Riprendiamo in mano, non senza una solitaria lacrimuccia di nostalgia, uno dei capisaldi della storia fantasy-videoludica: il leggendario Neverwinter Nights!
L’inizio della storia
“Il Gelido Nord: il nome dato all’aspra e spietata terra di frontiera che si stende oltre l’Alta Brughiera di Faerun. Una terra selvaggia e desolata dove vagano i clan barbari e le tribù dei giganti e dove draghi feroci solcano i cieli. Ma in mezzo alle distese gelate si erge un bastione di civiltà: la città di Neverwinter, il gioiello del Nord.
Oltre le alte mura della città, i cittadini più coraggiosi e tenaci si guadagnano da vivere in questa terra desolata sotto la guida e la protezione del leggendario eroe Lord Nasher Alagondar. Ma esistono cose contro le quali tutto il coraggio del mondo non è sufficiente….”
Con questa introduzione inizia la nostra avventura nella città di Neverwinter, la città che, grazie alle acque riscaldate dal vulcano della vicina foresta, non conosce mai la stretta gelida dell’inverno. Il vostro campione si trova nella propria stanza dell’Accademia, dove avete affrontato dei duri allenamenti e selezioni, che vi hanno messo in luce anche di fronte alle altre reclute. Qui inizia l’avventura.
Un semplice ed esaustivo tutorial vi darà tutte le informazioni di cui necessitate per lanciarvi in questo epico gioco. Nel mentre, verrete meglio a conoscenza della malattia che sta affliggendo la popolazione di Neverwinter fino a quando, una volta completato il vostro allenamento, potrete incontrare Lady Aribeth de Tylmarande in persona. Oltre ad essere venuti a saperne di più sulla Morte Gemente, capirete che la paladina elfica di Tyr non è solo alla ricerca di un campione, ma sta anche occupandosi di una possibile cura per questo flagello. Tale pestilenza infatti non è curabile perfino dal più potente dei chierici. Verrete quindi subito incaricati di proteggere quattro creature, dalle quali sembra si possa ricavare una pozione per debellare la Morte Gemente…
C’era una volta….
….a cavallo tra i due millenni, il fantastico mondo dei videogiochi di ruolo targati Bioware e Atari, ambientati nei Reami Dimenticati dell’immortale Dungeons&Dragons. Fondali isometrici predipinti e coloratissimi sui quali si muovevano gli sprite dei personaggi (peraltro bellissimi), visuali a volo d’uccello ed eterogeneità degli stili, a rispecchiare la differenza delle location visitate, la facevano da padrone. Nomi che hanno fatto la storia videoludica quali il capostipite Baldur’s Gate, il seguito BG II, Tales of the Sword Coast, il geniale e ruolistico Planescape: Torment e gli ottimi Icewind Dale I e II (ultimi isometrici prima di NWN) hanno segnato un’epoca per quanto riguarda gli RPG. Poi, nel 2002, venne Neverwinter Nights. E nulla fu più come prima.
I programmatori di Bioware, sull’onda dello sfondamento delle tre dimensioni in qualsiasi produzione videoludica decisero di dare un taglio col passato, e quindi con la visuale isometrica e i fondali dipinti, optando per un vero 3D nel quale immergere i Reami Dimenticati. Quindi scordatevi gli sprite e i fondali bidimensionali: i personaggi e i mostri in NWN sono modelli poligonali immersi in un ambiente poligonale. Fu una scelta coraggiosa per l’epoca, soprattutto per quanto riguarda gli RPG che, se vogliamo, sono la categoria che più poteva prescindere dal 3D, insieme alle avventure grafiche. Quella scelta stabilì un nuovo paradigma per gli RPG che, da allora, non hanno più abbandonato la tridimensionalità e che in questo senso sono tutti figli di NWN. Pensate a qualche RPG recente che avete particolarmente amato: fatto? Bene, sappiate che non sarebbe esistito senza Papà Neverwinter Nights.
Ma andiamo con ordine.
Per ambientare il primo RPG 3D della storia i ragazzi di Bioware e Interplay programmarono un motore grafico nuovo di pacca, l’Aurora Engine e, nel farlo, ebbero il vero colpo di genio: rendere gli ambienti e le aree esterne il più possibile modulari. In questo modo trasportarono all’interno dell’ambiente informatico l’esperienza ruolistica nella sua essenza più intima; perché grazie alla modularità dei “mattoni” poterono implementare un tool per la creazione degli ambienti e degli script potentissimo e allo stesso tempo semplice da usare: l’Aurora Toolset. A quel punto qualsiasi giocatore poteva aprire Aurora, inventarsi la propria campagna o avventura, caricarla sui server Bioware dedicati e propinarla ad altri giocatori che avevano la possibilità di scaricarsela e giocarsela tranquillamente in single player come la campagna originale, o addirittura giocarla in mutiplayer online che all’epoca stava prendendo piede. Ovvero, trasportare l’esperienza del master dalla carta all’informatico: per la prima volta nella storia si parlava di Master digitali. Fu una rivoluzione epocale.
Ma proprio ciò che aveva reso NWN così unico fu anche il motivo delle principali critiche che venivano mosse al gioco. Consapevolmente, Bioware sacrificò la variabilità dell’ambientazione isometrica alla modularità del 3D. In effetti, essendo costituiti dagli stessi “mattoni”, la città di Neverwinter risulta identica nello stile a Luskan; il Bosco della Luna e la Foresta di Never hanno gli stessi alberi, fiumi e pietre; e la Torre Ammantata è identica alla Casatorre Arcana. I critici sostengono che così viene meno la ragion d’essere di un gioco di ruolo, ovvero l’esplorazione dell’eterogeneità delle ambientazioni. In ogni caso, Bioware scommise che questa pecca sarebbe stata perdonata dai giocatori in favore della possibilità, mai esplorata prima di allora, di potersi inventare le proprie avventure da proporre e videogiocare con gli amici, proprio come se stessimo giocando a un GdR cartaceo. Scommise e vinse la scommessa. Il gioco ebbe un successo clamoroso, vendette come mai prima e soprattutto la rete fu letteralmente invasa dai cosiddetti “moduli”, ovvero avventure create dagli utenti e scaricabili gratuitamente, da giocare parallelamente alla campagna originale. Alcune delle quali, davvero epiche.
Scaglie di drago e lamenti di banshee.
Vista al giorno d’oggi, ovviamente, la grafica appare un po’ datata. Non bisogna però dimenticare che all’epoca programmare un motore nuovo, appositamente per un RPG, rappresentò un sforzo notevole. Anche se modulari, gli arredi e le ambientazioni di gioco mostrano un elevato livello di dettaglio perfino a zoom ravvicinati, e i modelli poligonali (pur se un po’ abbozzati) ressero il confronto con altre produzioni addirittura non RPG. Le animazioni dei modelli e dello sfondo fanno più che onestamente il proprio lavoro e danno la sensazione che il personaggio faccia effettivamente ciò che sta facendo, che si stia parlando di mazzolare adeguatamente i nemici, lanciare incantesimi o prodursi in un elegante inchino da perfetto avventuriero dandy davanti a Lady Aribeth. L’uso dell’illuminazione tout court, e scendendo più nel dettaglio i riflessi sulle armature, i giochi di luce degli effetti magici e l’illuminazione dinamica degli ambienti stabilirono un nuovo standard per questo tipo di produzioni.
Il sonoro è quello tipico dei giochi Bioware: quindi una batteria di temi musicali legati sia al luogo che si sta visitando (tempio di Tyr piuttosto che città piuttosto che dintorni di Luskan ecc.) sia all’azione sullo schermo (quando ci cimentiamo in un combattimento la musica vira decisamente sull’epico e sul drammatico). Tutti temi azzeccati e sicuramente funzionali all’ambientazione, che però per la loro ripetitività finiscono forse per venire un po’ a noia e alla lunga infastidire; ma insomma si tratta di dettagli. Ottimo invece il parlato e gli effetti ambientali, capaci di immergere il giocatore nella corrispondente location visitata e farli sentire al centro del brusio di una fumosa locanda fantasy, o in mezzo al frinire delle cicale sotto il cielo stellato della Costa della Spada.
Come ti fiocino il goblin e ti rubo il cuscino di Klauth
Inutile però nascondersi che i veri punti di forza delle Notti a Mainverno furono e sono la giocabilità strepitosa e la longevità infinita. Basata interamente sulle regole di D&D 3.0, e quindi sul d20 system, la meccanica di gioco prevede che il personaggio venga diretto tatticamente dal giocatore. Si clicca per muoversi, parlare o per attaccare, magari selezionando un’abilità speciale o un incantesimo dalla comoda barra rapida sulla parte bassa dello schermo, e il gioco calcola tutte le variabili: se il nostro bonus di attacco, integrato dal risultato del dado virtuale, è maggiore della classe armatura dell’avversario vedremo il nostro eroe infilzare il malcapitato; diversamente vedremo il nostro maldestro tentativo infrangersi miseramente sulle difese dell’avversario. Né più né meno. In conseguenza di questo l’interfaccia è la quintessenza della praticità e quindi resta una delle più perfette mai realizzate: semplice, intuitiva e allo stesso tempo capace di convogliare la complessità di un personaggio che si trova ad agire in un mondo fantasy. Inventario, minimappa, diari e quant’altro non può mancare in un RPG che si rispetti sono semplicissimi da usare, così come il sistema degli incantesimi, anche da chi non mastica per niente le meccaniche di D&D. I giocatori D&D più incalliti potranno invece assaporare la minuziosa conversione al digitale e l’aderenza al regolamento cartaceo: manca solo la possibilità di cimentarsi con le classi di prestigio, che sono implementate a partire dalle espansioni successive.
Infine, ciliegina sulla torta, nel più puro stile Bioware è possibile interagire molto profondamente coi personaggi principali tramite i dialoghi (tipici dialoghi a domanda e risposta multipla) capaci di indirizzare i rapporti in un senso o nell’altro: sarà addirittura possibile sviluppare love story con i propri compagni/e o con alcuni personaggi di contorno. La stessa trama non è tutta incentrata sul combattimento; ad un certo punto della Storia per esempio ci ritroveremo a partecipare ad un processo (sì, avete capito bene, un processo) nel quale dovremo vestire la toga degli avvocati difensori: conducendo indagini, ascoltando testimonianze, interrogando e controinterrogando testimoni e confutando le tesi dell’accusa, il tutto senza versare una sola goccia di sangue o sillabare un incantesimo, in puro stile Law & Order in salsa fantasy. Questo per dire del livello di interpretazione ruolistica raggiunta dal gioco.
Ovviamente la maggior parte dell’azione è incentrata sull’esplorazione e il combattimento, con il nostro personaggio (in solitaria, niente party questa volta, al massimo un gregario reclutabile ma non direttamente controllabile) al centro dell’azione immerso nell’universo 3D. La telecamera è ruotabile e zoomabile a piacimento, ma non disancorabile dal personaggio né è personalizzabile l’angolo di ripresa dal piano di gioco. L’interazione con il mondo, come ho già detto prima, è notevole. Non solo per quanto riguarda edifici ed oggetti, ma soprattutto con i png (personaggi non giocanti) che, quelli più perspicaci, capiranno in fretta il vostro allineamento, cosa fate e da dove venite. Ciò regala un’impareggiabile sensazione di presenza all’interno dei Forgotten Realms.
La longevità è garantita dalla possibilità di giocarsi tanti moduli quanti ne sono stati messi a disposizione da volenterosi DM digitali, da moduli ufficiali e quant’altro esposto prima. Ma anche solo la campagna single player è di una profondità unica, garantendo almeno una settantina di ore di gioco e spaziando da Neverwinter a Luskan, dalle Marche d’Argento al Dorso del Mondo e via di questo passo, per non parlare delle espansioni ufficiali “Shadows of Undrentide” e “Hordes of the Underdark” che ci portano, rispettivamente, tra le sabbie del deserto dell’Anauroch e tra i tunnel senza luce del Sottosuolo. Senza contare che rigiocando la campagna originale single player, l’atteggiamento dei png cambierà sottilmente a seconda della razza, della classe e dell’allineamento del nostro personaggio.
In definitiva, Neverwinter Nights è stata una pietra miliare nell’ambito dell’intrattenimento videoludico, ha ridefinito i canoni degli RPG digitali, ed è stata una delle situazioni più coinvolgenti che mi siano mai capitate sull’argomento D&D: un titolo che vale assolutamente la pena rigiocare ancora oggi, non esente da difetti ma capace di fornire un’esperienza ruolistica di una tale coinvolgente profondità che la quasi totalità dei giochi odierni si può solo sognare. Se ci avete giocato, che ricordi avete? Vi viene voglia di riscoprire questo classico dalla vostra ludoteca? Perché questo è un mondo – come dice la voce narrante alla fine del gioco – di infinite avventure….
–Luca Tersigni–