DISCLAIMER: l’articolo contiene spoiler provenienti da Infinity Blade II, oltre che da tutti i precedenti giochi e racconti dell’Universo di Infinity Blade. Addentratevi a vostro rischio e pericolo.
“Hell take me”, “L’Inferno mi prenda”. Un’esclamazione diffusissima tra il popolino di Lantimor, la terra governata dal Re Dio. Una via di mezzo fra un’imprecazione e una preghiera: poter morire, poter abbracciare l’Inferno, significa non essere un Immortale. Significa essere umani, con tutto ciò che questo comporta. Per Siris imprecare così è una vecchia abitudine dura a morire: l’Inferno infatti lo ha già risputato fuori un’infinità di volte.
Nell’Universo di Infinity Blade anche i nomi hanno un significato. Siris e Ausar, le due identità che coabitano dentro al Campione, rimandano al dio egizio Osiride e alla sua mitologia, allo smembramento rituale inflittogli dal fratello Seth, alla ricomposizione del macabro puzzle ad opera di Iside – e tra Iside e Isa, considerato che è questa a condurre Siris/Ausar alla resurrezione e alla vera e propria presa di coscienza, sembra esserci davvero una discreta vicinanza a livello di funzione narrativa.
Nell’articolo precedente abbiamo lasciato Siris all’ingresso del castello di Saranthia, ambientazione che coincide con quella del secondo videogame della serie (non ci avete ancora giocato? Correte qui: ormai è gratis!).
In Infinity Blade II il gameplay appare fin da subito rinnovato, reso più vasto, vario e accattivante. La grafica risulta sicuramente impressionante per un gioco che gira su dispositivi iOS, ma il prezzo da pagare è una scarsa libertà nella gestione della telecamera, invero limitatissima – e talvolta limitante. La quantità e la varietà di armi e armature aumentano a dismisura rispetto al capitolo precedente. Il castello alterna dungeons ad ampi cortili, torri e arene, e offre diversi pattern – tre quelli principali, ciascuno culminante in un confronto serrato con uno dei Guardiani schierati a difesa della prigione dell’Artigiano dei Segreti. Inoltre, al di là dei soliti scrigni da aprire, il nuovo castello è costellato di piccoli indovinelli da sbloccare, di oggetti nascosti da cercare, di boss piuttosto impegnativi da eliminare e di oggetti magici disseminati da ricomporre.
Non mancano gli easter egg, vere e proprie chicche per nerd di ogni estrazione: dall’elmo a forma di tacchino per celebrare il Giorno del Ringraziamento ad armi e armature dai nomi caratteristici, passando per vere e proprie spade laser (!), chiamate in maniera un po’ criptica Solar Trans Weapons, ma immediatamente riconoscibili dal design e basate, proprio come quelle dell’Universo di Star Wars, su dei cristalli di diverso colore. Solo con una di queste in mano è possibile – ma anche consigliabile – affrontare Ryth, più che un nemico un avversario, un Immortale armato di spada laser che, dopo essere sbarcato da una piccola astronave in quello che, a ben vedere, altro non è se non un hangar, affronta il nostro Campione sperando di trovare uno spadaccino degno di misurarsi con lui. Poiché si tratta, verosimilmente, del boss più forte del’intero gioco, solo i giocatori di livello più alto avranno il dubbio privilegio di incrociare le lame con questo enigmatico rivale; d’altronde, il costo delle Solar Trans Weapons è talmente alto che solo dopo qualche decina di Rinascite sarà possibile munirsi di una propria spada laser per sfidare Ryth a duello!
Nel castello di Saranthia, una spada conficcata in un ceppo è più di quel che sembra: il tentativo di Siris di proporsi come novello Artù termina quando il ceppo si rivela la spalla di un gigante inferocito, pronto a rovesciare sul minuscolo avatar del giocatore tutte le tonnellate della sua clava. Anche cercare di scoperchiare una tomba può essere pericoloso: il cadavere che stringe tra le mani lo scudo si trasforma in un demone armato di bastone, poco propenso a lasciar andare l’artefatto, e solo armi e armature sempre più potenti consentiranno al giocatore di avere la meglio su queste minacce inattese. C’è un senso di meraviglia magica, a tratti quasi infantile, altre volte decisamente matura, oscura e angosciante.
Pezzo dopo pezzo si ricostruisce l’Armatura del Vile, appartenuta alla precedente incarnazione di Siris: Ausar il Vile, appunto. In quella che è una vera e propria discesa agli inferi, Siris scopre di essere l’ex proprietario del castello di Saranthia; apprende di essere stato un signore della guerra temuto e rispettato, fino alla morte inflittagli da Raidriar nella battaglia delle Piane di Koroth; nelle cripte, dalle quali TEL cerca di tenerlo lontano, una sua statua riporta alla mente gli orrori dell’uccisione della propria moglie. Anche i giocatori più attenti, che non abbiano “frequentato” i libri, possono capire cosa fosse Ausar… e cosa possa tornare ad essere, dando ascolto al proprio Sé Oscuro.
Combattimento dopo combattimento, morte dopo morte, Siris spezza i sigilli della Cripta delle Lacrime. Per farlo non deve passare solo sui cadaveri dei diversi guardiani schierati dal Grande Patto fra gli Immortali, che si prefigge – appunto – il compito di tenere l’Artigiano dei Segreti rinchiuso nella prigione in cui è confinato da ormai mille anni; deve passare anche sul proprio. Spezzare un sigillo, infatti, equivale ad essere attraversati da una potentissima scarica elettrica e/o di magia (ma da quanto scritto negli articoli precedenti, mi pare evidente che nell’Universo di Infinity Blade le due cose possano tranquillamente coincidere) e morire tra atroci sofferenze. Certo è un problema di poco conto per un Immortale come Siris/Ausar, con l’aiuto del piccolo ma fedele TEL, il golem/robot che si incarica di recuperare il cadavere del proprio padrone, di condurlo fino alla Camera di Resurrezione e di dare così il via ad una nuova Rinascita (Rebirth, che sostituisce il concetto di Bloodline del primo videogioco). C’è un parallelo – voluto e cercato – piuttosto sensibile nelle promesse che, ad ogni (nuovo) inizio del gioco, il Campione scandisce con tono deciso; se in Infinity Blade il proposito era quello di vendicare il padre, in Infinity Blade II la frase di apertura è: “Artigiano, io ti libererò” (“Worker, I will free you”). Come mette in risalto il racconto di Brandon Sanderson che fa da ponte fra la prima e la seconda installazione videoludica, Infinity Blade: Awakening, il Campione non è più un automa che vive al solo fine di sfidare in singolar tenzone il Re Dio; è un uomo libero, in grado di scegliere la direzione della propria vita, il proprio scopo. E Siris ha appunto scelto di liberare l’Artigiano.
Dopo aver nuovamente sconfitto (per la seconda volta, o per l’ennesima se si è concluso il gioco e lo si è ricominciato…) Thane, Alto Lord della Casata Ix, Siris ha finalmente accesso alla prigione della Cripta delle Lacrime. Dalla torre più alta, una sorta di montacarichi conduce il Campione al cospetto dell’Artigiano dei Segreti, che – apparentemente – elimina definitivamente il Guardiano disgregando il suo Q.I.P. (Quantum Identity Pattern, Tracciato di Identità Quantistica); dopo il breve combattimento l’Artigiano riconosce immediatamente Ausar e lo chiama amico e alleato. Spiega tuttavia di non poter lasciare la prigione a causa di alcuni sigilli magici che gli impediscono di allontanarsi e che solo l’Infinity Blade può spezzare; inoltre è necessario che un altro Immortale sia imprigionato nella Cripta delle Lacrime in sua vece, e chi meglio di Raidriar, l’attuale possessore della spada? Sentendo di essere vicinissimo alla meta Siris lascia Saranthia e torna alla dimora di Saydhi, dove sfida Raidriar e i suoi tirapiedi. Nel duello con il Re Dio, che non perde l’occasione di ricordarci quanto il nostro amato (?) Ausar sia sempre stato un vigliacco intrigante, Siris riesce a disarmare Raidriar e a prenderlo prigioniero.
Ora Siris è riuscito a fare per due volte ciò che a nessuno è mai riuscito: sconfiggere il Re Dio in duello. La prima volta l’ha ucciso, questa volta l’ha tramortito e lo ha fatto prigioniero per i suoi scopi. Lo porterà con sé, libererà l’Artigiano dei Segreti, sconfiggerà per sempre gli Immortali e libererà l’Umanità. Tutto è pronto per il gran finale. Il Campione si cala nuovamente nell’oscurità della Cripta delle Lacrime, Infinity Blade in pugno. Getta Raidriar per terra, chiama a sé l’Artigiano dei Segreti. E mentre il “montacarichi” risale, nella più assoluta impotenza del giocatore allibito ecco che Ausar, il maestro dei tradimenti – Siris, l’ingenuo ragazzo di Drem’s Maw che il destino ha chiamato a un’impresa più grande di lui, viene tradito. Tradito da quell’Artigiano dei Segreti che aveva giurato di liberare. Spingendolo giù dalla pedana, l’Artigiano rivela di essere stato imprigionato lì, per mille anni, proprio da Ausar il Vile, e ripaga Siris con la stessa moneta, sigillandolo nella Cripta delle Lacrime insieme al suo più acerrimo nemico, il Re Dio, che sta giusto riprendendo i sensi…
La storia di Siris sembra arrestarsi in un vicolo cieco. Davvero possiamo pensare che non accada nient’altro? Il gioco si chiude con una breve scena inserita dopo i titoli di coda, in cui riconosciamo la ladra straniera Isa, armata di un lungo bastone da combattimento, comparire sul promontorio prospiciente al castello di Saranthia e promettere, a sua volta: “Siris, I will free you“.
La promessa verrà mantenuta? Che ne sarà di Siris e di Raidriar? Lo scopriremo nel prossimo articolo! Vi aspetto!
– Stefano Marras –