Se c’è una cosa che mi hanno insegnato i primi quattro episodi di questa tanto attesa settima stagione di Game of Thrones è che, finalmente, il fantasy ha un nuovo paradigma narrativo: i personaggi cambiano.
Tolkien e i suoi epigoni ci hanno abituato a protagonisti-simbolo, quasi degli ideali incarnati più che personaggi. Ci hanno abituato alla metafora: ogni percorso personale corrisponde a una possibile declinazione dell’animo umano. Meraviglioso, ci mancherebbe. Ma adesso, complice forse un cambiamento epocale del pubblico, che vuole immedesimarsi completamente in ciò che vede – o legge –, il fantasy sarà anche altro. Qualcosa che parla della realtà come non ha mai fatto prima.
Perché dico questo? Beh, perché le riunioni a cui abbiamo assistito in questo e nel precedente episodio sono stati tra i momenti più veri di tutta la saga, secondo il sottoscritto. Dopo sette stagioni e mille peripezie, Arya torna a casa, appena dopo il fratello Brandon. Pensate a quando questi due e Sansa si erano visti l’ultima volta: quest’ultima giocava a fare la principessina, Arya era un maschiaccio dispettoso e Bran poco più che un bambino. E ora pensate a tutto quello che è successo loro nel frattempo. Ecco perché credo che questi incontri siano stati emozionanti e realistici, anche se molti forse si aspettavano tanti abbracci e sorrisi. Ma cosa ci può essere da ridere dopo quello che hanno passato? Un padre, una madre e un fratello maggiore trucidati, uno stupro, la rinascita dopo essere stati Nessuno, la consapevolezza che le vite di tutti siano nulla confronto l’eternità e quello che c’è oltre la Barriera.
Come reagirà Sansa quando capirà che la sorellina è diventata una spietata assassina? Di sicuro non ha di che stare tranquillo Ditocorto, ora che il pugnale d’acciaio di Valyria destinato a uccidere Bran – e siamo sicuri che il proprietario sia Petyr? – è nelle mani di Arya, la cui dimostrazione con la spada in duello con Brienne deve avergli fatto gelare il sangue; e poi Bran stesso gli ha fatto capire di avere qualche strano potere: impagabile la faccia di Baelish quando il giovane Stark gli cita la sua stessa frase “il caos è una scala”!
La sequenza più bella al Nord? Arya che osserva la vita semplice e quotidiana della sua Grande Inverno dopo tanto tempo. Emozionante.
Spostiamoci a sud, dove avviene l’altra metà di eventi dell’episodio. Jon inizia a recuperare il Vetro di Drago sotto le scogliere del castello dei Targaryen. Là sotto ci porta anche Daenerys, ma non per fare quello che pensavate voi, bensì per mostrarle la verità. Ricordate la profezia di Quaithe? Tra quelle pietre i due osservano dei graffiti – fatti veramente male devo dire – che raffigurano Figli della Foresta e Primi Uomini mettere da parte i dissapori per combattere il nemico comune: gli Estranei. Vi dice niente? E così sembrano fare Jon e Dany, ora convinta che il Re del Nord non sia un bugiardo visionario.
Lei però gli dice che lo aiuterà solo quando – eccheppalle! – lui e il suo popolo si inginocchieranno e le giureranno fedeltà. Sappiamo se Jon si è inginocchiato nella caverna? No, sappiamo solo che la Khaleesi è stufa dei piani intelligenti di Tyrion che finora non hanno portato a nulla. Così decide di non dare ascolto agli ultimi consigli di Jon e parte con i Dothraki in groppa a Drogon per andare incontro all’esercito dei Lannister. Lo sappiamo perché Theon ritorna a Roccia del Drago dopo aver passato in mare non so quanti giorni – e anche qui la temporalità va a farsi benedire – e incontra Jon. Anche loro due sono profondamente cambiati: uno le ha viste tutte al di là della Barriera, è l’unico che sappia come la morte stia arrivando per tutti ed è pure risorto; l’altro, beh, le ha pagate con gli interessi triplicati e si è redento salvando Sansa. Per questo Jon non infierisce più di tanto contro il povero Reek, altrimenti gli avrebbe fatto fare chissà quale fine.
Una cosa che mi ha dato un po’ fastidio? Davos che guarda Missandei che neanche Tormund con Brienne e il giochino di doppi sensi tra Daenerys e la stessa Missandei riguardo quello che è successo con Verme Grigio. Ma dove cazzo siamo? Irritante.
E poi, finalmente, la guerra vera. Olenna gliel’aveva detto a Dany: vuoi essere un drago? Fai il drago! E niente, la scena con cui l’esercito Dothraki sorprende quello guidato da Jamie è da manuale. E Drogon che spunta dalla collina, ancora di più. Quello che succede dopo è proprio da Targaryen e l’esercito Lannister è ancora là che brucia. Scene davvero impressionanti fermate solo da Bronn che utilizza contro il drago la balestra messa a punto da quel malato di Qyburn. Ed è subito Lo Hobbit. La bestia ferita precipita a terra ma non muore, e mentre Dany è intenta a rimuovere l’arpione dalla spalla della sua cavalcatura, Jamie prova a cogliere l’attimo per assalirli – d’altronde colpire Targaryen alle spalle è la sua specialità. La concitazione è alle stelle e credetemi, l’ho sentita anch’io, ritrovandomi un paio di volte a urlare contro il televisore.
Mentre Tyrion assiste alla sciocca prova di coraggio del fratello tanto amato, Dany si volta giusto in tempo per vedere Jamie saltarle addosso. Ma Drogon non gli lascia scampo: una fiammata è diretta sul biondo cavaliere e solo l’intervento in extremis di Bronn (perché era lui, vero?) evita che lo Sterminatore di Re muoia bruciato. In compenso, cade in acqua e sprofonda sotto il peso dell’armatura. Vivo o morto? Lo sapremo nella prossima puntata.
L’episodio è in linea con i precedenti in quanto a climax ascendente. Entriamo finalmente nel vivo dello scontro tanto atteso – seppur inutile, a meno che qualcuno non fermi gli Estranei –, anche se una considerazione mi sento di farla: ci avete rotto il cazzo nelle ultime due stagioni con inframezzi a dir poco assurdi, tanto per riempire le puntate e tirarla lunga, e ora correte come i disperati? Ma perché?
Alla prossima settimana con la recensione del quinto episodio!
–Michele Martinelli–
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