Un folle invasato vi spiega perché è tanto bello gironzolare in un mondo condannato, con Dèi morti, guerre intestine, fame e un branco di mostri che vi insegue.
Un gioco di ruolo di ambientazione vichinga? Per Odino, urge appurare di cosa si tratta e vedere se è il caso di lasciar crescere ulteriormente la mia barba. Questo pensai prima di provarlo, e quando mi allontanai dallo schermo ne uscii rafforzato nelle mie convinzioni. Adesso mi chiamano “l’eremita delle montagne” e mi fermano ogni volta che passo vicino ad un aeroporto.
«Ma perché l’hai fatto, in nome di tutto ciò che è sacro?» chiese un tale, preoccupato della mia salute mentale «Perché, stolto, hai voluto guardare nel vaso di Pandora? E, ora che ci penso, che vai blaterando? Vichinghi?». Qualora non l’aveste capito dal titolo, io e quel tale si parlava di “The Banner Saga”. «E che cos’è?» chiederà il più intraprendente di voi. «Un videogioco.» risponderò dunque, con inesauribile pazienza. «E perché fai una recensione su Illyon quando c’è su Multiplayer.it da più di un mese?». «E tu perché stai qui a leggere ‘sta roba invece di andare a lavorare? C’è la crisi, lavativo.»
Questo articolo è stato scritto per educarvi, giovani accoliti: educarvi su quale genere di giochi meritino il vostro prezioso tempo. “The Banner Saga” lo merita. E dire che è un giochetto fatto con un programma simile al flash, in 2D, con giusto una o due animazioni da cartone animato povero. Ma vi venga un accidente (sì, a voi) se non vi terrà incollati alla sedia dal momento stesso in cui lo farete partire. Lo troverete strano e inspiegabilmente intrigante, magico e possente, amaro come pochi e carico di malinconia. Rifletterete su ogni vostra mossa più di una partita a Risiko e bestemmierete come curdi quando vi accorgerete che le cose non andranno mai lisce come avevate sperato. Più o meno come nella vita vera, ma, ehi, qui avete vichinghi e giganti con le corna. Scusate se è poco.
Umani e Varl, per essere precisi. Due popoli che convivono poco volentieri nelle fredde terre del Nord, dove gli Dèi sono morti e il sole si è fermato nel bel mezzo del cielo e non accenna a calare. In questo scenario, lungo percorsi segnati solo dalle monumentali pietre erette in onore delle divinità ormai cadute si muovono carovane di guerrieri, giganti e civili. E dal nulla, in un mondo che nonostante tutto sembra tirare pigramente avanti ed anzi si gode un’era di pace e benessere, puntualmente spunta un’orda di mostri che distrugge tutto quello che trova sul suo cammino. Un cliché un tantino usurato, va detto, tanto più che gli scassapace di turno sono enormi costrutti di ossidiana, come delle specie di armature che camminano, detti Dredge. Con buona pace degli ancor più classici orchi, dei non morti e dei folletti di babbo natale che ancora aspettano il loro momento di gloria.
A chi a questo punto si aspettasse di trovarsi di fronte alla solita avventura già vista e rivista, per di più realizzata in grafica bidimensionale, beh, io consiglierei di restare seduto qui davanti ancora un poco. Perché quella che abbiamo di fronte è una storia matura e profonda come se ne sono viste poche su pc. Non è eccessivo, a mio avviso, paragonarla a mostri sacri come Planescape: Torment e Baldur’s Gate II, sempre che qualcuno se li ricordi ancora. Mettiamo in chiaro un paio di cose, per esempio: gli Dèi non sono morti in un’epoca remota. È accaduto due generazioni prima, per cui i secolari Varl hanno persino memoria di quando è accaduto. Quello che abbiamo davanti è una terra spogliata dalla presenza di divinità che erano presenti sino a pochi decenni prima. Le pietre degli Dèi sono tombe a cui i mortali si rivolgono con qualche esitazione, come se si domandassero se ha ancora un senso farlo. Cosa conta, alla fine, in questa era? Gli uomini e i giganti sono liberi, senza gli Dèi, o sono solo orfani? E il sole, che per qualche inspiegabile ragione ha smesso di tramontare, che cosa ha a che fare con tutto questo? È un segnale della fine del mondo, per alcuni; è una benedizione per altri.
Ci sono decine di domande come questa. Domande che non hanno risposte, domande che i protagonisti di “The Banner Saga” sembrano cercare di non porsi proprio. Ma è inevitabile che il giocatore se le ponga, dopo aver trascorso qualche ora guidando un gruppo di profughi a corto di provviste da un villaggio all’altro, perennemente incalzato da un’orda di creature di cui non si sa ancora nulla, a distanza di secoli dalla loro prima comparsa. Il senso d’angoscia che serpeggia tra gli uomini che sono stati costretti ad abbandonare le loro case e che perdono persone care ogni giorno si sente costantemente. Non si può fare a meno sentirsi coinvolti in tutto questo, merito anche di colonne sonore ispirate (tamburi, tamburi, sono dei dannati tamburi!) e di scenari fiabeschi, realizzati a mano da qualcuno che sa come rendere suggestivo un paesaggio, mescolando i colori freddi ad un tratto stilizzato che non sembra mai fuori luogo. E poi dialoghi, dialoghi, dialoghi… Sì, come Torment. O come un buon libro. A voi piacciono i libri, vero?
Aggiungiamo una componente fondamentale, che è andata un po’ perdendosi negli anni: la possibilità di scelta. Che non è la possibilità di scegliere tra riportare il medaglione all’ordine dei cavalieri del leone rampante in cambio di 1000 exp o tenerlo e guadagnare un +1 all’attacco. Si tratta di scegliere tra una strada brulicante di mostri e una notevolmente più lunga, quando si hanno sì e no un paio di giorni di provviste. E, come vi ho già detto – e ve ne accorgerete da subito – non c’è mai una scelta “giusta”. Tra l’altro, il sistema di autosalvataggio, frustrante e carogna dentro, vi costringerà ad accettare che ormai la decisione di turno l’avete presa e che dovete affrontare le sue ripercussioni, punto e basta. Facile fare i saccenti quando si ha il quick-save a disposizione, vero? Non temete, soffrirete per una giusta causa. Quantomeno perché la libertà di scelta implica taaaanta rigiocabilità. E voi non avete ancora trovato un lavoro decente, non è così? Lo sapevo, proprio come me.
Comunque, sapete cos’è una saga vichinga? Mh, bravi, in gamba. Ok, quanti di voi hanno letto una saga vichinga? Toh, siete calati. Va beh, quanti di voi hanno visto la serie “Vikings”? E ti pareva. Andate a leggere, invece che guardare tutta quella televisione. Fa lo stesso se era in streaming. Ad ogni modo, una saga vichinga in genere è la storia di un eroe, dei suoi antenati e dei suoi discendenti, servita con idromele e carne di balena. Il fatto che ci vengano offerti come protagonisti un padre e sua figlia a spasso per terre innevate, tra giganti barbuti, briganti e capoclan è ciò che il gioco spartisce con una saga vichinga. Anche le morti improvvise e folgoranti, a ben pensarci. Ma non vi troverete Odino né Thor, intendiamoci: gli Dèi sfornati dai ragazzi della Stoic sono tutti nuovi. Per il resto avete per le mani – sì, lo potete prendere e palpeggiare – un prodotto maturo, che è tutto fuorché un resoconto stringato di imprese gloriose e trabocca tuttavia degli elementi necessari a rendere la trama, qualsiasi siano le vostre scelte, un trionfo di epica pura.
Davvero. Guardate che qualcuno si è lamentato perché “The Banner Saga” sarebbe addirittura TROPPO epico. Sul serio! Come lamentarsi perché c’è troppo sugo sulle lasagne, insomma. Molto, molto meglio mangiarle scondite e possibilmente congelate. Chi mai potrebbe pensare una cosa simile? Un pazzo? Un fachiro? Girolamo Savonarola? Il diavolo? Una ragazza col terrore di ingrassare? Sarei tentato di mettervi un link solo per mostrare la mia superiorità intellettuale su un individuo di tale risma, ma la verità è che mi sa fatica cercare nella cronologia. Fate ricerche voi, o indomiti che avete del tempo da perdere.
Ma fortunatamente io so che a voi isolani queste avventurozze tamarre piacciono (in caso contrario, guai a voi, anime prave!). Per tale ragione io – che vi voglio bene – vi scrivo una recensione che su multiplayer.it non troverete. E questo semplicemente perché i loro redattore non hanno la barba abbastanza lunga. O forse non l’hanno affatto! Pensate! Come possono comprendere il potenziale di un gioco così senza una degna barba?
Il combattimento. Sì, giusto, m’ero scordato. Strategia vecchio stile: gli eroi hanno poche statistiche ed è basilare gestirle al meglio. Forza, difesa e forza di volontà sono tutto ciò che avete in mano su un campo di battaglia a scacchiera, dove anche solo il posizionamento e le dimensioni dei personaggi fanno la differenza. Difficile da gestire all’inizio, se poi ci prenderete il via vi renderete conto della sua semplicità. E se proprio vi piacesse da impazzire, per voi rissaioli è a disposizione da una vita – ma scommetto che non l’avete mai notato – “The Banner Saga – Factions”, il modo migliore per insegnare ai vostri amichetti online chi è quello col cervello. Ecco, forse sono loro, non voi. D’altronde voi state qua a leggere ‘sta roba. Non ci pensate, in quel caso: avete comunque fatto del vostro meglio. Magari Odino vi concederà il suo favore, un giorno.
Tirando le somme e mettendolo a confronto con quello che è stato definito (oibò) un capolavoro di nordicità… “The Banner Saga” sta a “Skyrim” come una statuetta di bronzo fatta a mano sta ad un esercito sterminato di soldatini di plastica. La prima è un’opera unica, ha caratteristiche che guarderete con attenzione e che non potrete fare a meno di portarvi dentro. Il secondo è immenso, anche se un tantino ripetitivo, e i singoli modelli non hanno poi tutta questa profondità. Quindi, se pensate che di un gioco sia da apprezzare la vastità e i mesi che può farvi trascorrere ammazzando draghi, giganti e semplici negozianti, “The Banner Saga” forse non vale il vostro denaro… Ma a questo punto immagino che non sareste ancora qui a leggere. Se volete invece vivere un’esperienza diversa, appagante e difficile da buttarsi alle spalle come un trastullo, io un’idea di cosa fare penso di avervela data.
Beh? Ancora qui? Al lavoro, su, che il mondo non si salverà mica da solo, neanche se ci sono i Varl. Poi tornate pure da me, così non sarò l’unico a imprecare perché un gioco mi è sembrato troppo corto.
– Luca Sigali –