Da pochi giorni è nelle sale Noah, apocalittica rivisitazione in chiave fantasy della storia dell’Arca di Noè, con protagonista Russel Crowe: ecco il nostro verdetto!
Se vi dicessi che la storia dei tre porcellini dovesse diventare un kolossal, cosa pensereste? Abbiamo assistito a rivisitazioni il più delle volte disastrose di favole celebri (Hansel e Gretel, Biancaneve e i Sette Nani, Jack e il fagiolo magico… giusto per citarne alcuni), che gli sceneggiatori hanno tentato di riscrivere sotto una chiave diversa, più moderna.
Quando poi la storia sulla quale si vuole lavorare è tratta dalla Genesi della Bibbia, si è costretti ad andarci con i piedi di piombo, perché si sa che il rischio di linciaggio da parte degli eserciti della Chiesa è altissimo. Darren Aronofsky, il regista, ateo e con radici ebraiche, ha deciso però di attraversare l’altro sentiero, quello più lontano dal campo minato, e prendere semplicemente il racconto dell’Arca di Noè trasformandolo in una grande produzione hollywoodiana. Perché questo è Noah: non siamo di fronte ad un’analisi Gibsoniana di un testo sacro, ma ad una rivisitazione di una storia scritta su un libro vecchio millemila anni.
La trama è proprio quella che ci hanno raccontato quando eravamo piccoli: Noè è il prescelto dal Creatore per eseguire le sue volontà. Il suo compito è quello di costruire un’arca capace di contenere due esemplari di tutte le specie animali, che devono essere messe in salvo dall’arrivo di un diluvio che sommergerà tutte le terre emerse per lungo tempo. La sfida più grande per Noè, però, sarà quella che lo porterà ad affrontare un conflitto che lo metterà contro la sua famiglia e contro se stesso.
Chi ha letto la Bibbia, o anche per sentito dire, sa che il testo sacro è pieno di creature fantastiche che non hanno nulla da invidiare ad un qualsiasi capitolo de Il Signore degli Anelli (che, poi, è un po’ la “nostra” Bibbia). L’opera non fa nulla per cercare di allontanare quello spirito fantasy ed un po’ epico: ecco quindi che gli Angeli Caduti si trasformano in golem pronti ad aiutare l’uomo, e nelle foreste più nascoste i discendenti di Caino forgiano armi per prepararsi ad una battaglia la quale vittoria sancirà la salvezza dal diluvio.
Le premesse per un grande film, quindi, c’erano. E allora perché questo lungometraggio fa un mezzo buco nell’acqua? Ciò che io personalmente ho percepito dopo le circa due ore di film è che molte delle situazione proposte dal regista finiscano col non risolversi o col farlo in maniera superficiale, come se avesse voluto provare ad accontentare un pubblico molto vasto senza però soffermarsi a sufficienza sugli eventi e sui caratteri dei personaggi. Si è tentato, forse, di spingere molto l’acceleratore sul lato artistico, con inquadrature mozzafiato, simil-time lapse, silhouette e un massiccio utilizzo della CG (che, per carità, fa diligentemente il suo sporco lavoro), con un’impronta ecologista forse troppo marcata – pensate che Aronofsky ha vietato addirittura le bottigliette di plastica sul set, e non ha voluto utilizzare animali in carne e ossa per le riprese. Il risultato è che la prima metà del film annoia abbastanza, e solo nel secondo tempo si riprende a sufficienza da mantenere attento lo spettatore. Russel Crowe è un discreto Noè, forse un po’ troppo atletico, e che alla fine di tutto dimostra debolezze più di spirito, che di corpo. A lui si affiancano la moglie, interpretata da Jennifer Connelly (a mio avviso bravissima, e senza la quale sicuramente il nostro gladiatore non sarebbe riuscito a trascinare buona parte degli spettatori svegli fino alla fine), e i figli, tra i quali Emma Watson, che a me come attrice non dispiace (poi è Hermione, ed è quindi fantasy) e Logan Lerman, che interpreta il secondogenito Cam, forse uno dei personaggi peggiori che un film possa sperare di avere (“il tuo amore per la fica, ti ha rallentato il cervello” [cit.]). A dare quel pizzico di magia che serve c’è, per fortuna, il prezzemoloso (nel senso che lo si trova un po’ ovunque ormai) Anthony Hopkins.
Insomma, con qualche dialogo noioso (e qualche assolutismo) in meno, una caratterizzazione un po’ più raffinata dei personaggi e una serie di scelte più solide al livello mitologico, sarei potuto uscire maggiormente soddisfatto dal cinema. Quello che ci ritroviamo non è un prodotto brutto, ma che sembra non volersi sforzare più di tanto nel tentare di non essere giudicato tale. Voi l’avete visto? Siete d’accordo?
– Mario Ferrentino –