Che la conclusione cartacea de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco non arriverà prima della morte termica dell’universo è un fatto assodato. Tuttavia, i fan di George Martin non sono certo i soli nel mondo dell’editoria fantasy a essere frustrati da scadenze interminabili e libri che non escono mai: a contendere loro il titolo di lettori portati ai limiti dell’umana sopportazione dall’attesa sono tutti coloro che, stregati da una delle prose più coinvolgenti del fantasy contemporaneo, sono ormai in attesa di The Doors of Stone, Le Porte di Pietra, terzo (e ultimo?) libro de Le Cronache dell’Assassino del Re di Patrick Rothfuss (tornato sotto le luci della ribalta da qualche giorno grazie al fatto che dalla sua saga saranno tratti una serie tv e un film, come vi abbiamo detto qua).
La conflittuale relazione di amore-odio con Mr. Rothfuss (Pat per gli amici e i lettori più accaniti) risale a una decina di anni fa, quando con The Name of the Wind (Il Nome del Vento, Fanucci editore) egli entra nei nostri radar. È l’inizio delle avventure di Kvothe, detto Reshi, o Maedre (o chiamato con una decina di altri pseudonimi), menestrello, mago, e avventuriero di fama leggendaria ritiratosi a vita privata nella classica taverna nel mezzo del nulla, con la sola compagnia di un apprendista psicopatico. A narrare la storia a un Cronista dalla pazienza potenzialmente infinita c’è lo stesso Kvothe da vecchio, simpatico come un manico d’ascia infilato in luoghi incostituzionali.
Nonostante il risultato finale sia un romanzo picaresco di formazione condito in salsa urban fantasy, che a tratti pare un Harry Potter vietato ai minori, sono diversi gli elementi del libro che conquistano il grande pubblico: un mondo complesso, un sistema di magia che ha poco da invidiare a chicchessia, antagonisti carismatici quanto terrificanti, e soprattutto uno stile di scrittura eccezionale, capace di rendere interessante anche l’immagine di un tizio che passa la serata a pulire un tavolo – e sì, succede. Diverse volte, in effetti.
L’attesa del secondo volume, The Wise Man Fear (La Paura del Saggio), dura quattro anni, e non trascorre esattamente senza problemi, ma non basta certo a preparare gli appassionati alla situazione paradossale (nonché vagamente ridicola) in cui ci ritroviamo a tutt’oggi: dal 2011 Rothfuss ci ha regalato una manciata di romanzi brevi e racconti ambientati nello stesso universo, e innumerevoli ore di streaming di “Fallout 4”, ma nessun terzo libro.
I fan, ovviamente, iniziano a perdere la pazienza.
L’origine di tutto è una tristemente nota intervista risalente al 2007, durante la quale l’autore afferma, con una certa sicurezza, che i libri sarebbero usciti col ritmo di uno all’anno, perché “Beh… li ho già scritti” [cit.]. Le Cronache dell’Assassino del Re, infatti, nasce come opera singola, spezzata per ragioni editoriali in tre volumi: eventuali ritardi sono da attribuire al perfezionismo di Pat, determinato a rileggerli un milione di volte pur di essere certo che la conversione non faccia perdere nemmeno un briciolo della magia (e dello swag di Kvothe).
Essendo tradizionalmente dei malfidati, gli abitanti dell’Internet hanno iniziato a domandarsi quanto veritiere fossero queste dichiarazioni, e quindi l’entità dell’impegno e rispetto dell’autore nei confronti dei fan. I detrattori non hanno perso tempo a notare l’intensa attività nerdistica di Rothfuss, che tra giochi di carte collezionabili e RPG (cui, va detto, si aggiunge una copiosa opera caritatevole) sembra dedicare un numero insano di ore della settimana ad attività che non riguardino il concludere quel dannato libro.
Ulteriore argomento di contrasto è quello della relativa inesperienza di Rothfuss nel mondo dell’editoria: “Il Nome del Vento” è un’opera prima, oltre alla quale Pat non ci ha consegnato nulla di rilevante. Se dunque un atteggiamento tergiversante può essere più facilmente perdonato ad autori affermati e di lungo corso, c’è chi mormora che l’ultimo arrivato non dovrebbe montarsi troppo la testa e credere che i lettori staranno dietro alle sue fisime all’infinito.
Nonostante una certa porzione dei fan (quelli del “non mi importa se il libro lo leggeranno i miei nipoti, sarà certamente valsa l’attesa”) tenda a bilanciare i segmenti più tossici del web al riguardo, non si può certo dire che Rothfuss sia insensibile a questo genere di accuse. Ultimo capitolo dell’annosa vicenda si è consumato non molto tempo fa, quando durante una sessione di scrittura in streaming su Twitch pare sia apparso uno screenshot della cartella contenente le varie versioni di The Doors of Stone lasciante intendere una certa mancanza di impegno da parte dell’autore. La risposta di Pat a tutto questo? Pressappoco un “sapete che vi dico, adesso non faccio più streaming, e andatevene al diavolo” (parafrasi nostra).
Ancora una volta, pare proprio che ci troviamo di fronte al dilemma se la scrittura sia un atto creativo puro e indipendente da tutto, o se essa debba tenere conto dell’affetto, e delle aspettative, di quanti attendono trepidamente la conclusione di una saga che li tiene avvinti da anni. Voi come la pensate?
–Federico Brajda–