Diciamolo chiaramente: chi non ha mai sognato di “tifentare patrone ti monto”, almeno digitalmente? Eppure, a parte pochissimi esperimenti, nessuna software house ha mai avuto il coraggio (specie nello scintillante mondo dei Classic RPG) di tentare siffatta strada. Tutti belli, bravi, virtuosi, altruisti (con qualche timida variazione sul tema), che anche involontariamente e/o come effetto collaterale finiscono per fare del bene. Eccheppalle. Per fortuna i luoghi comuni sono fatti per essere sfatati: e infatti ci pensa Obsidian, con questo attesissimo Tyranny, a farci vestire la lugubre casacca del Male. I creatori dell’acclamatissimo Pillars of Eternity (qui la nostra recensione) ci hanno preparato un simpatico mondo, Terratus, nel quale quasi tutte le terre emerse sono ormai sotto il controllo del cattiverrimo e loschissimo Kyros, Signore Oscuro di turno e potentissimo stregone autoproclamatosi Overlord. Lo so, già pregustate la possibilità di far diventare i vostri capricci legge per tutto il pianeta: e invece no, perché qui giocherete nei panni del Fatebinder, una specie di Judge Dredd fantasy incaricato di sorvegliare le mosse degli infami servitori di Kyros e di raddrizzarne con le buone o (più spesso) le cattive le relative intemperanze. Pur importanti, si rimane solo un ingranaggio della opprimente macchina da conquista: ed è appunto in una di queste situazioni, in una provincia nella quale divampa la ribellione, che prende piede la nostra avventura, inviati dall’Overlord a pacificare la regione e porre fine ai falsi protagonismi e all’inettitudine dei suoi comandanti.
IL LATO OSCURO HA I BISCOTTI
Che Tyranny non sia il solito CRPG a livello di sceneggiatura e di struttura narrativa risulta chiaro fin dalla creazione del personaggio: accanto alle usuali opzioni riguardanti le statistiche e l’estetica del nostro alter ego, ecco comparire il percorso Conquest. Si tratta di decidere, tramite l’utilizzo di una fantastica mappa animata e interattiva, il ruolo e gli eventi che ci hanno visto protagonisti della prima conquista al fianco degli sgherri di Kyros – e quindi non solo i rapporti più o meno buoni con le varie fazioni, ma per certi versi anche le location di gioco vere e proprie. Se in questa fase ordiniamo l’incendio di un villaggio riottoso per dare l’esempio, a partita in corso la relativa location sarà scomparsa, e con lei parte della trama e tutte le relative quest. Se invece optiamo per giustiziare alcuni abitanti a casaccio risparmiando il villaggio, questo sarà bello che intatto ad attenderci in gioco, e avremo pure convinto qualcuno della pietà (si fa per dire) degli eserciti dell’Oscuro (ma magari a qualcun altro sarà venuto in mente di riprovarci…).
Ma non finisce qui, perché il meccanismo si replica durante la partita: ogni azione, ogni decisione e ogni dialogo influenzano per davvero le vicende successive, a partire dai rapporti con le varie fazioni e addirittura con i singoli personaggi. Non solo a livello di trama e di narrazione, ma anche di bonus e abilità (come gli attacchi speciali in tandem con gli altri membri del party), e quindi di gameplay – se il nostro rapporto con un dato membro o fazione è improntato alla fiducia, avremo diritto a una data abilità; se è basato sulla paura e la diffidenza, ne avremo una completamente diversa. Inutile dire che spesso, in gioco, ho ceduto alla tentazione di caricare un salvataggio precedente solo per prendere una decisione diversa e vederne gli sviluppi. Ebbene, specie in coincidenza di circostanze strategiche, la storia prende effettivamente strade molto diverse, il che porta dritti a una rigiocabilità totale e a una longevità infinita: l’appellativo di Fatebinder assume davvero significato sia in game che fuori, perché ogni run è diversa dalle altre sotto tutti i punti di vista. Il Fatebinder è l’artefice non solo del proprio Fato e di quello di Tarratus, ma anche della singola partita che va ogni volta a interpretare.
Ovviamente per impostare una struttura simile ci vogliono due palle così e grandi doti di scrittura, ma Obsidian è una garanzia sotto questo punto di vista: i dialoghi sono meravigliosi (a ogni scambio di battute – letteralmente – ci sono delle conseguenze), e la storia è adulta e piena di interrogativi etici. La scelta è feroce, sempre in bilico tra diverse facce del male (inteso come mancanza totale di libertà e dominio assoluto), e il massimo del Bene che si può esercitare ci può portare a essere appena più decenti degli altri tirapiedi.
CHI SIETE? DOVE ANDATE? UN FIORINO!
Obsidian va invece sul sicuro nell’ambito del comparto tecnico, risfoderando appieno lo Unity Engine già apprezzato in Pillars of Eternity, mentre gli artwork squadrati ed essenziali e i concept isometrici austeri contribuiscono all’atmosfera generale. Il motore gira ormai fluido come un cavallo di razza anche su macchine non particolarmente performanti, mentre lo stesso non si può dire dei tempi di caricamento tra location, inaccettabili anche su PC di fascia medio-alta. Il gameplay è il classicissimo a turni in tempo reale che conosciamo dall’epoca di Baldur’s Gate, con i tempi di cooldown per le abilità speciali abbastanza lunghi, il che rende i combattimenti un pelo più tattici: in ogni caso la solidità del sistema e dell’interfaccia mai come in questo titolo passano in secondo piano rispetto alla complessità della narrazione.
–Luca Tersigni–
Tyranny: la recensione
Luca Tersigni
- Grande solidità nel gameplay e nel motore di gioco;
- Forse per la prima volta viene introdotta una campagna a struttura aperta in un RPG digitale;
- La caratterizzazione dei personaggi, la qualità generale della scrittura, e lo stile della narrazione toccano livelli altissimi;
- I tempi di caricamento sono biblici;
- Manca la localizzazione italiana;