stesso ha aggiunto “strategicamente” dei particolari inquietanti all’originale per rendere il tutto più verosimile. Il tentativo di falso più famoso avvenne probabilmente nel 1972 quando un tale entrò in un negozio di occulto di dubbia fama, il “Warlock Shop” a Brooklyn, proprietà di un certo Slater. Il tale in questione, un giovanotto allampanato che si presentò come studioso di occulto di nome Simon, diede a Slater un manoscritto antico di cui sarebbe venuto rocambolescamente in possesso. Inoltre, affermò che il titolo fosse “Necronomicon”, anche se ammise candidamente di non sapere che cosa potesse significare. Slater cadde quasi dalla sedia: il libro che tutti stavano cercando era realtà, e realtà che stava per trasformarsi in un bel giro di dollaroni. Slater cede infatti il manoscritto alla Avon Press a peso d’oro, e la Avon fa lavorare le tipografie: il testo è ancora adesso nel catalogo dell’editrice statunitense. In realtà il libro non regge ad una seppur minima analisi critica; tanto per cominciare, i nomi degli Antichi sono sì citati, ma solo di striscio: il testo è una raccolta di banali formule magiche di origine sumera, nemmeno tanto originali. Inoltre, la struttura grammaticale del sumero di questo sedicente Necronomicon non ha corrispondenze con la struttura grammaticale del sumero di nessun periodo storico. E per finire, il testo è traboccante di incongruenze storiche. L’esistenza stessa del “Necronomicon di Simon” rimane un mistero, dato che la Avon Press si è sempre rifiutata di mostrare il manoscritto originale adducendo come scusa la pericolosità nel maneggiare un libro di quel tipo, capace di evocare forze sì oscure (pericolo che, curiosamente, non esisterebbe nel caso delle copie vendute dalla stessa editrice, ma tant’è).
Gli argomenti dei detrattori dell’ipotesi dell’effettiva esistenza del Necronomicon sono molti, robusti e praticamente inattaccabili. Al di là delle ipotesi più strampalate e dei particolari palesemente costruiti (come il fatto che il vero Necronomicon sarebbe rilegato in pelle umana, come la poltrona del MegaDirettoreGalattico di Fantozzi), i detrattori sostengono che basti un semplice ragionamento per dimostrare l’infondatezza dell’esistenza effettiva del libro: casualmente, tutti i “rinvenimenti” del Necronomicon sono successivi alla produzione scritta lovecraftiana, che copre il primo trentennio del secolo scorso. Se il Grimorio fosse esistito anche prima che lo scrittore di Providence ne fosse ispirato, perché non vi sarebbe traccia (anche sotto altri nomi) di un libro con quelle caratteristiche nella storia umana? Questa sarebbe la prova principe che il testo sarebbe esistito solo nell’inventiva di HPL e da nessun’altra parte.
Dobbiamo quindi rassegnarci al fatto che il Necronomicon sia solo uno pseudobiblium, anche se sicuramente uno dei più famosi? Probabilmente sì, anche se una vicenda particolare, questa volta scientifica ed archeologica, fa sorgere qualche dubbio. Negli anni settanta, venne sollevato il dubbio che il padre di Lovecraft, Winfield, noto affiliato alla Massoneria Egizia, potesse avere una copia del Necronomicon nella sua biblioteca. La Massoneria Egizia è nota per essere particolarmente rivolta verso l’occulto e per praticare ancora oggi rituali e culti della tradizione sumera. E’ vero che Lovecraft, come recita la sua biografia, praticamente non conobbe il padre, ma è altrettanto vero che si formò quasi interamente sui testi della biblioteca di quest’ultimo. Se fosse solo stato ispirato dalla lettura di testi riguardanti questi rituali, o se avesse davvero letto una specie di “Necronomicon”, non lo sapremo mai. Sta di fatto che nel 1987 Kut-al-Amara, piccolo centro agricolo dell’Iraq sud-orientale sul fiume Tigri, fu oggetto di scavo da parte di una spedizione del Centro Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia. Nel 1990, gli archeologi rinvennero, poco fuori del pomerio di Kutu (ferocemente distrutta intorno al VII secolo a.C. per ordine del re assiro Sannacherib), un tempio sotterraneo perfettamente conservato. Nel sancta sanctorum di questo tempio, che aveva la forma di uno ziqqurat rovesciato, oltre ad altro materiale di rilevante interesse archeologico, è stata rinvenuta una grande quantità di tavolette di argilla in lingua sumera. Dopo varie vicissitudini, tali tavolette, ribattezzate immediatamente come le “tavolette di Kutu” (i cui originali andarono perduti durante la Guerra del Golfo) sono state tradotte dal professor Venustiano Carranza, una delle massime autorità mondiali nel campo della assirologia (le potete trovare qui). I risultati a cui ha portato questa traduzione sono stati a dir poco sconvolgenti: dopo la celebrazione della vittoria delle divinità babilonesi (Marduk e altri), inizia un contro-poema blasfemo con invocazioni alle divinità sumere, come fosse l’estremo sberleffo ai vincitori da parte dei sacerdoti trucidati: vengono invocati Azagga (Azathoth?), Yuggsudugu (Yog-Sothoth?) e altri Antichi, con dovizia di particolari che sembrano copiati pari pari dalla mitologia di Lovecraft. Che i Grandi Antichi fossero davvero divinità adorate agli albori della civiltà, che fossero protagoniste di riti antichissimi e di grimori maledetti, e che Lovecraft ne fosse davvero venuto in contatto grazie ai testi iniziatici del padre? Non è dato saperlo, ma la connessione che lega i Miti di Chtulhu nati dalla fantasia dello scrittore alla religione e mitologia sumero-babilonese è più di un’ipotesi.
Probabilmente il Necronomicon è solo il parto di uno scrittore geniale, l’importante è l’impatto che esso ha avuto sull’immaginario contemporaneo e l’ispirazione che ha fornito a una pletora di altri creativi, soprattutto nel cinema ( I concept art di Giger, tra cui Alien; Sam Raimi con i cicli dell’Armata delle Tenebre; lo spettro sumero nel frigo dei Ghostbusters; e poi videogiochi, parodie, libri e citazioni tra le quali I Simpsons, il Dottor House, e altri). L’invenzione del Necronomicon è sfuggita dalle mani del suo creatore ed ha preso vita propria: il libro da fittizio è diventato tangibile, almeno nell’immaginario collettivo, risultando talmente verosimile e suggestivo da riuscire a filtrare nel mondo reale. Forse è stata questa, in fondo, la vera forza occulta dell’invenzione letteraria di Lovecraft.
– Luca Tersigni –