In passato, prima di conoscerlo bene, avevo sentito spesso citare R.A. Salvatore, credendo fosse un raro esempio di scrittore italiano riuscito ad avere successo oltre le Alpi, uno dei pochi coraggiosi emersi da quell’abisso nero che era, ed è tutt’ora, gran parte della situazione editoriale italiana. Purtroppo l’americanissimo Robert Anthony ha ben poco da spartire con l’Italia, se non un cognome dal sapore nostrano e un generale amore per il bel paese (cosa abbastanza comune in tutto il mondo, per nostra fortuna). Affezionatosi al genere fantasy grazie a sua maestà Il Signore degli Anelli, dono natalizio d’infanzia, ha regalato alla letteratura fantastica innumerevoli storie, molte delle quali (venti, per la precisione) incentrate sul suo personaggio più famoso: Drizzt Do’Urden, un drow dall’animo buono sfuggito alla sua malvagia città.
Con migliaia di copie vendute in tutto il mondo e una schiera di fan pronto a seguirlo a ogni evento che lo vede come ospite, Salvatore è uno dei pochi autori di fama internazionale a poter dire la sua in un contesto letterario ormai traboccante, al fianco di personaggi del calibro di Martin, Tolkien, Hobbs, Brooks, Pratchett, Rowling, Sanderson e King. Certo, Drizzt proviene comunque da una delle ambientazioni più utilizzate e tutt’ora più amate degli anni ’90 per D&D, il Faerun. È un personaggio che è impossibile non conoscere e non amare…
… beh, forse.
Già, perché tra i tantissimi lettori del buon Salvatore, tra le orde scoppiettanti di fan in adorazione per Drizzt e per i suoi cicli, non manca una schiera di persone non proprio entusiasta, né felice, del successo ottenuto dal buon Robert. Haters? Probabile. Criticoni infelici? Forse. Ma scavando all’interno di questa bolgia, lo ammetto, ho trovato un certo conforto nella loro visione, almeno dopo aver spazzolato via quella sana crosta di invidia e quel semplice fiato dato a bocche che non meriterebbero di proferire parola.
Mi trovo parzialmente d’accordo nel reputare Salvatore, come dicono i sopracitati haters (li chiamerò così per compiacere le masse), uno scrittore sopravvalutato; non incapace, non monotono, non infruttuoso. Molto semplicemente famoso, ma senza controllo. I suoi libri sono scorrevoli, non c’è che dire, ma a un occhio maturo, forse differente dal pubblico teen verso il quale sembrano rivolti, emergono evidenti problemi narrativi e scenografici. E la questione non ha a che fare con l’ambientazione Faerun, che se presa in piccole parti narrative riesce a non marcare troppo i problemi (reali e spesso citati da tanti Master) della sua controparte GdR: i dilemmi sono insito nel personaggio di Drizzt, e in tutti i suoi alleati e nemici.
Drizzt: un munchkin (a.k.a un personaggio particolarmente dedito al menare mazzate) che molto spesso surclassa col carisma, che lo stesso autore gli attribuisce, innumerevoli comprimari; troppo spesso dotato di una Plot Armor capace di farlo sopravvivere a una decina di Battaglie dei Bastardi di fila e, dopo queste, riuscire a farlo apparire comunque più complessato, dark e potente di prima. Questi i suoi palesi quanto prevedibili difetti, anche a causa dell’epoca nella quale è nato: un tempo dove il GdR era più un wargame che un gioco di narrazione, col primo che stava lentamente sbiadendo.
È un personaggio che molto spesso si ritrova a vivere esperienze nate da un gioco di ruolo di scarsa originalità narrativa, con trame spesso fragili, capaci da venire fuori solo da un Narratore poco creativo, o abituato a un gioco vecchio stile. Descritte bene, certo, e con buoni combattimenti, ma pregne dei sopracitati problemi. Problemi che fanno tanto, troppo anni ’90. E in me si riesumano fantasmi forgiti, e gli dei me ne vogliano quando penso che, in fondo, The Forge non ha fatto poi cose così malvagie (qualcuno urli “Qvando c’iera lvi!“, per piacere).
Tutto ciò che è subentrato dopo Drizzt all’interno del mondo del GdR non ha fatto altro che complicare la già annosa e pesante situazione: un esplosione di Ranger Drow a 2 armi nelle campagne, supplementi spesso non necessari (simpatici, ma non necessari) per l’ambientazione di Faerun e, in generale, l’ingresso dello stereotipo “tipo losco dal passato travagliato che combatte per ridare lustro al suo nome disonorato”. Un PG quotato venti a zero tra i neofiti, irrimediabile bersaglio di Master frustrati e spesso primo personaggio a morire in una campagna.
R.A Salvatore con Drizzt ha creato un’icona diventata però caricaturale, uno stereotipo popolarissimo e quindi spesso scontato e banale, ingestibile perché anti-sociale e decisamente inadatto a gran parte dei giochi di moderna concezione.
Perché, quindi, è rimasto sulle bocche e nelle fantasie di molti (e molte), esattamente come una più giovane, meno profonda e italianissima Nihal (Cronache del Mondo Emerso)? Esiste un reale motivo per il quale sia così amato, senza che questo sia un amore infantile, spesso individuabile nella scarsa esperienza letteraria? Voi avete provato a leggere una storia di Drizzt dopo averlo fatto con Pratchett, Sanderson o Martin e, se sì, cosa vi è rimasto?
–Yari Montorsi–
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