“Lo sa il Cristo ch’e’ velato di vergogna e di mistero. Da quel nobile alchimista principe di Sansevero. E con lui lo sa Virgilio il sincero Sannazzaro Giambattista della Porta che il colpevole e’ il denaro”…
Il viaggio verso l’Italia non è cosi complicato, e muovermi verso la prossima meta mi piace.
Oggi siamo sulle tracce di una figura che per molti unisce il fascino della ricerca, della magia e della nobiltà, ma prima lasciatemi fare un minimo di accenno: non possiamo seguire la storia di qualcuno che non conosciamo, e se siamo arrivati fin qui certo non ci siamo venuti per niente. Lo chiamano principe, il principe di Sansevero, e altri il principe studioso delle tenebre: io lo chiamo solo mistero da risolvere.
Corre l’anno 1710. Il 30 gennaio nasce Raimondo di Sangro. Orfano di madre e abbandonato dal padre il giovane Principe cresce con i nonni, prima di partire per Roma alla volta di un collegio di Gesuiti. Non ci volle molto tempo prima che cominciasse a far parlare di sé. Di lui tutto si sente: colto, amante dell’arte, gran mecenate e personaggio di rilievo nella vita culturale napoletana. Un personaggio pieno di estro, arrogante, nobilotto, naturalista e filosofo, appassionato di alchimia, di meccanica e delle scienze in genere. Insomma, all’apparenza un perfetto intellettuale illuminista e al contempo un occulto alchimista, che segretamente coltiva la passione per un esoterismo sconosciuto.
Certo, a distanza di secoli è difficile determinare dove finisca la storia e dove inizi la figura ammantata di mistero. Non stupitevi se facendo il suo nome ancora furtivamente, molti si facciano il segno della croce: di lui la gente racconta che fosse una specie di stregone, un alchimista diabolico che faceva rapire poveri disperati i cui corpi dovevano servire per i suoi turpi esperimenti, un castrafanciulli senza Dio che nessun potere, neanche quello del re, riusciva a controllare. Qualcuno arrivò a dire che aveva ucciso sette cardinali con le cui ossa e pelle avrebbe fatto altrettante orribili seggiole. Ma se il popolino lo temeva e lo diffamava, non è che le classi socialmente più elevate lo stimassero più di tanto. Il principe, infatti, fu anche il primo Gran Maestro della massoneria napoletana.
Pochi passi che riecheggiano in vecchie mura e su antichi marmi, testimonianza del tempo che fu, indicano la mia presenza nel luogo. Non nego che mi ricordi casa, ma guardo queste pareti, questi cimeli di cultura e magia, e mi chiedo cosa accadesse nelle stanze in cui lui abitava, chi era veramente: un nobile illuminista? O un ricercatore dell’occulto? Meglio muoversi per trovare qualche risposta, qualcuna di quelle che alla napoli di allora sfuggì, che prendeva sonno tra rumori insoliti, strani odori, bagliori inquietanti e movimenti sospetti. Non ci volle molto perché il suo laboratorio divenne il luogo più leggendario della città, e la fantasia popolare gli attribuisca invenzioni incredibili come il “lume eterno”, una fiamma che arde senza fine consumando minime quantità di un combustibile di sua invenzione, ottenuto, si diceva, anche tritando le ossa di un teschio umano, oppure una macchina idraulica capace di far salire l’acqua a qualunque altezza, e una carrozza “anfibia” in grado di andare per terra e mare, con la quale attraversò il golfo di Napoli. Ma il suo vero capolavoro si trova in un vicolo stretto e buio, uno dei luoghi più misteriosi della città. Beh, cosa vi aspettate, è un indagine sul mistero, e ovviamente ci saremmo finiti prima o poi, no?
Nonostante l’insegnamento religioso che aveva ricevuto dei gesuiti, ben presto il giovane nobile napoletano entrò a far parte della Confraternita segreta dei Rosacroce, dove venne iniziato ad antichi riti alchemici. Da quel momento, il Principe cambiò radicalmente la propria vita, dedicando tutto il suo tempo all’alchimia. Alambicchi, forni e provette riempirono così lo scantinato del suo palazzo e di notte non era raro vedere strani fumi colorati e sentire odori pestilenziali fuoriuscire dalle finestre sbarrate che davano sulla strada. Fu in quel periodo che i napoletani iniziarono a chiamarlo “stregone”.
La suggestione occultistica e alchimistica avvicinò più di un migliaio di “fratelli” alla massoneria, suddivisi in diverse logge. Nel Settecento le logge prendevano il nome delle taverne dove i “muratori” si incontravano per discutere di filosofia, di essoterismo, di politica, tutto nel rispetto dell’uguaglianza e del libero pensiero. Il 26 dicembre 1750, infatti, accusato di massoneria dalla chiesa e dal regno Raimondo si era presentato al re e gli aveva consegnato la lista dei nomi degli affiliati alla sua loggia massonica, tradendo il segreto massonico. Cacciato ed odiato dalla sua antica fratellanza e dagli stessi amici di un tempo, il Principe tornò a occuparsi, libero ed innocente, per gli ultimi vent’anni della sua vita, dell’alchimia e della realizzazione della sua Cappella, dove lavorò ad esperimenti estremamente singolari…
Continua…
Shar-kharn, custode di mondi
–Michele D’Elia–