Variando un po’ sul tema, affrontiamo una breve disamina sul fantasy odierno: nello specifico, parliamo di ciò che dal fantasy è lecito aspettarsi!
Non è una novità che, oggigiorno, il fantasy abbia trovato – finalmente – un suo posto tra i generi, narrativo o cinematografico, più rappresentativi e, probabilmente, più remunerativi.
Dopo una parentesi importante e significativa, che ha visto soprattutto l’alba ed il meriggio (ma non il tramonto) del genere vampiresco, il che si è riflesso in una cospicua produzione, e dopo che numerosi filoni collaterali ma lontani dal genere si sono sviluppati da esso – dando per esempio una nuova visibilità allo zombie-genre ed una veste un tantino diversa dal solito, come World War Z e Warm Bodies – il fantasy ha piegato via via i suoi obiettivi verso forme diverse di ephos, passando da quello di stampo medioevale, a tratti quasi realistico ( la saga di Martin, de Il Trono di Spade) , a quelli di fantascienza fantastica (sembra una ripetizione superflua, ma vi assicuro che non lo è!), quali i racconti della saga di Star Wars (specie Universo Espanso), che ha componenti fantasy assai più marcati di una qualsivoglia saga fantascientifica come, per esempio, Star Trek , di cui dal 1970 ad oggi sono stati pubblicati circa ottantuno (81!!) libri, per restare solo a quelli tradotti in lingua italiana.
A questa produzione, si aggiunge l’Urban Fantasy ed il Fantasy Classico, per non parlare poi dei filoni Ucronistici, quelli che si sono sviluppati con un what if, e di cui il fumetto di V per Vendetta –cui si è ispirato a grandi linee il celebre film omonimo – è solo uno dei numerosi esempi che si potrebbero fare, tra i quali è doveroso citare un brano dell’opera Ab Urbe Condita, in cui lo storico Tito Livio contemplava e sviluppava l’idea di un regno di Alessandro Magno che si fosse spinto verso ovest, anziché verso est; né si può dimenticare di omaggiare Fatherland di Robert Harris, autore anche del bellissimo romanzo Pompei, in cui si sviscera il what if la Germania di Hitler avesse vinto la Seconda Guerra Mondiale (per quanto Harris si sia ispirato a La Svastica sul Sole di quel mostro di prolificità e avvenirismo che era Philip K. Dick, di cui prima o poi ci occuperemo, promesso).
Tutto quanto riportato fino a qui conosce poi in diverse occasioni omaggi diretti od indiretti con le produzioni cinematografiche, che sanno alle volte stupirci, alle volte deluderci, ma bene o male riescono sempre ad intrattenerci: il che, a ben guardare, è la funzione primaria del cinema.
Ma tutto questo, in che modo si riflette sul fantasy come genere?
Come in alcune occasioni è emerso, la prolificità non è sempre sinonimo di qualità: ci sono moltissimi autori, nuovi o vecchi, i quali tentano la strada del fantasy, cercando di innovare, di differenziarsi, di offrire qualcosa di nuovo rispetto a quanto già letto, già mostrato, già “sentito”; si prova a battere sentieri differenti, pur muovendosi in un tracciato collaudato e confortevole, in modo di trovare una strada bella e pronta, sicura e collaudata, per chi scrive, e si regala al lettore qualcosa che suoni si, familiare, ma anche diverso dal solito, perché bisogna “osare”. Serve, insomma, evolversi senza dimenticare il vecchio, affrancarsi dalla tradizione pur rispettandola.
Il che, a ben guardare, è un bel problema , perché è facile a dirsi ma molto meno a farsi.
Il punto è che, ove l’arte fosse praticata come fine a sé stessa – e scrivere , che sia un romanzo, un diario di viaggio, una raccolta di poesie, è e resta arte – conosceremmo probabilmente i fasti che la letteratura ha avuto nei secoli scorsi: non che all’epoca non si scrivesse per vivere, perché poeti e scrittori avevano sempre bisogno di un mecenate oppure di un pubblico dal cui gradimento discendevano occasioni, salotti, impieghi su commissione – oppure, aggiungiamo noi, avevano bisogno d’essere ricchi, per non preoccuparsi di dover lavorare; ma all’epoca, non per fare i tradizionalisti retrogradi, si guardava alla letteratura ed allo scrivere in genere con un rispetto maggiore e con un tatto differente.
La commercializzazione, l’ampia diffusione che la letteratura ha conosciuto, è divenuta in seguito anche la sua peggior nemesi: perché si è tentato di andare incontro ad un sempre maggiore particolarismo nei gusti di un pubblico sempre più grande, sempre più diversificato, sempre meno colto, purtroppo.
Nessuno si azzarderebbe, né lo farà mai, qui sull’Isola Illyon, a fare della letteratura un servizio per pochi: mai.
Solo, bisogna anche guardare in faccia la realtà, per quanto cruda possa essere, e verificare con mano, concentrandosi sul perché oggigiorno si va così tanto di corsa che nemmeno su noi stessi e ciò che facciamo, riusciamo a porre mente- quale sia la situazione odierna del fantasy in genere, e della letteratura nello specifico.
Scrivere è diventato, oggi più che mai, un fenomeno di massa: non léggere, attenzione, bensì scrivere; e molti tra coloro che scrivono, sono anche coloro che leggono di meno. Scrivono politici, scrivono calciatori, scrivono cabarettisti, scrivono gli youtubers, scrivono i tronisti, scrivono gli uomini e le donne di spettacolo, e solo in qualche caso, il risultato è apprezzabile, se non lodevole.
In tanti, complice il momento fortunato che il genere sta attraversando, si cimentano con un’opera fantasy, che sia classico, fantascientifico, urban o chissà cos’altro, approfittando del fatto che esso è stato sdoganato dalle grandi produzioni cinematografiche (grandi, non necessariamente di qualità, quindi non prendete i forconi quando leggerete alcuni dei titoli che enunciamo), quali Il Signore degli Anelli, Twilight*, Harry Potter, Star Wars ep IV-VI, Star Wars ep. I-III, Eragorn, Oblivion, World War Z , Io Sono Leggenda (che, seppure non fantasy fantasy, è un po’ ucronico, quindi lasciatecelo passare), o serie come Il Trono di Spade, The Walking Dead, Lost.
E’ cool, è di moda, oggigiorno investire sul fantasy ed è un business remunerativo.
Ed è per questo che oggi si scrive così tanto, e che autori giovani e meno giovani, novizi o anche già con esperienza tentano spesso la carta del fantasy: potrebbe diventare un investimento produttivo e una discreta forma di pubblicità: si scrive non già per il piacere di farlo o almeno per dedicarsi a quella che è una forma d’arte ancorchè in grado di produrre guadagno, ma si scrive perché è facile, alla portata di tutti, e potenzialmente in grado di aprire la strada verso il successo, di danaro e di fama.
Anche se spesso si ignorano persino le regole di grammatica più elementari, si passa dall’uso di un narratore onnisciente ad uno ignorante, si sbagliano i congiuntivi, i condizionali divengono un optional, non v’è coerenza di azioni e reazioni tra un periodo e un altro e i personaggi spesso si comportano senza naturalezza, perché il tutto si svolge nella mente dell’autore, ma sulla carta viene riportato con chiarezza ben poco delle scene: vuoi per la carenza di revisori, come accade in alcuni casi nel selfpublishing, vuoi perché essi stessi, alle volte, lavorano così superficialmente da svilire opere magari meritevoli, e questo accade spesso, pur non dovendo, presso case editrici anche di grandissimo peso.
Si diceva più in alto, il tentativo di innovare senza dimenticare la tradizione è l’obbiettivo di chi scrive, per quanto sia complesso farlo: ed infatti, pochissimi ci riescono.
Dopo aver apprezzato le sia pure fantasiose storie di Dan Brown, per quanto ben scritte con dovizia di particolari ed un buon intreccio, abbiamo conosciuto un’orgia di romanzi in cui si svisceravano i templari, i massoni, la stirpe di Dio e così via: non sono mancate figure affascinanti di investigatori, poliziotti, o sedicenti “professori” che emulando Langdon od un più stagionato Indiana Jones si sono addentrati nei misteri di ieri e di oggi.
Dopo aver apprezzato Il Signore degli Anelli al cinema, dal giorno dopo sono iniziate a giungere opere che sapevano di fantasy eppure sembravano essere null’altro che cloni dell’opera di Tolkien, scritti giusto per cavalcare l’onda del successo della trilogia di Jackson.
Dopo aver apprezzato Anne Rice e comunque dover riconoscere alla saga di Twilight di aver ampliato moltissimo il range di pubblico interessato alla figura del vampiro per il suo sex-appeal, ancorchè trasposto nelle beghe di adolescenti e per certi versi violentando la figura delineata in Intervista col Vampiro, abbiamo assistito al proliferare di opere nelle quali le sottotrame amorose costituivano il fulcro delle vicende, privando le creature delineate nel celeberrimo romanzo di Bram Stoker, Dracula, della componente malvagia oltre la redenzione, oscura e gotica, oltre che decadente loro propria (e che lo stesso film di Coppola, ad onor del vero, ha apportato parecchie modifiche al libro, inserendovi per esempio una storia d’amore che non esisteva per niente, o modificando un bel po’ il carattere dei personaggi, pur restando esso una pietra miliare nella cinematografia).
Dopo aver portato sul grande schermo la nuova trilogia di Star Wars il genere (letterario) di fantascienza ha avuto nuova spinta, il che ha dato negli anni successivi un peso non indifferente anche sulle produzioni cinematografiche: se di qualità, lo lasciamo decidere ad altri.
Il punto focale di tutti questi spunti, è condurvi ad una constatazione: sdoganare un genere, renderlo commerciale al punto che si può essere alla moda accostandosi a qualcosa che nemmeno dieci anni fa quasi ci si vergognava ad ammettere di leggere, non è detto sia un bene.
Una produzione sterminata rende più difficile ad un’opera meritevole emergere da un pantano di opere simili: e così, la bravura rischia di dover cedere il passo alla fortuna, al fatto che il proprio libro conosca la buona sorte d’essere estratto per caso , come un asso di cuori da un mazzo, tra un numero altissimo di altri, e divenga un best-seller.
Tuttavia, questo non vuole essere un articolo che scoraggia chi si cimenta in quest’arte (o solo ne culla la speranza, come lo scrivente), e magari insegue si la fortuna, ma anche una soddisfazione personale, per la serie “ce l’ho fatta, quando nessuno dava credito a me ed a questo progetto”: tutto questo è per spingere a riflettere su quali possono essere gli elementi essenziali.
Investire su sé stessi, senza piegarsi alle logiche di ciò che va di moda oggi: la saga di Martin (romanzi) è diventata un fenomeno di massa solo da quando Games of Throne è stato serializzato in televisione; 50 Sfumature di Grigio (e Nero e Rosso) è diventato un fenomeno quando è stato costruito a tavolino, perché si voleva spingere su un certo genere, e anche se all’inizio questa opera non vendeva granchè, sono bastate un paio di recensioni entusiastiche, qualche trasmissione e i soliti (pagati) che dichiaravano pareri contrastanti, tra “no, è troppo scandaloso” ed il “bellissimo, sensuale, provocante”; Harry Potter stesso non trovava facilmente case che puntassero su questa opera inerente un maghetto bambino sfortunato stile moderno CenerentolO.
La morale è: credete in voi stessi. Non abbiate paura di innovare, ma guardate dentro di voi. Confrontatevi con altre opere, specie scritte bene, fantasy e non (non può esserci ispirazione se ci si limita ad un genere solo), per trarre spunti e farvi folgorare da qualche idea anche strana, ma funzionale; e non bruciate subito tutte le vostre carte, per il piacere di narrare ogni cosa come voi la vedete, imparando che la suspance è la chiave per rendere famelici coloro che vorranno leggere le vostre storie.
Investite su voi stessi, apprendete il più possibile di altri generi e cercate di scrivere bene per quanto semplice.
Magari avrete successo, magari appagherete solo il vostro ego e potrete dire “ho creato comunque qualcosa di mio”: non si può mai sapere che di lì ad un anno o due, ciò che avete scritto diventi di gran moda e porti anche frutti insperati.
Torneremo a parlarne, promesso.
– Leo d’Amato-