Recensiamo quest’oggi un racconto fantasy classico, con in più delle contaminazioni, tanto celtiche quanto moderne! Un connubio riuscito? Scopriamolo!
La saga delle Terre del Tempo – La Porta dei Mondi si presenta come un racconto fantasy dall’inizio insospettabile, presentando un contesto assolutamente realistico, odierno, proprio del ventunesimo secolo: in esso, difatti, la protagonista, una giovane di nome Morgana, risulta essere una ragazza comune, per quanto di ottima famiglia; di quest’ultima , peraltro, vengono delineati brevi scorci, in grado di far sottintendere il legame tra ella ed una più antica dinastia ed un ancor più antico segreto.
Quando la sua più cara amica, Serida, anch’ella dotata di un prestigioso passato da cui discende, eredita un castello in Inghilterra, Morgana viene letteralmente costretta dalla propria madre a seguirla: ed è dal momento in cui le due vi arrivano per prendere possesso della proprietà della zia di Serida che, per citare un film famigerato, più che famoso (Dungeons & Dragons, vero orrore trade marked) , “l’avventura ha inizio”.
Le due ragazze si troveranno trascinate in un mondo antico, un mondo nel quale draghi, folletti, spiritelli, elfi, nani e molto altro ancora, sono comuni, un mondo che sta morendo perché vittima di una tiranna oscura, che non solo condivide il nome, ma anche l’aspetto – e, per fortuna, non le inclinazioni morali – di Morgana, la nostra protagonista; un mondo di stampo celtico/medioevale, nel quale la magia è una costante, nel quale armi ed oggetti incantati vivono spesso di vita propria e le leggende del mondo reale, del mondo della protagonista, hanno nuovo lustro perché è qui che esse in qualche modo hanno trovato maggior fondamento: druidi, giovani o sommi, divinità come Dana o Morrigan, luoghi sacri tra gli alberi… per non parlare di figure familiari, ma presentate sotto una luce diversa, quali Merlino, Morgana , appunto, Avalon e… Excalibur.
Lungi dal voler delineare la trama oltre questo minimo sindacale per stuzzicare la curiosità, credo che questo racconto, che è stato preso e ripreso in mano più e più volte dall’autrice per conciliare i diversi tempi in cui è stato portato avanti il progetto (fin dal 2003, si legge nella prefazione) e rimaneggiato, onde adattare quello che era l’incipit per un play by mail (ci torneremo tra poco) alla struttura di un racconto, meriti un approfondimento molto particolare e dettagliato.
Per mia stessa ammissione, il fantasy classico fa sempre piacere rileggerlo: abbandonarsi ad una sana lettura nella quale ci sono incantesimi, armi, giochi di potere, creature da affrontare nella più sana trasposizione del D&D scatola rossa è davvero una gran bella sensazione; questo, specie se poi si respira una ambientazione druidico-celtica, con il ciclo di Re Artù sullo sfondo – per quanto siano solo spunti, il resto è portato avanti in modo assai slegato – che il gioco Druid, edito dalla Editrice Giochi ed ideato da Spartaco Albertarelli (che saluto) viene così sovente omaggiato, in maniera consapevole o meno non è dato saperlo; questo potrà chiarircelo l’autrice nel corso dell’intervista che ci rilascerà prossimamente su queste stesse pagine.
In questo caso, tuttavia, c’è da analizzare una storia comunque interessante, inserita però in una forma poco attraente: è un racconto che, volendo cercare di descriverlo con poche parole, potrei definire fantasy domestico e adolescenziale: se non esistono già queste espressioni, me le arrogo d’ora in poi con tanto di copyright! Vabbè, fesserie a parte, proseguiamo con le spiegazioni.
Intanto, il racconto offre parecchi spaccati di vita quotidiana che, probabilmente, è anche retaggio del suo essere stata basata su una storia per un play by mail, uno dei giochi che si svolgono con un fitto scambio di corrispondenza digitale tra i giocatori, grazie a cui viene descritto volta per volta ciò che ciascun personaggio interpretato compie, le di lui azioni e moderato successivamente o in tempo reale dal Master/Arbitro di turno; evoluzioni successive e ben note sono i play by forum e, ancora di più, i play by chat, di cui le land online sono l’esempio più specifico (e di cui abbiamo parlato giusto qualche giorno fa in questo articolo). Senza voler affrontare un discorso differente, ma giusto per chiarire il perché della definizione di “domestico”, i play by (mail/forum/chat) hanno un qualcosa che li differenzia sensibilmente rispetto al gioco di ruolo classico, dato che essendovi sovente più tempi morti rispetto ad una campagna, ad un’avventura, ad un gioco attivamente arbitrato dal Master/Fato di turno, si punta molto di più alle relazioni interpersonali, si approfondiscono le amicizie, ci si dedica, appunto, al quotidiano, al vivere “domestico” di ogni giorno – descrizioni del proprio personaggio alle prese con la cucina, la cura delle stalle, lo studio di libri o incantesimi, ciò che si potrebbe definire gioco passivo e non diretto al costruire un’avventura vera e propria – cosa che nel GdR classico al tavolo non succede praticamente mai, visto che si ha a malapena il tempo per introdurre i personaggi per poi partire in missione, lasciando al tempo, ad anni di gioco al tavolo, il compito di forgiare le amicizie o gli amori nel gioco, o perfino il sistemarsi in una casa o in una locanda (abbiamo parlato dei rapporti interpersonali tra i personaggi qui, quo e qua) accasandosi.
Ecco, quindi, perché il termine “domestico”: c’è moltissima cura nella descrizione delle occasioni in cui i personaggi non fanno altro che trovarsi nella locanda di turno o presso una delle abitazioni in loro possesso, e fare colazione/pranzare/cenare; si parla di cibi, si affronta la possibilità di preparare un piatto di pasta od una pizza in un contesto medieval fantasy, dato il retaggio moderno del duo Morgana&Serida, si dedica cura all’abbigliamento, all’equipaggiamento, a vivere insomma una vita quotidiana, come di solito non viene narrato nei libri o giocato nelle sessioni di ruolo. Questo lo giudico un punto positivo, perché è senza dubbio una scelta originale, in grado di creare un tipo di fantasy diverso (ricordate, “domestico”: i diritti di copyright sono miei! Muhahaha), sebbene faccia strano vedere questa sorta di vita normale, comune, sullo sfondo di possibili tragedie o, peggio, di una vera e propria guerra. A tratti, peraltro, di questa cosa si eccede un po’: difatti, il villaggio dove Morgana prende a vivere sembra un po’ troppo ben organizzato, con agi e comodità che risultano un po’ forzati, e che sembrano ricalcare la cittadina alla Diablo (celebre serie di giochi per PC), in cui è sufficiente uno spazio di ventiquattr’ore per avere la casa, scelta nella mattinata, arredata di mobilia, mentre cibarie, vettovaglie, approvvigionamenti non sembrano essere un problema, laddove, pure, si dirà che le persone stanno progressivamente venendo affamate: stando alle abitudini alimentari della protagonista e del suo gruppo, non si direbbe; e, nonostante si giustifichi la cosa dicendo che il villaggio è circondato da campi coltivati, c’è una ricca cacciagione e i fiumi sono pescosi, questo un po’ toglie pathos alla vicenda, dato nessuno dei personaggi affronta alcun tipo di rigore e di difficoltà proprio di un periodo di stenti.
Restando sui personaggi, debbo ammettere che sono quasi tutti interessanti, con poche ma significative eccezioni: in primis, alle volte essi tendono ad avere delle reazioni un po’ strane, o non adeguate al contesto: parlare di provviste, patate, piselli, lenticchie oltre al farro (“Mh, che buono” dice la protagonista) quando cinque frasi prima si stava discutendo di traslare il cadavere del padre di un loro conoscente ucciso barbaramente per la sepoltura non è proprio cosa realistica, così come mostrare maggiormente le emozioni del ragazzo sopravvissuto all’aggressione, e più delicatezza nel consegnargli il pugnale paterno sarebbe apparso più coerente, ma questo anche in una giocata di ruolo, o in un play by chat, tanto per dire. Secundis, alcuni personaggi tendono ad essere molto simili tra loro e poco approfonditi: Serida, pur essendo una comprimaria, si dissolve abbastanza in fretta, divenendo un’amica in grado di far risaltare maggiormente le virtù della protagonista e perdendo mordente ed interesse – il che è un peccato, specie perché si poteva insistere di più sul fatto la ragazza conoscesse quei luoghi, quella “realtà”, fin da bambina, nel mondo reale, ed affidare a lei, anziché a Drerim, il giovane, aitante, druido del villaggio, l’educazione di Morgana. Quest’ultimo, purtroppo, non l’ho proprio apprezzato: sia perché ha ben poco di druidico, ruolo della cui dignità cui si spoglia abbastanza in fretta, nonostante venga chiamato più avanti ad un ruolo solenne, sia perché, purtroppo, è il compagno bello, forte, saggio, protettivo, che tende ad andare di moda oggi, ricreando un duo centrale che tende ad assorbire e far scomparire buona parte degli altri personaggi, un po’ come Nihal e Sennar di Cronache del Mondo Emerso – il che, tuttavia, non è detto sia proprio un bene – e che però manca nel suo ruolo principale, nel fare quello per cui avrebbe dovuto essere pronto, ossia addestrare Morgana che è li per salvare quel mondo ed i suoi abitanti dalla tirannia della sua omonima e non diventare la sua amica e amante. Troppo tempo viene destinato a riunioni tenute a tavola, anziché ad addestrare la protagonista per il suo compito, formarla ed insegnarle a combattere, a padroneggiare tutte le sue virtù, le sue doti che pian piano affiorano e che ella riesce a usare istintivamente, ma senza un metodo preciso. È proprio questo aspetto, il fatto che sembri sempre tutto tranquillo all’interno della vita dei protagonisti, a togliere una buona fetta di pathos , il che è un enorme peccato perché l’idea era e resta intrigante e le potenzialità per tirarne fuori un’opera bella ci sono tutte, resettando però la struttura stessa e distribuendo meglio i ruoli, gli spazi di ogni singolo personaggio ed approfondendone la personalità, con il discorso indiretto, certo, ma comunque regalando così più occasioni di coglierne la psicologia, dato che il racconto è in prima persona ed in tempo reale – il che, comunque, è un’aggiunta molto interessante e piacevole.
Se Drerim fosse stato presentato come un druido con la “d” minuscola, un apprendista dotato e capace, forse avrebbe retto meglio il suo ruolo, specie se avesse ricevuto il dono di un linguaggio e di modi più importanti, dati dal proprio ruolo e dal peso del suo agire sulle sorti di quel mondo che deve proteggere. Questo è un altro punto sul quale sarebbe interesse dell’autrice – della quale, comunque, si premia l’impegno – lavorare in vista di una pubblicazione, lo stile di linguaggio: nessuno desidera l’aulicità del Silmarillion o la profondità dei dialoghi interiori di Drizzt do’Urden, ma è fondamentale che il registro suoni alle nostre “orecchie” dissimile da quello quotidiano di una ragazza del ventunesimo secolo; si può glissare sul perché i personaggi si comprendano nonostante i millenni (ed i mondi) di distanza, ma dare un tono più “antico”, più forbito o solo più imponente a taluni personaggi sarebbe un’ottima cosa per migliorare un prodotto comunque abbastanza originale – che non è poco, ad ogni modo – nonché differenziare il modo di parlare dei personaggi anche in base alla razza (gli elfi sembrano comuni teenager).
Il racconto, in ogni caso, si riesce a seguire abbastanza facilmente, perché riesce a stimolare la curiosità del lettore per cogliere le successive sfumature e possibili colpi di scena e, come detto, alcune idee sono davvero interessanti.
Mancano, e questo è però un punto importante, scene “epiche”, laddove epico è anche solo trasmettere il senso di pericolo, la sensazione di coinvolgimento emotivo con i personaggi che possano rischiare la vita: le scene di vita quotidiana spezzano un po’ troppo il ritmo e ci si concentra, come detto, troppo sulle libagioni e le occasioni di colloquiale incontro dei personaggi rispetto ad allenamenti serrati, adattamenti a vivere in un mondo differente in cui Morgana è una straniera; infine, il rischio d’essere attaccati dai draghi dovrebbe essere sufficiente a togliere un po’ della giovialità dei personaggi, o almeno la voglia di cimentarsi per tanto tempo con le cibarie anziché studiare piani o decidere alleanze.
Concludendo: l’opera intrattiene, ed essendo solo il primo racconto quello recensito, ci sono ampi margini di miglioramento e le attese per un seguito che sappia mantenere ciò che di buono c’è stato lasciando perdere situazioni troppo edulcorate, sono buone. Personalmente non si sconsiglia la lettura, perchè il racconto riesce a ossequiare il suo ruolo principale: intrattenere.
–Leo d’Amato–