Quando fu pubblicata la 4a edizione di D&D, in tanti sono rimasti delusi. Molte promesse furono infrante, e le regole da tabletop e la visione esaltata del personaggio furono favorite a scapito dell’ambientazione e dell’approfondimento del personaggio stesso. ‘Delusione cocente’ divenne il secondo nome del gioco, pensiero condiviso anche da Rob Heinsoo e Jonathan Tweet, in passato collaboratori della Wizards of the Coast per la Quarta Edizione, che hanno deciso quindi di realizzare un GdR che si ponesse sul mercato come “ciò che sarebbe dovuto essere D&D 4.0”: è così che nasce 13th Age, giunto in Italia grazie a Wyrd Edizioni.
Il prodotto esteticamente ricorda molto Advanced Dungeons & Dragons 2a Edizione. All’interno della confezione fa bella mostra di sé un manuale di 336 pagine in copertina leggera, e una mappa del mondo con la dislocazione delle 13 Icone. Sono proprio queste ultime il fulcro narrativo di 13th Age: 13 modi di intendere il mondo e il rapporto con gli altri, 13 vestiti per i classici allineamenti che ci seguono nei mondi di D&D e AD&D sin dagli anni ’80, 13 esseri che interagiscono tra loro un po’ a carezze e un po’ a mazzate, e che avranno un ruolo molto influente sull’evoluzione dei personaggi e nei loro rapporti.
La creazione del PG è classicamente basata su razza, classe, attributi e talenti. Già nelle classi (benché tradizionali) si nota una volontà di svecchiare il sistema d20 della 3.5, rendendole più duttili e varie, sia dal punto di vista dei talenti generici, che da quello dei talenti specifici. Le razze sono sempre le stesse, ma con interessanti suggerimenti per approfondire la natura psicologica del personaggio. Tra le novità risaltano la difesa mentale, una sorta di sostitutivo dei tiri salvezza, i punti e dadi recupero, molto simili a quelli della 4.0 (variabili per classe e che permettono di ripristinare alcune statistiche e abilità), e la singolarità. Questa è un tratto peculiare che il giocatore può attribuire al suo personaggio per renderlo unico, magari decidendolo insieme al Master. Non si deve trattare, però, di qualcosa che aggiunga delle abilità, ma che invece renda l’alter ego particolare dal punto di vista del gioco di ruolo. Alcuni esempi molto chiari vengono forniti direttamente nel manuale, insieme a buoni spunti per i giocatori più pigri.
Scelta l’abilità, si continua a ‘descrivere’ in scheda il background del personaggio allocando tre punti Icona. Le Icone sono esseri potenti che i personaggi dovranno contrastare o sostenere durante il corso della campagna. Ogni Icona corrisponde a una combinazione diversa degli archetipi Legale, Neutrale, Caotico, Malvagio e Buono. Si tratta, a mio avviso, di un ottimo spunto narrativo anche per i Master più svogliati, offrendo soluzioni e intrighi preconfezionati o PNG al servizio dalla nostra fantasia. Tra essi spiccano l’Arcimago, l’Imperatore, il Re dei Nani, e il Grande Dragone Dorato, giusto per citarne alcuni. Non mancano anche i malvagi Signore degli Orchi e il Principe delle Ombre. Ognuno di loro occupa una zona più o meno estesa della mappa, e ne domina l’area con la sua influenza. I punti Icona (collezionabili in un massimo di 5 nei 10 livelli previsti da 13th Age) possono essere spesi anche senza una coerenza, potendo benissimo portarci ad avere a che fare tanto con il Principe delle Ombre quanto con l’Imperatore, creando mix di background tutt’altro che scontati.
La fase del combattimento si snoda in maniera similare alla 3.5, aggiungendo le proprie abilità a quelle di un lancio d20. Tuttavia presenta interessanti novità, come il dado escalation. Si tratta di un bonus di +1 che viene assegnato al gruppo a partire dal secondo round di combattimento e aumenta per ogni round successivo (fino ad massimo di +6), ideato per compensare il fatto che i PNG/mostri abbiano mediamente più armatura dei PG. Altra novità è quella dell’abilità nelle armi che varia da classe a classe: perciò una spada usata da un barbaro causerà un danno maggiore rispetto alla stessa arma maneggiata da un ladro.
13th Age supera dunque con successo la prova su strada. Nessuno dei gruppi con i quali abbiamo effettuato i playtest si è lamentato delle meccaniche, abbastanza snelle, né delle novità introdotte. Certo, il giocatore che vuole un GdR alla Rolemaster, pieno di danni critici, localizzazione dei colpi, ingombri e così via, si sentirà frustrato nel tentativo di cercarle (e non trovarle). Ma il manuale è davvero ben costruito, con tanto di note a margine che ricordano molto l’ipertesto, rendendo la ricerca di informazioni vitali un gioco da ragazzi. Ottimamente strutturati sono anche l’indice e il glossario, fondamentali per chi si si trova a dover maneggiare un tomo di più di 300 pagine. Le interazioni tra i PG, poi, sfiorano l’epicità di quelle dei titoli White Wolf, creando, tra i sostenitori delle varie Icone, un tifo praticamente da stadio. Concludo facendo un plauso all’interessante sistema di combattimento, col quale spesso resistere per qualche round può fare la differenza tra vittoria e sconfitta.
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–Fabrizio Palmieri–
13th Age – Recensione del GdR
Fabrizio Palmieri
- Grande approfondimento psicologico dei personaggi;
- Manuale comprensibilissimo e comodo da consultare;
- Compete (e talvolta vince) con la 5.0 e Pathfinder;
- È pur sempre l'ennesima declinazione del sistema d20;
- 10 livelli sono pochi per giocatori affezionati al proprio PG;
- Classi meno tradizionali sarebbero stati auspicabili;