Remake e prequel hanno recentemente assunto nella mentalità comune una valenza estremamente negativa, ovvero quella di invenzioni introdotte per mascherare una scarsa fantasia da parte degli autori contemporanei. Spesso, però, ci si dimentica come questi escamotage narrativi siano radicati nel nostro retaggio culturale. Tralasciando il discorso remake, che si meriterebbe una riflessione a parte, possiamo ritrovare dei prequel letterari già nel 1200 con la saga di Artù, o passare direttamente al Novecento ripescando il famoso caso di Sir Arthur Conan Doyle che, trovatosi costretto a fare un salto nel passato del suo Sherlock Holmes per evitare di essere malmenato dalle fan, ha partorito Il mastino di Baskervilles, uno dei suoi lavori più celebri e apprezzati. Anche il mondo cinematografico ha dimostrato delle eccellenze in merito: Il pianeta delle scimmie coi suoi sequel o il secondo film di Indiana Jones – ebbene sì, Il Tempio Maledetto è ambientato precedentemente a I Predatori dell’Arca Perduta – si sono dimostrate pellicole di grande intrattenimento, guadagnandosi il loro posto sia nel cuore di ogni cinefilo, che nella cultura pop dell’epoca. Avendo le prove empiriche dell’esistenza di antefatti di qualità, cerchiamo ora di capire in che punto della storia si è manifestata la svolta che ha condannato per sempre questa terminologia.
1999. Dopo decadi di trepidazione i fan di tutto il mondo si sono riuniti nei templi di culto conosciuti come “cinema” per celebrare il ritorno di guerrieri Sith e combattenti Jedi, nello specifico assistendo alla proiezione di Star Wars Episodio I: La minaccia fantasma. Si tratta di un esperimento senza precedenti, un sequel che intende sondare il passato di personaggi consolidati e amati, incidendo significativamente sulla loro vita e sul loro mito. Il progetto è tanto audace da stabilire sin da subito la necessità di una trilogia intera, rivelandosi un’opera mastodontica e importante al punto da spingere i media a rispolverare un neologismo degli anni ’50 – la parola “prequel” – per riuscire a definire adeguatamente questo approccio tanto inusuale. Come sappiamo, i film si sono dimostrati quantomeno mediocri per colpa di testi puerili, rappresentazioni razziste dei personaggi, e molteplici discrepanze con il materiale originale; nonostante tutto, questi film hanno sbancato i botteghini, provando ai produttori cinematografici che il modo migliore per fare soldi sia vendere l’anima di saghe amate, con la consapevolezza che i fanatici e i nostalgici saranno sempre disposti a finanziare i loro beniamini indifferentemente della qualità del prodotto.
Sono passati 15 anni e oramai il mercato cinematografico/videoludico ha raggiunto l’apice di questo sfruttamento, arrivando a prendere in considerazione eventuali nuove produzioni esclusivamente qualora sia possibile tramutarle in brand rigorosamente seriali, accumulando ben 129 sequel nei progetti futuri o spremendo le storie fino a dare alla luce dei prequel dei prequel dei sequel dei remake di film classici che hanno fatto la storia del cinema. In questo mondo di abusi delle licenze, gli antefatti sono spesso quelli che si accattivano le critiche più velenose, poiché, inibita loro la possibilità di progredire la trama verso confini ignoti, tendono a non riuscire a nascondere le proprie mancanze se non dietro a effetti speciali opulenti (e le belle esplosioni iniziano a saturarci da che Michael Bay è divenuto famoso). Solitamente il cinema, infatti, sfrutta diversi trucchi ed espedienti al limite dell’illusionismo che, se ben strutturati, non vengono percepiti dallo spettatore neppure dopo anni di continue visioni; primo fra questi è il colpo di scena, capace di sorprendere e destabilizzare, anche quando non particolarmente coerente con la trama globale, a patto che segua l’ordine cronologico degli eventi. La nostra mente, addestrata e strumentalizzata negli anni, riesce a ignorare i paradossi qualora sia anestetizzata dalla consolatoria sicurezza di una vicenda a senso unico, ma nel caso di flusso alterato siamo obbligati a sforzare maggiore la nostra attenzione e manifestare un minimo pensiero, cogliendo con facilità le debolezze di una trama.
Essendo consapevoli sin dall’inizio che Darth Vader è il padre di Luke, per esempio, ci risulta arduo accettare che quest’ultimo sia riuscito a mantenere un profilo basso conservando il celebre cognome paterno (nonostante fosse stato adottato dalla famiglia Lars) o vivendo nella residenza familiare tanto conosciuta dal suo genitore. Per scrivere un antefatto degno di considerazione, pertanto, diviene indispensabile vantare un grande talento ed essere capaci di partorire storie senza fare necessario affidamento a questi escamotage collaudati, magari giocando con lo spettatore, intrappolandolo in una serie di inganni o creando situazioni in cui le sue nozioni siano irrilevanti allo sviluppo dell’intreccio. George Lucas non brilla certo per le sue capacità nello scrivere, ed è anzi riuscito a commettere quasi tutti gli errori da evitare a ogni costo.
Un prequel raramente riesce a mantenere la suspense – Sapendo già come evolverà la storia, si è perfettamente consapevoli di chi, alla fine del film, sarà stato capace di preservare la propria pellaccia e a chi toccherà mangiare la polvere. Non solo, ma si vanta la conoscenza pregressa di eventuali svolte che altrimenti sarebbero inaspettate (quali tradimenti o conquiste di potere), vanificando le sorprese più sostanziose. Se non siete convinti che questo basti a intaccare la godibilità del racconto, vi invito a ricordare quella volta che, non potendo assistere a un programma in diretta, avete registrato la puntata/partita di calcio pregando che a nessuno venisse in mente di rivelarvene alcun dettaglio, magari arrivando al punto di isolarvi dalle persone e dalla Rete per fuggire da ogni possibile spoiler. Ovviamente, come detto poc’anzi, un bravo scrittore è in grado di sfruttare questa situazione a suo vantaggio, schernendo la persona davanti allo schermo con un po’ di arguzia (Grand Budapest Hotel dimostra magnificamente come gestire personaggi condannati a morte certa), ma il talento costa uno sforzo aggiuntivo, del tempo prezioso e un budget maggiore. I produttori non hanno troppo desiderio di concedere alcuno di questi tre fattori, forti del fatto di riuscire a spremere denaro anche da personaggi capaci solo di canzonare minoranze etniche a caso, rappresentandole nel modo più offensivo possibile.
Un prequel ci rivela dettagli che non vorremmo veramente sapere – La trilogia originale di Star Wars non è mai stata fantascientifica! Si trattava di un fantasy fiabesco ambientato in un universo sci-fi abitato da maghi, samurai, pistoleri e cacciatori di taglie – persino i titoli di testa sono introdotti dalla classica formula “tanto tempo fa”. Il risultato era perfetto, ma come un goffo mago spiega i propri trucchi al bimbo petulante che esige di sapere da dove viene il coniglio uscito dal cilindro, Lucas non è stato in grado di censurarsi e, peccando di un entusiasmo quasi puerile, ha voluto esplicitare ogni dettaglio del retroscena, obbligandoci a subire la sua versione dei fatti. Mentre un tempo si poteva fantasticare liberamente sui misteri leggendari che abbracciavano la saga, ora sappiamo che la magia è strettamente legata a parassiti, che un temibile robot della morte è stato un adolescente lagnoso e viziato o che la vicenda fatata ha origine da un complotto mercantile atto a sovvertire l’ordine costituzionale del senato tramite un voto di sfiducia nei confronti del suo cancelliere.
I personaggi sono meno interessanti o perdono completamente di senso – Anni fa avevo un giocattolo del Megazord – il noto robottone dei Power Rangers – estremamente limitato rispetto agli altri modelli sul mercato. Sebbene la controparte del telefilm e gli altri balocchi vedessero il suddetto droide smontarsi per trasformarsi in diverse creature preistoriche, al mio era possibile solo staccare le gambe. Non si trasformavano in niente, erano semplici moncherini colorati amputati da un corpo di plastica che ora risultava imperfetto. Perché ne faccio menzione? Prima di tutto per sfogarmi di un grave trauma infantile, ma anche per illustrare come una brutta copia di ciò che amiamo possa lasciarci profondamente delusi. Nei prequel assistiamo alle vicende delle versioni giovanili degli eroi conosciuti e, come tali, non sono che delle rappresentazioni parziali e acerbe, mancanti delle esperienze e delle caratteristiche necessarie per definirsi sviluppate. Abbiamo già menzionato la perdita di incisività patita da Darth Vader – a pensarci bene il paragone del robot privo di arti funziona su diversi piani, ma possiamo anche rievocare la delusione nello scoprire che Hannibal/Mike Mayers debbano la loro sete di sangue ad abusi subiti in tenera età, o l’amarezza nell’essere istruiti sul fatto che gli xenomorfi di Alien non siano altro che animaletti allevati in cattività per offrire una versione hardcore della caccia alla volpe. Una versione aggravata di questa complicazione può sfociare addirittura nel descrivere personaggi che, globalmente, paiono patire severi disturbi di personalità dissociata. Lo Yoda giovane, esempio per eccellenza, si ritrova grossolanamente forzato ad abbandonare uno scontro determinante per il destino della galassia solo per riconnettersi alla versione incontrata nei vecchi film, tramutandosi improvvisamente da serissimo spadaccino piroettante a pupazzo Muppet dallo humor terribile.
Gli umani sono capaci di evolvere e imparare dai propri errori, ma i grandi produttori cedono fin troppo facilmente alla tentazione dei soldi facili, approfittando dei nostri sentimenti e della nostra pazienza. Non ci resta che affinare il nostro spirito critico e, piuttosto che lamentarci di quanto la parola “prequel” sia sinonimo di squallore – cosa che abbiamo visto non essere vera –, risalire alla sorgente del problema e iniziare a selezionare con cura i prodotti che andiamo effettivamente a finanziare. Per quanto riguarda Star Wars, perlomeno, possiamo tirare un sospiro di sollievo, rassicurati dalla consapevolezza che George Lucas non si occuperà dei testi del nuovi film, anche se c’è da temere che possa andare a molestare i grandi registi per rovinare anche le loro opere.
-Walter Ferri-