Il ritorno (forse il titolo del film è anche autobiografico?) del regista spagnolo Alejandro Amenábar al genere che lo ha caratterizzato di più (uno per tutti, “The Others”), il thriller/horror parapsicologico, coincide con questo “Regression”, produzione con protagonisti Ethan Hawke ed Emma Watson. Il titolo fa riferimento ad una controversa tecnica di ipnosi che consentirebbe alla “vittima” di ricordare situazioni e dettagli vissuti in prima persona che non si riescono a ricordare coscientemente a causa di meccanismi di rimozione e difesa. Il tutto applicato al periodo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, nei quali una sonnacchiosa provincia americana fu percorsa da un’esplosione di panico riguardante il presunto proliferare di culti satanici e oscuri rituali esoterici diffusisi a diversi livelli nella società (e la cui eco arrivò anche in Italia). Insomma, un mix decisamente interessante nel quale andare a ficcare il nostro naso cinefilo di Isolani.
SINOSSI
In una piccola cittadina del Minnesota il detective Bruce Kenner chiede l’aiuto di un eminente psicologo, il professor Raines, per scavare a fondo nell’inconscio di John Gray, meccanico apparentemente mite e timorato di Dio, accusato di pesanti molestie sessuali e abusi sulla figlia Angela, nel frattempo riparata in chiesa sotto l’ala protettiva del pastore locale. Il professore pratica a Gray la tecnica della regressione ipnotica, capace di far riemergere vissuti e situazioni particolarmente sconvolgenti che il paziente si dimentica per un meccanismo difensivo di rimozione inconscia. Ma la regressione porta alla luce risvolti ancora più inquietanti riguardanti sette sataniche, rituali osceni e ombre di possessioni demoniache capaci di diffondere a macchia d’olio isterismi, sospetti, doppi giochi, segreti inconfessabili e l’ombra di un male di origine ultraterrena, fino a lambire lo stesso Kenner e a fargli dubitare di chiunque, perfino di se stesso…..
SYMPATHY FOR THE DEVIL
Come cantavano i Rolling Stones, ad un certo punto la simpatia dello spettatore va dritta dritta a coda, zoccoli, corna e forcone del Signore delle Tenebre. Eh già, perché il difetto principale del film (e così ci togliamo subito il dente) è che mette troppa carne al fuoco, tanto che alla fine si tifa per un intervento diretto di Lucifero che dipani la matassa: psicologie contorte, oscuri segreti innominabili della provincia americana alla Twin Peaks (anzi, alla Stephen King), psicosi di massa, thriller introspettivo, sogno confuso con la realtà, scienza contro superstizione, poliziesco di inchiesta… nel calderone di Amenabàr finisce di tutto. Il regista è sempre in bilico tra detective story, horror psicologico, thriller complottistico e horror soprannaturale, e purtroppo, nel tentativo di tenere tutto insieme, sceglie di non far imboccare alla pellicola in modo deciso nessuna di queste strade. Risultato: ad un certo punto tutto risulta costruito e artificioso e lo spettatore scende dal carrozzone, attendendo il finale giusto per amore di trama poliziesca, ma emotivamente avulso dal dramma e dai suoi protagonisti.
E così si vanifica parzialmente quanto di buono può offrire “Regression”, come per esempio la accurata e verosimile ricostruzione della provincia americana alla fine della sbornia edonistica del Reaganismo, che però non basta da sola a reggere la baracca; oppure l’interessante diatriba tra il pastore della comunità e il professor Raines, entrambi prigionieri di opposti ma in ultima analisi ciechi dogmatismi (il dogmatismo religioso contro quello scientifico); o ancora la prova tutto sommato più che sufficiente del cast. Ethan Hawke risulta convincente nella parte del detective sempre sospeso tra distacco professionale e coinvolgimento emotivo verso i protagonisti dell’indagine e verso la cittadina di cui è originario. David Thewlis tratteggia un accademico ciecamente convinto del primato della Scienza psicologica, fino ad attribuirle caratteri di un’infallibilità che invece è lungi dall’avere. David Dencik dà vita ad un disturbato mentale complesso, allo stesso tempo mite ed inquietante. Dale Dickey, già nota attrice di serie tv (My name is Earl, Breaking Bad, Ugly Betty, True Blood) interpreta una nonna del profondo midwest davvero ambigua e disturbante. Unica nota fuori dal coro è Emma Watson: fuori parte, telefonata fin dall’inizio (ma qui la colpa è anche della sceneggiatura) e assolutamente incapace di trasmettere il minimo pathos anche nella parte finale, durante la quale si risolve gran parte del suo personaggio.
Amenabàr conduce tutto con sicuro mestiere, ma niente di più: anche l’impianto da film sottilmente “de paura” è insolitamente classico e prevedibile per uno che ci ha abituato a scelte registiche ardite e ribaltamenti narrativi audaci. Insomma, pensavo che il tema musicale in crescendo che parte un quarto d’ora prima per sottolineare il colpo di scena non fosse più una tecnica presentabile a un pubblico al di sopra dei sette anni, ma forse il buon Alejandro deve riprendere un po’ la mano col genere. Il film, tutto sommato, scorre comunque via senza particolari intoppi se non questa generale sensazione di vaghezza ed incompiutezza – ma è una sensazione non secondaria, se ci si alza dalla poltrona del cinema con il seguente fastidioso quesito che aleggia nell’aria: “E quindi?”.
– Luca Tersigni –
- La ricostruzione della provincia americana del periodo;
- La tensione sapientemente dosata per la prima parte del film;
- La riflessione riguardo le dinamiche inconsce delle comunità umane;
- La recitazione di Emma Watson;
- Alcune scelte di sceneggiatura;
- La poca sicurezza del regista riguardo l'identità da dare al film;
- La generale mancanza di coinvolgimento dello spettatore;
"Regression" è un film discreto: discretamente ben diretto, discretamente recitato, che non annoia ma che non riesce nemmeno a coinvolgere fino in fondo. Ci sarebbero anche degli spunti di riflessione non banali, per esempio il meccanismo di innesco di certe psicosi di massa durante le quali paranoie e voci di corridoio vengono accettate senza verifica, complici i media, come fatti inoppugnabili da un'intera comunità fino ad influenzare addirittura l'inconscio dei singoli individui (e mai come in questo periodo ci sarebbe bisogno di vaccini contro un tipo di dinamiche – queste sì – davvero diaboliche). Purtroppo né questo aspetto né altri vengono approfonditi a dovere, e il film si muove in una sorta di terra di nessuno cinematografica a causa delle scelte (o meglio, delle mancate scelte) descritte nell'articolo; e ci si accorge alla fine di essere arrivati ai titoli di coda di sicuro senza infamia, ma, ahimè, anche senza particolari lodi.