Concludiamo il viaggio nell’universo tolkieniano che svela gli episodi di fulgido legame ed oscuro tradimento tra le razze fantasy attingendo al Silmarillion.
Come si riportava nell’articolo precedente (di cui si parla qui in modo approfondito, per cui dategli un’occhiata anche se l’avete letto un po’ di giorni fa, così poter seguire il nostro filo logico, ammesso ne esista uno), nell’universo tolkieniano molteplici sono i rapporti intessuti tra le differenti razze: incontri, scontri, legami d’amore o di odio profondi.
Gimli figlio di Glòin, si diceva, non è l’unico esempio di legame interrazziale: sempre nel Silmarillion apprendiamo di come Eöl, l’Elfo Oscuro, uno dei più famosi artigiani di armi ed armature, e fabbro stimato come solo pochi altri, Fëanor compreso, fosse riverito dai Nani e con loro massimamente in intimità al punto da recarsi presso le loro rocche protette assieme al proprio figlio, per apprenderne così i segreti ed al contempo condividere con loro la propria arte, in un appagante quanto proficuo interscambio. Questo è un esempio di come fosse una certa arte, una passione comune verso “le cose create”, a legare due stirpi, più che l’amicizia e l’affetto reciproci – o almeno, questo è presumibile supporlo all’inizio dei contatti tra Eöl ed i Naugrim (altro nomignolo che si riferisce ai Nani) – e proprio per questo motivo è più importante ancora il deciso “stacco” costituito dall’apertura mentale che Gimli dimostra verso Legolas e Galadriel, la quale, va ammesso, pure possedeva radici profonde: egli è il “Figlio di Gloin”, e Gloin era, come si diceva, uno dei compagni di Thorin Scudodiquercia di cui si parla in un certo libro, dal quale è stato tratto un film di cui FORSE avete sentito nominare (Lo Hobbit). Eöl peraltro resta uno degli Elfi di cui si disprezza il nome ed il ricordo, accanto a quello di altri come Curufin, Celegorm e a quello del proprio figlio Maeglin, in seguito considerato “il maledetto” per l’atroce crimine commesso (ne parleremo più in basso).
Quanto ha influito nella forma mentis di Gimli il fatto che suo padre abbia potuto parlare con rispetto e gratitudine di un hobbit , una creatura non certo celebrata nei canti o nelle poesie per coraggio, astuzia o virtù guerriera, e che pure ha salvato più volte i Nani che lo accompagnavano alla riconquista di Erebor? Si potrebbe essere portati a pensare, quindi, che per Gimli vi fossero già le basi, e che esse abbiano semplificato il suo aprirsi all’amicizia ed al rispetto, all’amore “cavalleresco” tra guerrieri e combattenti che rischiano fianco a fianco la vita, verso Elfi, Hobbit, Uomini. In un certo senso è vero: l’Anello non ha mai avuto presa sull’animo del buon nano, e le tentazioni e l’esporsi alla cupidigia di altri suoi simili non sono mai sorte ad insidiarne il cammino, da che la Compagnia viene costituita fino a che giunge alla conclusione la Guerra dell’Anello: al contrario, Gimli, mentre passeggia con Legolas per Minas Tirith, progetta già che, se tutto andrà bene, condurrà la sua gente in quella città per abbellirla, un po’ come aveva annunciato presso il Trombatorrione allorché ne studiava la solida realizzazione eppur pianificando di renderla una fortezza contro cui gli eserciti si sarebbero infranti come il mare sugli scogli. Sappiamo anche che i cancelli di Minas Tirith verranno riforgiati in mithrill, il che implica un’opera davvero principesca a rinsaldare un legame indissolubile fino alla fine dei tempi tra la “montagna“, la “città“ ed il “bosco“, dato che anche Legolas farà si che gli elfi diano il meglio di loro stessi per rendere bella e florida la la capitale del regno di Gondor, dopo la rovinosa battaglia dei Campi del Pelennor.
Gimli mostra così un amore per il lavoro in quanto tale, per l’operosa fatica data dal realizzare con le proprie mani qualcosa di duraturo o di immortale, degna davvero dei suoi migliori antenati: ma non è sempre stato così, come ben sappiamo.
Sempre dal Silmarillion apprendiamo che Re Elwë Singollo (noto anche come Elu Thingol) rappresentava un elfo mirabile e straordinario, “il più alto di tutti i Figli di Ilùvatar” ed “il più forte di tutti gli Eldar salvo il solo Fëanor”: eppure fu anche uno degli elfi che maggiormente vide i propri obbiettivi e desideri forieri di conseguenze per sé stesso e altre stirpi: assieme alla Maia Melian, dette vita a Luthien, la più bella creatura che mai fosse apparsa e celebrata per molteplici imprese, dalla riconquista del Silmaril, assieme al suo amato Beren, dalla corona di Morgoth/Melkor, all’aver contribuito alla prima vera sconfitta di Sauron, senza contare l’aver originato, in ogni senso, la stirpe dei Mezz’elfi con la nascita di Dior Il Bello.
Elu Thingol non aveva certo cari gli umani, a differenza, invece, dei Nani, verso i quali serbava affetto e amicizia. A questi commissionò il delicato compito di incastonare l’appena recuperato Silmaril nella collana che gli stessi nani, tempo prima, avevano donato a Finrod Felagund, ossia la favoleggiata e meravigliosa Nauglamir: ma, fatta che fu l’opera, è noto che i Nani stessi ne furono colti da bramosia e desiderio di possesso. In ciò, dunque, si vede la differenza che passa nei rapporti tra le stirpi: sono i desideri di possesso a inficiare i migliori propositi ed i più saldi (almeno all’apparenza) legami. I nani infatti si rifiutarono di restituire la Nauglamir ornata del Silmarill al Re senza un “compenso adeguato”, essendo la collana un’opera meravigliosa di loro manifattura, che pure era stata all’epoca donata: in realtà, era il Silmarill stesso che, ancora carico di oscure brame di cui era circondato, riuscì ad irretirli e farli impazzire di desiderio di possedere quel gioiello. Così, quando il Re li scacciò minacciando di non pagarli nemmeno, essi lo uccisero e se ne impossessarono per poi fuggire: non solo così morì in modo indegno un grande tra gli elfi, ma dette vita alla tradizionale inimicizia tra i due popoli. Gli elfi difatti inseguirono i nani e li trucidarono, salvo alcuni: e questi ultimi, quando tornarono presso i propri simili, misero in giro la falsa voce che il Re non aveva voluto ricompensarli affatto per il lavoro compiuto, ed anzi li aveva fatti inseguire perché venissero uccisi e ridotti al silenzio. Inutile anche dire che cosa accadde dopo: i nani ovviamente si sollevarono perché convinti d’essere nel giusto e ne seguirono tragedie che non riportiamo in questa sede.
Se ci focalizzassimo sull’eccezione opposta dai Nani, ossia che l’oggetto, un tempo donato a Finrod Felagund, ora non poteva essere considerato di proprietà di Elwë in quanto recuperato “a guisa di un ladro” dal tesoro abbandonato di Glaurund, Padre dei Draghi (ucciso dall’eroe/antieroe Turin Thàlion) da Hùrin, potremmo persino notare un parallelismo con una saga fantasy differente, importante, più vicina a noi, ossia Harry Potter: in essa, i folletti, veri e propri artefici di gioielli e spade fatate e meravigliose, considerano “l’acquisto” di un oggetto da loro prodotto nulla di più che una sorta di diritto di proprietà transitorio, destinato però ad esaurirsi con la morte dell’acquirente, e trovando ingiusto e sbagliato che i Maghi si tramandino di padre in figlio gli oggetti acquistati. La Spada di Grifondoro ne era un esempio. Un semplice caso di parallelismo? Una mera coincidenza? Oppure un omaggio velato all’opera di Tolkien?
Facendo un passo indietro, Thingol venne tradito proprio da coloro di cui si fidava, laddove un esponente degli uomini, Beren, fu al contrario l’artefice di una prova degna di lode anche presso i Priminati, al punto da poter sanare la scarsa benevolenza che egli mostrava ai Secondogeniti.
In ciò, Tolkien rimarca un concetto che emergerà prepotentemente ne Il Signore degli Anelli, ossia che è “dalle mani dei piccoli che giunge spesso la salvezza”: che un umano, sia pur possente e valoroso come Beren, potesse recuperare uno dei Silmaril, impresa di cui nemmeno i più grandi dei figli di Fëanor potevano fregiarsi, era davvero cosa impossibile a pensarsi. E “piccolo”, senza dubbio, doveva apparire Beren agli occhi di un grande Signore degli Elfi come Re Thingol.
Non così però ad altri elfi, coloro che dovevano gratitudine alla casata cui apparteneva Beren figlio di Barahir, la Casata di Beor, perché da essa era dipesa la loro stessa salvezza: ne è un esempio il celebre Finrod Felagund, fratello di Galadriel e figlio di Finarfin, il quale, in pegno per la protezione offertagli e la salvezza donatagli, prestò giuramento al padre di Beren e donò in pegno un anello (l’anello di Barahir, appunto) che un giorno, dopo molti millenni, sarebbe stato indossato da Aragorn II, figlio di Arathorn II. Finrod fu uno dei più grandi amici degli Uomini, in effetti, il primo dei Noldo a scoprirne l’avvento e insegnar loro molte cose attraverso i suoi canti, destando il loro sapere e la loro intelligenza, una sorta di serafino ispiratore del genere umano: era l’alba dell’Uomo, e gli Uomini soprannominarono Finrod “Nom”, ossia Saggezza: egli prese i Secondogeniti sotto la sua ala protettiva, conducendoli con sé nell’Estolad, dove ebbero modo di crescere alla luce della cultura, conoscenza e saggezza degli Elfi. Il giuramento che prestò Finrod lo portò ad accompagnare Beren (ed ecco che i destini si intrecciano spesso, nell’universo tolkieniano) nella Cerca del Silmaril e a scontrarsi contro Sauron in persona, che però lo sconfisse, ed infine a morire pur di difendere Beren, un semplice uomo, dalle fauci dei lupi mannari inviati dall’oscuro signore.
Ma molti altri Elfi, il Silmarillion lo insegna, si volsero ora contro gli Uomini, ora contro i propri simili, per gelosia o desiderio di possesso: ed è una costante, in Tolkien, che il desiderio di potere sia la prima forma di caduta. Maeglin detto Lomion (“Figlio del Crepuscolo”) era il figlio di Eöl l’Elfo Oscuro e di Aredhel figlia di Fingolfin (nonché sorella di Turgon, Fingon e Argon): egli rappresenta forse il personaggio più contorto creato da Tolkien, una summa di valore in battaglia, maestria e conoscenza, intossicate dal desiderio, dalla passione e dalla gelosia. Difatti, nonostante Turgon l’avesse accolto quale proprio rampollo, in quanto Maeglin appariva grande persino tra i Noldor cui assomigliava, la brama di sposare la propria cugina, Idril Celebrindal, “l’atossicò”: un amore non corrisposto, un fuoco destinato a covare sotto le ceneri e pronto a divampare al minimo alito di vento, special modo perché di tutti i tesori che poteva desiderare, ella era l’unico che gli fosse precluso; e le cose peggiorarono quando Tuor, figlio di Huor e nipote di Hùrin (questi il padre del celebre Turin “Turambar” Thalion), un Uomo del casato di Hàdor, giunse presso il regno celato di Gondolin, si guadagnò fama ed onori (assai meritati) e contrasse nozze proprio con Idril Celebrindal, generando il famosissimo Eärendil il Marinaio. Fu allora che Maeglin cadde nell’oscurità delle proprie brame in quanto, venendo catturato dagli orchi e condotto dinnanzi a Morgoth, per aver salva la vita e, soprattutto, tentato dalla promessa di avere Idril per sé e grande potenza e fama presso i Noldor, svelò l’accesso segreto al Regno di Gondolin, causandone così la caduta e la distruzione; non solo, ma nei mesi trascorsi tra la liberazione dalla prigionia di Morgoth e l’effettivo attacco, egli non mostrò nessun rimorso né lasciò trasparire le sue vere intenzioni, divenendo di fatto il primo (ed unico) Elfo ad essersi effettivamente piegato all’oscurità.
Molti altri esempi di amicizia o di inimicizia si potrebbero narrare, sia tra le stirpi, che tra esponenti della medesima stirpe, nella meravigliosa tela che Tolkien ha dipinto: il fratricidio degli elfi ad opera di altri elfi ad Alqualondë per rubare le navi dei Sindar; il tradimento di Fëanor che abbandonò molti dei suoi simili agli stenti ed al gelo del Golfo di Helcaraxë; il nobile elfo Beleg Cuthalion, che morì malauguratamente per mano di colui che massimamente aveva amato , l’Uomo noto come Tùrin Turambar che era stato accolto da Re Thingol , il quale nel frattempo aveva mutato il proprio cuore ed addolcito i propri sentimenti verso i Secondogeniti; il tentato rapimento di Luthien ad opera di Curufin e Celegorm; il tradimento di Nim il Nano (si dovrebbe trattare di un Umli, i cosiddetti Mezzinani) che costò la vita dei compagni di Tùrin Thalion e per poco non portò alla morte gli stessi Tùrin e Beleg, e così via. È fin troppo evidente che Tolkien ha tessuto un arazzo fatto di imprese e gesta memorabili, così come dei più atroci delitti: tradimenti (come quello degli Uomini asservitisi a Morgoth che tradirono gli elfi nella Battaglia delle Innumerevoli Lacrime nella Prima Era, o che millenni dopo verranno meno al giuramento ad Isildur di combattere contro Sauron, scomparendo nella Montagna da cui, quali morti insonni, verranno richiamati da Aragorn per combattere e rispettare tale giuramento), grandi gesti di generosità (gli Uomini che, quasi vassalli degli Elfi, protessero Finrod Felagund o lo stesso Turgon creandogli una via di fuga), improvvisi atti di coraggio disinteressato (i nani guidati da Azaghâl che combatterono contro Glaurung, Padre dei Draghi per proteggere Uomini ed Elfi dalla sicura disfatta) hanno tutti quanti il sapore di una vita reale, vera, dipinta e creata con giudizio dal Maestro. Vedremo nelle prossime settimane come questo tema sia comune ad altre saghe fantasy, ovviamente derivate da quell’opera fondamentale, principale, di assoluto riferimento, che è la mitologia creata dal Professore.
– Leo D’Amato –