Finalmente è successo! Hollywood ha esaurito le fonti letterarie/cinematografiche da cui rubar… prendere ispirazione, e ha deciso di rivolgersi a quella colossale betoniera sforna-meme che risponde al nome di Internet.
Come riporta il New York Times, la Sony si è infatti recentemente dichiarata particolarmente interessata alla produzione di un film (i cui lavori dovrebbero iniziare, probabilmente, a fine 2016) sul re indiscusso del terrore formato creepypasta, lo Slenderman.
L’identikit del sospettato è noto a molti: alto circa otto piedi, completamente privo di tratti facciali, portamento elegante (avvistato sempre e solo in abito scuro), probabilmente dotato di tentacoli, sicuramente dedito alla discutibile pratica di rapire bambini (ma non si fa problemi neanche con i maggiorenni).
Attorno a tali tratti fondamentali (cui, nel canone, si è aggiunto il potere di mimetizzarsi/rendersi invisibile a tutti fuorché le proprie vittime designate) si è negli ultimi anni andata a creare una fitta mitologia del folklore di Internet, promossa primariamente attraverso siti e forum dediti alla creazione e divulgazione di creepypasta (brevi racconti di genere horror diffusi attraverso il fenomeno del copia-incolla).
Cosa, esattamente, lo Slenderman sia, e quale sia il suo scopo ultimo, nessuno lo sa, ma a nessuno sembra interessare: parte del suo successo sembra derivare appunto da questa indefinitezza (come Lovecraft ci ricorda, nessuna paura è più forte di quella dell’ignoto), che rende ancor più semplice scriverne, parlarne, e raccontarne. Ecco dunque che in alcune storie scopriamo che Slenderman viene per te solo se inizi a crederci (ma quello non era il Babadook?), che alcune delle vittime di Slenderman non sono uccise ma trasformate in servitori (Proxy), alcuni dei quali si sono pure ribellati, che l’FBI conosce bene l’operato di Slenderman ma evita di indagare al riguardo perché sa che sarebbe una perdita di tempo, ecc.
Ma da dove trae origine questo archetipale Uomo Nero moderno? Risalendo indietro nei secoli arriviamo al remoto 2009, anno in cui il forum Something Awful lancia un thread in cui si invitano gli utenti a postare delle foto comuni di vita di tutti i giorni, modificate in maniera spaventosa. Victor Surge (al secolo, Eric Knudsen) raccoglie la sfida, mostrando un set di parchetti (con tanto di bambini intenti a giocare) sul cui sfondo campeggiava una misteriosa figura in abito elegante, priva di volto e dall’altezza disumana.
L’idea gli valse la vittoria del contest, ma il grosso della popolarità lo si deve alla webserie horror dello stesso anno, “Marble Hornets”, incentrata sulla figura del misterioso Operatore (Slenderman).
Negli anni seguenti, il successo della creatura aumenta a dismisura grazie al passaparola virtuale, al punto che Knudsen, saggiamente, decide di depositarne il nome come proprietà intellettuale nel 2010 (a suo dire, non tanto per i soldi quanto per una questione di integrità artistica del personaggio). Sebbene la questione del diritto di adattamento transmediale sia di per sé abbastanza confusa e misteriosa, ciò non ha certo impedito l’uscita di videogiochi, come il semi-cult “Slender: the Eight Pages” (Parsec Productions) e l’italiano “Slender: lo Sguardo dell’Orrore” (Padovani), ma anche cortometraggi, lungometraggi indipendenti (di qualità dubbia, come il recente “Slender”, di Joel Petrie), e uno pseudo-omaggio quasi horror con Jessica Biel (“I Bambini di Cold Rock”, Pascal Laugier, 2012).
Tuttavia, pare proprio che a partire da quest’anno il nostro Slendy farà il salto di qualità: dopo ruoli da comparsa su serie non esattamente eccelse (“Supernatural” esiste ancora?), e nonostante la smentita delle indiscrezioni di una stagione a lui dedicata nella serie antologica “American Horror Story”, sembra proprio che il grande schermo sia pronto ad accoglierlo con tutta la magnificenza che merita.
Certo, i dubbi abbondano sulla qualità del prodotto finito (come sempre, del resto, in questi casi), ma sicuramente le basi (almeno, concettuali) per una buona resa finale ci sono. Come ormai abbiamo capito , non è più tempo da slasher anni ’80 imbottiti di sangue finto, scream queen, e jumpscare da quattro soldi. Film come “Babadook” (2014, Jennifer Kent) e “It Follows” (2014, David Robert Mitchell) ci hanno riportato a un tipo di paura diverso, non già proiettato verso l’esterno, l’ignoto, quanto verso l’interno, verso noi stessi, quei demoni con i quali ci relazioniamo tutti i giorni (il dolore di una perdita definitiva e irreparabile, il lento ma ineluttabile trascorrere del tempo), e che proprio per questo non riusciremo mai a esorcizzare del tutto.
Slenderman, con la sua apparenza di rispettabilità, il suo anonimato radicale, la sua capacità di sfuggire a ogni forma di rilevamento per colpire la parte più fiduciosa e vulnerabile, l’infanzia, porta con sé un simbolismo radicato per un’altra forma di orrore, ben più concreta e purtroppo attuale.
Se, e come, una grande casa di produzione cinematografica saprà trattare un simile argomento, resta ancora da vedere.
– Federico Brajda –