Avevo venticinque anni quando diventai un vampiro, era il 1791…
Piccolo popolo degli isolani, voglio dare inizio con voi a un piccolo viaggio nel tempo come già ci è capitato di fare in merito ad altri temi. Oggi parte una piccola serie a puntate in cui faremo insieme un breve excursus su una di quelle autrici che ha lasciato il suo nome nella storia della letteratura dell’orrore: signori, abbiamo il piacere di presentarvi la regina delle tenebre, meglio conosciuta come Anne Rice. E come parlarvi di lei se non partendo da quello che è il romanzo più famoso e che forse le ha davvero dato il nome con cui è conosciuta? Stiamo parlando di Intervista col Vampiro, sì, proprio quello il cui omonimo film interpretato dagli allora giovani Brad Pitt e Tom Cruise, può sicuramente considerarsi un “must” per gli amanti del genere. Ma del film, signori miei, parleremo in un altro momento, ora ci soffermeremo sul libro, quello che ha dato inizio a tutto.
Edito qui in Italia nel 1976sotto il marchio Longanesi, è il primo capitolo delle Cronache dei Vampiri. Probabilmente quando inizialmente il primo volume venne presentato, l’autrice non aveva potuto immaginare quanto questa saga sarebbe stata fortunata nel corso degli anni avvenire. La trama può sembrare semplice, l’input di certo lo è. Un vampiro e un giornalista si trovano in una stanza, e il primo comincia a raccontare la sua storia: da una piantagione della Louisiana della fine del settecento, Louis, il protagonista della vicenda narrerà le sue vicende, dalla morte del fratello, alla ricerca egli stesso della morte, all’incontro con il vampiro Lestat, colui che lo rese un immortale. La notte in cui la vita umana aveva raggiunto la fine per lasciar sorgere il vampiro. E qui è il grande estro della Rice nel descrivere come il mondo possa essere differente visto dagli occhi di un mortale e dagli occhi di quelle creature della notte, perché è la notte ciò che resta a coloro cui è negata la luce del giorno. “Non innamorarti così follemente della notte da smarrire la strada“. Ma c’è altro. Il dramma interiore magnificamente descritto dell’essere che, per vivere, ha da strappare altre vite, e quell’ultima traccia di umanità a cui il protagonista del romanzo è così follemente attaccato. Lui che vede quel Lestat freddo e che non riesce ad essergli simile, o forse non vuole. Luois, il vampiro che ha rispetto della vita e che ha pietà di quell’esistenza quasi fino a punire se stesso. Finché cade, come cadono gli angeli, finché cede alla voce del sangue che ha il viso di un’innocente. La piccola Claudia, “Avrà avuto cinque anni al massimo..“, la bambina vampiro che Lestat rende tale per stringere quella presa che ha sul protagonista. Un’altra delle figure emblematiche e carismatiche, forse anch’essa fra le più affascinanti nate dalla penna dell’autrice. Lei che non può crescere nel corpo e che pure, col passare dei secoli, acquista la consapevolezza della donna che non sarebbe mai diventata. Lei che, nonostante il viso angelico, forse è più crudele ancora nell’animo con quella testardaggine tipica dei fanciulli e in rancore conservato, che cresce e si moltiplica. Lei che diviene la rovina di chi l’ha concepita. È proprio lei a causare quella scissione definitiva, almeno nei termini di questo romanzo, fra il protagonista e il suo creatore, dando però inizio a un’altra fase: la ricerca. La ricerca della consapevolezza di sé, la presa di coscienza. Il viaggio fino all’entroterra francese, fino a Parigi, fino al Teatro dei Vampiri. La trasposizione cinematografica lascia alquanto a desiderare sotto questo punto di vista. La figura di Armand, capelli ramati, un essere che costeggia l’onirico, la sua espressione immobile e distaccata, non ha nulla a che vedere con quella di Banderas. La forza dell’Armand del romanzo è anche nell’aspetto fanciullesco e nello sguardo di chi ha vissuto a lungo, cosa che il film purtroppo lascia cadere. Ma quel che è la chiave di questa terza parte è il “chi siamo?” rivolto all’esistenza vampiresca. Chi sono i vampiri di Anna Rice? I figli di Satana? Non c’è una vera risposta alla domanda se non supposizioni. Vi è un Dio, vi è un Diavolo? Chi è l’uno e chi è l’altro? La riflessione, ancora una volta il potere di quest’opera che viene resa immortale come i suoi stessi protagonisti.
Il vampiro di Anne Rice è un vampiro che si mette a nudo, che sfoglia quello strascico della propria anima, se tale può definirsi. C’è un velo di malinconia, un’aura che rende questa figura affascinante, misteriosa, lontana da quello che è il modo di vedere umano, eppure sotto di essa c’è un’analisi dell’umanità negli aspetti più profondi, che sfuggono anche all’uomo stesso. Il giornalista, “l’uomo del mio tempo” direbbe Quasimodo (anche se il tempo di Quasimodo, il tempo del romanzo e il tempo di questa relazione non è lo stesso), mostra come l’essere umano sia fondamentalmente lo stesso all’interno delle epoche. Il desiderio dell’immortalità si scontra contro quello della mortalità che viene posto dalla prospettiva del vampiro. Due mondi opposti, eppure simmetrici. Il genio di Anne Rice è qui, nei messaggi che vengono celati fra le righe delle pagine, nel concetto di bene e male e di come non ci sia in realtà nulla di così assoluto. C’è un crescendo, che prosegue anche nei volumi successivi, qualcosa che tiene il lettore con il naso legato alle pagine. Qualcosa che fa sprofondare nel mondo del protagonista a permette di attraversare con lui i secoli che lo separano dall’epoca moderna. Le descrizioni si fondono con l’introspezione di questa scrittura e ne fanno un’opera unica e al tempo stesso inimitabile, che ha lasciato una traccia in quella che è la letteratura del genere successiva.
Vampiri, quelli che hanno delineato la figura, quelli che la letteratura moderna sembra in parte aver dimenticato, ponendoci invece di fronte a figure flaccide, prive di una personalità e di carisma. Creature che non hanno quella che è la vera anima del vampiro stesso, più simili a ragazzetti senza arte né parte, con una crisi ormonale. I vampiri di Anne Rice hanno storie di raccontare, storie che lasciano il segno e spingono alla riflessione. Sono un po’ filosofi, questi vampiri, ma di questo approfondiremo maggiormente nella prossima puntata.
–Eleonora Carrano–