Quest’oggi iniziamo ad occuparci di un argomento un po’ particolare e profondo, lungi dalle precedenti trattazioni più goliardiche: l’amicizia interraziale.
“Chi l’avrebbe detto di morire, fianco a fianco ad un elfo…?”
“Ed invece, fianco a fianco ad un amico…?”
“Sì… questo potrei farlo…”
Ok, ok. Frenate le lacrime, cessate di piangere, detergetevi gli occhi, nascondete Gigi d’Alessio nell’armadio.
Alzi la mano chi non ha riconosciuto questa citazione.
Ed esca da questa pagina, per favore, che non stiamo a perdere tempo con chi non è un nerd.
Siete ancora qui? Perfetto, possiamo rimetterci in movimento.
Tradizionalmente, nella cultura fantasy, le ambientazioni sono multirazziali e le più diverse etnie e le più disparate razze entrano in contatto (o in conflitto) tra di loro: esempi come quell’amicizia profonda espressa da Gimli e Legolas (cavolo, ho spoilerato i protagonisti della citazione di cui sopra: vabbè, tanto chi non l’aveva colta era già andato via, poco male…) sono davvero rari così come appaiono, oppure sono più frequenti di quanto si pensi? Quello che oggi desideriamo affrontare è verificare quanto spesso accada, e se ci sono esempi nella narrativa più famosa che aiutano a sostenere l’una o l’altra tesi.
Va detto, in effetti, che le ambientazioni sono molteplici e quindi è pressoché impossibile esprimere un giudizio che sia completo e assoluto, anche perché si spazierebbe dal contesto prettamente ludico a quello romanzesco e, quindi, ne uscirebbe un articolo grande quanto un volume della Treccani. Per semplicità, proveremo a prendere, quale esempio, alcune delle ambientazioni letterarie e/o ludiche più famose: l’universo tolkieniano, Forgotten Realms e Dragonlance. In questa prima occasione, inizieremo a concentrarci su alcuni personaggi di un certo calibro e rilievo creati dal Professore. Come, “quale Professore”? Non vi rispondo.
Ne Il Signore degli Anelli, il primo esempio, quello più palese, è dato da Gimli e Legolas, che rappresentano l’esempio più fulgido e meglio noto di profonda amicizia tra le razze: tant’è che, nelle Appendici, viene anche svelato che, stando a quanto “molti sostengono”, un giorno il buon figlio di Gloin partirà assieme al figlio di Thranduil per andare “al di là del mare”, di fatto sancendo per la prima volta il viaggio di un nano che si è diretto nelle Terre Immortali, le quali, di fatto, già si erano sdoganate accogliendo alcuni anni prima Frodo e Bilbo, in qualità di Portatori dell’Anello: ma non è l’unico esempio, come vedremo. Restando su Gimli, va difatti considerato che è plausibile che non sia stata solo l’amicizia tra Legolas ed il nano a consentire a quest’ultimo di andare là dove i soli immortali si erano diretti o avevano vissuto, ma che questo si debba proprio ad una intercessione personale della stessa Galadriel, Signora dei Galadhrim, della quale il nano s’era innamorato: nulla di fisico, beninteso, ma moltissimo di spirituale, allorché al figlio di Gloin “[…]parve di penetrare nel cuore di un nemico e di vedervi all’improvviso, e di trovarvi amore e comprensione.” È un amore platonico, un ascendente intensissimo che Galadriel, espressione di una purezza virginale di cristiana memoria, ha saputo ispirare nel nano, aiutandolo ad abbattere preconcetti, chiusure mentali, forse persino le barriere che hanno sempre cinto la di lui mentalità e hanno in qualche modo pilotato e limitato la sua morale. Gimli è un nano, e questo implica anche che, a differenza di ciò che è emerso dalla pellicola di Peter Jackson, non è una macchietta (in senso buono) o un personaggio caricaturale (in senso negativo) come invece è stato presentato: come tutti i nani serba, gelosamente custoditi, i tesori più grandi sotto un cumulo di rocce impraticabili o di antri preservati, e questo è tanto più vero quanto più ci si riferisce al suo vero io, severo, orgoglioso, coraggioso, impavido. Non è un personaggio che deve far sorridere o ridere per i suoi eccessi o le sue “sboronate” (“Certezza di morte, scarse probabilità di successo… che cosa aspettiamo?”), ma che al contrario deve lasciar riflettere sull’indole del proprio popolo, di cui incarna il meglio, limitando fortemente il peggio: è un principe, è un guerriero desideroso di mettersi alla prova senza l’ansia che contraddistingue Boromir, per esempio, il quale è figura così meravigliosamente umana da meritare un articolo tutto per sé (prima o poi… sì, ce l’abbiamo nella lista delle cose da fare, promesso!). C’è una netta evoluzione nel personaggio di Gimli e non si può non notarla, dal momento della partenza della Compagnia fino a quando raggiunge Caras Galadhon e si misura con la Signora dei Galadhrim: eppure questa evoluzione, lenta ma costante, appare meno evidente di quella di altri personaggi, e potrebbe sembrare non definitiva proprio nel momento topico, ossia quando viene proclamato che non gli sarà concesso di attraversare Lothlorien se non bendato, cosa che riaccende antiche rivalità e fa leva (in maniera differente e meno crassa di quanto trasposto sulla pellicola) sull’orgoglio del nano, che recita “Andrò avanti, o tornerò indietro, nella mia terra in cui è risaputo le mie parole sono veritiere”. Molto diverso da quell’insulto che il nano rivolge ad Haldir nella versione estesa de La Compagnia dell’Anello, ossia “Ishkhaqwi ai durugnul” ossia “Sputo sulla tua tomba”, traducendolo dal Khuzdul, la lingua dei nani. Quindi, volendo cercare il pelo nell’uovo di un vero capolavoro che è la Trilogia di P. Jackson, c’è da riflettere su una non perfetta interpretazione dello spirito dei nani (come di Theoden, di Faramir, di Barbalbero, ma tant’è… non è questa la sede, e resta comunque una meraviglia quell’opera cinematografica) e su come a Gimli, impropriamente, siano toccate le parti destinate a smorzare un poco il pathos ed ora ad esaltare, ora a divertire.
Si diceva, tuttavia, dell’amicizia tra Gimli e Legolas: essa verrà approfondita tra i due proprio grazie al soggiorno presso Lothlorien, e si svilupperà soprattutto durante l’inseguimento degli hobbit rapiti dagli Uruk-hai da parte dell’elfo, del nano e dell’uomo, rappresentato da Aragorn. È proprio quest’ultimo a fungere da ideale collante tra quei due mondi così distanti, lui che ha molteplici ragioni per essere a sua volta parte di un mondo a sé: un’affinità che porta Gimli e Legolas a legarsi al dùnedain e, ciascuno per proprio conto e modo, ad amarlo e riverirlo. V’è molto amore nell’opera di Tolkien, amore tra amici, un amore che è puro e non macchiato da passioni terrene: e Gimli ama, a suo modo, tanto Galadriel quanto Legolas, perché durante il viaggio inizia a guardare il vasto mondo con occhi differenti, apprezzando la compagnia degli hobbit, che gli viene però sottratta troppo presto (per così dire), quella di uomini poderosi e valenti come Aragorn e Boromir, quella maestosa e saggia di Gandalf, il cui potere intrinseco era peraltro intuibile dal nano, la cui stirpe ben conosceva colui che gli elfi chiamavano Mithrandir e a cui i khazad si rivolgevano col nome di Tarkhun. Gimli è un nano che si ridesta come il più fulgido esempio del suo popolo, fin dai tempi dei Sette Padri, probabilmente, rappresentando l’ideale nano cui bisognerebbe riferirsi allorché lo si interpreti nei gdr. I Nani di Tolkien – non a caso, una razza scritta con la “N” maiuscola – sono un popolo nobile e fiero che ha avuto diversi legami proprio con gli elfi, nel passato. Non può esser trascurato quanto emerge nel Silmarillion stesso, in cui si evince come essi fossero in maggior confidenza con i Noldor tra tutte le stirpi elfiche, perché entrambe veneravano particolarmente Aule, il Vala che con il suo amore per la creazione e i doni di minerali e gemme, era l’Efesto-dio che maggiormente si confaceva all’estro, all’arte, alla incessante brama di realizzare cose mirabili che accomunava le due stirpi.
Ma Gimli è solo un esempio di ciò che rappresenta uno sguardo più completo e grande, vasto come le Ere che si respirano trascorse, attingendo al Silmarillion, che Tolkien ha narrato: ed è quello più semplice, immediato, si diceva, che si può cogliere nel suo rapporto con i “non-nani”, come Legolas, come Aragorn, come Galadriel… e come gli hobbit tutti. Non è forse Gimli figlio del nano Gloin, il quale assieme a Thorin Scudodiquercia doveva grande gratitudine a Bilbo per atti di insospettabile furbizia, coraggio ed astuzia, nonché valore in giuste dosi mescolate? Ovviamente Gimli non poteva non essere un gentilnano dalle vedute aperte, consapevole che vi erano tesori che potevano rilucere in luoghi insospettabili.
Anche se nel cuore di un uomo.
Anche se nel cuore di un hobbit.
Anche se nel cuore di un elfo. Accanto al quale viaggiare verso le Terre Immortali, abbandonando persino i propri simili, per ricongiungersi a Colei, Galadriel, alla quale un nano aveva donato fedeltà ed amore, e Colei la quale aveva a lui donato tre capelli della sua chioma dorata, dal nano incastonati in cristallo, per sancire eterno legame ed amicizia tra il bosco e la montagna.
–Leo d’Amato–