Avete presente quel periodo della nostra gioventù in cui tutti noi, alle quattro del pomeriggio, immancabilmente guardavamo i “cartoni sulle maghette”? E dico “tutti” perché tanto so che anche voi maschietti, chi più e chi meno dichiaratamente, li amavate.
Ebbene, la prossima volta che qualcuno proverà a farvi sentire gratuitamente in imbarazzo perché guardavate un cartone frivolo e stupido, ricordatevi che non solo questo genere di manga e anime è presente fin dalle origini del fumetto giapponese, ma anche che vi si sono cimentati alcuni dei più grandi maestri dell’animazione nipponica, a partire dallo stesso “padre dei manga”, Osamu Tezuka (I Bon Bon Magici di Lilly), passando poi per Go Nagai (Cutie Honey) e per l’autore di Evangelion, Hideaki Anno (regista di Sugar Sugar Rune).
Infatti, il mahō shōjō (“ragazza magica”) o majokko (“streghetta”) è una tipologia di manga per ragazze (gli shōjō) in cui i classici temi romantici e sentimentali vengono inseriti in una storyline tipicamente fantastica e avventurosa, fattore che li rende particolarmente appetibili anche a un pubblico maschile. Nella sua enorme varietà di realizzazioni, fra streghette con poteri sovrannaturali innati (come avviene nello storico Bia, la Sfida della Magia), maghette con oggetti magici donati da creature fatate (chi si ricorda L’Incantevole Creamy?) e sentai mono (i gruppi di eroine con poteri speciali da usare in difesa della Terra – Sailor Moon per capirci), questo genere risale agli anni Sessanta, con la messa in onda di Sally la Maga, sul quale ha lavorato anche Hayao Miyazaki.
Nella sua eterogeneità, il mahō shōjō ha sempre saputo reinventarsi, creando le streghette/maghette/eroine di cui ognuno di noi, in un certo momento della sua vita, aveva bisogno, ispirando e divertendo generazioni di ragazzi e ragazze, spesso senza che gli anni togliessero a queste opere il loro fascino, ormai quasi leggendario. Siamo tutti cresciuti con questi anime e non c’è dubbio sul fatto che queste protagoniste sapranno sempre riempirci di gioia e dolce nostalgia, poiché parlano ancora a quella parte di noi così fortunata da non crescere mai.
Probabilmente non scorderò mai quando vidi per la prima volta Magica Magica Emi: bastò la sigla cantata da Cristina D’Avena per farmene innamorare, anche se poi fu il lungo percorso di crescita della protagonista a rendermi una spettatrice fedele. Infatti, in questo majokko la magia non è tanto uno strumento per salvare il mondo o conquistare l’amore, bensì un mezzo con cui la giovane Mai può realizzare il proprio sogno: diventare una famosa prestigiatrice, prima trasformandosi nella bella Magical Emi, e infine acquisendo fiducia in se stessa, rinunciando ai propri poteri e presentandosi al mondo come Magical Mai.
Ma anche Lamù, scoperto per caso, non fu da meno: nonostante la sua trasmissione italiana a singhiozzo, come si poteva restare indifferenti di fronte a quello sgangherato gruppo di liceali alla presa con dei demoni (gli Oni) provenienti da un altro pianeta? E come poteva non far ridere l’eterno tira e molla fra la principessa Oni Lamù e l’eternamente sfortunato Ataru, scelto a caso come paladino della razza umana?
Non fatemi nemmeno iniziare a parlare di Sailor Moon: sono nata nei primi anni Novanta, quindi potete immaginare cosa pensi di questo straordinario anime e del suo ancor più straordinario gruppo di eroine, nelle quali ogni bambina della mia età si è completamente immedesimata. Sailor Moon ha tutto ciò che si può volere da uno mahō shōjō: azione contro le forze del Dark Kingdom, romanticismo tra la protagonista Usagi/Bunny e il sempre bello Tuxedo Mask/Milord, mistero nella scoperta delle origini dei poteri delle protagoniste e, ovviamente, tanta, tanta magia.
Concedetemi anche due parole su quel concentrato di pucciosità e carinerie che è stato Magica DoReMi, il mahō shōjō dei primi anni Duemila che tutti noi abbiamo guardato in segreto, perché alle medie dovevamo già atteggiarci da adulti. Ebbene, se DoReMi non può certo essere considerato un capolavoro, diamogli almeno atto di aver unito le caratteristiche dei tre principali filoni majokko in un’unica opera ibrida, dove delle streghette si vedono donare i propri poteri dalla rana Raganella, formando un affiatato gruppo di eroine.
E quando si cresce e si entra in quella fase nichilista e disillusa dei primi vent’anni? Il mahō shōjō di nuovo non ci lascia a bocca asciutta, perché le sue tematiche solo apparentemente banali in realtà possono fungere da base anche per sofisticate decostruzioni del genere, come è avvenuto nel recente Puella Magi Madoka Magica. Cosa c’è, dopotutto, di più geniale di un anime in cui la solita, adorabile mascotte altri non è che un alieno privo di emozioni, il cui scopo è far combattere eternamente maghe e streghe per stabilizzare l’entropia dell’universo?
Insomma, il mahō shōjō è un genere che ha formato la nostra infanzia, ma probabilmente in futuro avrà ancora moltissimo da dire tanto a noi quanto alle nuove generazioni, influenzando l’animazione mondiale: da dove credete che abbiano tratto ispirazione i francesi per Miraculous Ladybug e gli statunitensi per Star vs. The Forces of Evil? Ma alla fine, possiamo davvero aspettarci qualcosa di diverso da una generazione di animatori cresciuti, come noi, a pane, cartoni Disney, Star Wars e maghette giapponesi?
Ma ora che avete letto i miei due centesimi sull’argomento, raccontateci voi: quali sono i mahō shōjō della vostra infanzia? Che ne pensate dei majokko odierni? Sono un passo indietro rispetto ai classici del genere?
–Gloria Comandini–
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