Non mi aspettavo molto da Edhel, nuovo film presentato come “fantasy drammatico italiano” che vede l’esordio alla regia di Marco Renda, ma ero convinto di trovare in sala almeno un prodotto valido, forte del suo secondo posto al Giffoni Film Festival nella categoria Elements +6 (dove la giuria è composta di bambini dai 6 ai 9 anni) e di un’incetta di premi al Los Angeles Film Awards. Con sommo dispiacere ammetto di essere uscito dalla sala sollevato per la fine del film, e incredibilmente deluso.
La trama della pellicola è abbastanza semplice e lineare da seguire, nonostante le scene rendano malissimo il trascorrere dei giorni. Edhel è una bambina con una malformazione alle orecchie che le dona l’aspetto di un’elfa. Non si è mai vergognata di ciò che era fino al giorno in cui suo padre, un anno prima, è morto in un incidente a cavallo durante una gara. Aiutata da niente e da nessuno a superare la perdita del genitore, comincia a vergognarsi delle sue orecchie e a nasconderle sotto un enorme cappuccio. Il fatto di avere un qualche tipo di segreto attira su di lei le bulle della sua nuova classe, che la tormentano e la attaccano persino nel bagno, armate di smartphone. La sua unica gioia sembra essere Caronte, il cavallo del padre con il quale impara giorno dopo giorno l’equitazione. Questa situazione, nella quale le orecchie sono solo la punta dell’iceberg (ma nessuno sembra accorgersene), ha una via di uscita con l’arrivo di un’operazione che possa donare a Edhel delle orecchie umane. Nel periodo che precede l’intervento, la bambina viene avvicinata dal bidello Silvano, amante del fantasy e discreto disegnatore, che le introduce il mondo degli elfi.
Andiamo ora un po’ ad analizzare più nel dettaglio i personaggi, partendo ovviamente dalla protagonista. Edhel ha solo 12 anni e la vita le ha già regalato un grandissimo dolore con la morte del padre. Non si capisce come, ma è riuscita ad arrivare a questa età senza mai aver visto un cartone animato, letto un libro o visto un film che parlasse di elfi. Ovviamente i suoi genitori, consci della particolarità delle sue orecchie, si sono ben visti dal farla sentire speciale o accettata attraverso questi mezzi o il ricorso a uno specialista…
Il suo accettare le orecchie da elfo è interamente dovuto al padre e alla sua promessa di proteggerla da tutto e tutti: una volta scomparsa questa figura dalla sua vita, inizia l’ovvia crisi. Il problema di Edhel non è che gli altri non la accettino, ma che lei non accetti se stessa. Sul lato recitazione, consiglio a Gaia Forte (interprete del personaggio) almeno una decade di frequentazione di una scuola decente: le sue reazioni sono finte ed esagerate e sembra quasi che neanche lei creda alle sue battute.
Passiamo poi a parlare di Ginevra, il personaggio meglio scritto di tutto il film, una madre ritrovatasi sola e con un enorme senso di colpa dovuto alla morte del marito. Il film ci lascia capire che la situazione lavorativa non sia delle migliori ma, con una figlia sulle spalle, è altrettanto normale che preferisca una certa sicurezza economica all’impiego dei suoi sogni. A tutto questo si lega il fatto che la figlia Edhel abbia cominciato a disprezzare le sue orecchie e a girare con un cappuccio anche in casa e, come se non bastasse, a fare equitazione con il cavallo del padre. La sua fragilità è quella che meglio si comprende nel film perché è quella scritta e recitata meglio. Tuttavia anche nel suo caso aleggia l’immensa domanda del perché non si rivolga a uno specialista: un lutto familiare non è cosa da prendere alla leggera, e questo film lo dimostra ampiamente.
Voglio anche parlare del personaggio di Silvano: trovo importante farlo perché una delle mie critiche più efferate al film comincia proprio da lui. Un bidello fatto assumere dal padre in una scuola, che non ha mai dato problemi ma non ha mai neanche combinato nulla nella sua vita. Sogna di fare l’illustratore o il fumettista (sembra avere le idee abbastanza confuse a riguardo, o forse era lo sceneggiatore a non intendersi della materia) ma il padre ha sempre osteggiato la sua predisposizione dando alle fiamme i suoi disegni. È un esperto di fantasy al punto tale da crederci: tenta per tutto il film di convincere Edhel che lei sia un’elfa con poteri di chiaroveggenza e che debba soltanto riunirsi al suo popolo per trovare la pace. Non sto parlando di una finzione che si potrebbe dare a un bambino di 12 anni per aiutarlo a sentirsi in pace con se stesso: Silvano prova attivamente a convincere Edhel a scappare con lui.
Questo ci porta a parlare del fantasy presente nel film. Alcuni lo hanno definito “tratteggiato” o “appena accennato”, ma io rispondo che se questo è il “fantasy italiano”, tanto vale metterci immediatamente una pietra sopra. Giusto per dirne una, se Silvano fosse stato un amante di Star Trek e avesse provato a convincere Edhel di essere una vulcaniana, il film non sarebbe cambiato di una virgola. La magia non è presente in questo film, salvo una o due visioni verso il finale. Sono inutili le parole della voce narrante che ci dice che “alla fine ognuno crede a ciò che vuole”, quando per l’intera durata della pellicola tutti i personaggi, escluso Silvano, insultano a più riprese il fantasy. Tutto quello che osserviamo per 90 minuti sono stereotipi su stereotipi del tipico fan del genere, con tanto di allenamento di scherma medievale e gite nel bosco con elmo e cotta di maglia.
Giusto perché non si poteva scendere più in basso, abbiamo persino una scena di gioco di ruolo. Nel piano più basso di quella che sembra essere una fumetteria incontriamo tre giocatori, seduti a un tavolo mentre tirano dadi. Già solo dalle parole di Silvano (“Ogni giocatore ha un personaggio ben definito e i dadi sono tutto”) si ha un’idea di quanto raccapricciante possa essere la scena. A completare il tutto ci sono ovviamente i tre giocatori: il Master è in evidente sovrappeso, con magliette a tema e il suo arco “appena vinto”; seguono il ragazzo magro tutto dark che non vede il barbiere da qualche anno, e la ragazza in ovvio costume elfico. Un applauso all’originalità di questi personaggi. Ci si potrebbe quasi aspettare che Edhel venga invitata al tavolo per giocare di ruolo, ma questo avrebbe reso il film troppo intelligente.
Per il bene del genere nel nostro paese, spero che questo film abbandoni al più presto l’appellativo di “Fantasy Italiano” e si confronti con altri film sul bullismo e sulla non accettazione di se stessi.
–Simone Maccapani–
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Edhel, la recensione del film
Simone Maccapani
- Buona la fotografia;
- Carina la velocissima lezione sugli elfi;
- Livello recitativo quasi sempre sottotono;
- Una trama lenta che non porta da nessuna parte;
- Personaggi stereotipati al massimo;
- Non è fantasy, nonostante venga presentato come tale;
- Non è rispettoso delle tematiche che tratta;