Ci sono videogiochi per PC che non possono essere definiti tali: sono titoli ai quali è più corretto riferirsi come a leggende e fenomeni culturali, quelli che, pur rimanendo sempre dei prodotti di intrattenimento, trascendono tale limitante etichetta per diventare qualcosa di più grande, per rappresentare il volto di un’intera generazione di giocatori online.
E sopra a questi titoli, c’è “World of Warcraft”.
Impossibile che non ne abbiate sentito parlare anche solo di sfuggita: considerati i quasi dodici anni da cui ci tiene compagnia su Internet e i suoi cento milioni di account registrati, da un punto di vista statistico chiunque stia leggendo questa riga avrà avuto per un certo periodo uno o più personaggi di WoW, oppure conoscerà qualcuno che oltre ad averli avuti, gli avrà già raccontato tutto per filo e per segno.
Lanciato nel novembre 2004, “World of Warcraft” approfondisce il già rinomato universo esplorato in una trilogia di strategici in tempo reale. Pur proponendo una formula abbastanza tradizionale di creazione del personaggio (scelta di razza e classe, livellaggio attraverso l’assassinio di mostriciattoli erranti, endgame costellato di scontri con altri giocatori e contro boss controllati dalla CPU), in breve tempo il gioco riesce a imporsi su tutti i propri diretti concorrenti.
Risulta uno dei primi, infatti, a raggiungere un’utenza veramente “massive”, con oltre dodici milioni di iscritti all’apice della sua gloria: in molti lo considerano il fiore all’occhiello di uno dei franchise fantasy videoludici più amati di sempre (e che, come abbiamo già detto, tra poco approderà anche sul grande schermo). L’impatto che esercita sul mondo reale e il livello di coinvolgimento che fa raggiungere ai giocatori ha dell’impressionante (per non dire, del patologico): ci troviamo di fronte, in breve, a studi socio-comportamentali sulle dinamiche epidemiologiche della popolazione dei server (in occasione del diffondersi di un virus virtuale, la Blood Plague, in seguito a un bug) e a ripercussioni, talvolta perniciose, nel mondo reale, tra bambini lasciati morire d’inedia da genitori troppo assorti, a prigionieri politici cinesi costretti ai lavori forzati virtuali (raccolta di denaro in-game successivamente rivenduto, per valuta reale, ad account privati). Casi certamente estremi ed eccezioni chiaramente non rappresentative, e che si collocano all’estremo di un spettro comportamentale che riflette una capacità davvero fuori dal comune, da parte del gioco, di affascinare, immedesimare, e catturare la fantasia del fruitore medio.
Ma undici anni (e mezzo) sono tanti, soprattutto nel mondo dell’intrattenimento virtuale, caratterizzato da un riciclo rapidissimo di titoli, e con sviluppatori e distributori che si vedono costantemente richiedere il rilascio di prodotti sempre più aggiornati in termini di grafica, di performance, di ergonomia.
Warcraft, tuttavia, sembra aver retto egregiamente, sebbene l’età ormai si faccia sentire sempre più, e i tempi d’oro siano solamente un ricordo (stime più recenti parlano di meno della metà di quei dodici milioni di utenti attivi di cui sopra). In molti sono pronti a indicare come punto di svolta l’uscita, nel 2011, di “Mists of Pandaria”, quarta espansione del gioco base, per la pubblicazione della quale si verificò un brusco cambio di trend sia nel numero delle vendite che nel tono generale della risposta dell’utenza, al punto che ci fu chi mise in discussione il futuro stesso del gioco.
Le previsioni più fosche non si avverarono, dato che a “Pandaria” successe, nel 2014, “Warlords of Draenor”, che tuttavia fece registrare il minimo storico di iscritti (oltre il quale la Blizzard smise di pubblicare statistiche ufficiali a riguardo).
Che sia giunta la fine per questo (sostanziale) pezzo di storia dei videogiochi? Non è certo detta l’ultima parola. Mostrando una determinazione degna delle più epiche imprese (nonché seguendo una strategia commerciale nota agli addetti di settore come “frustare il cavallo finché non schiatta”), la Blizzard non demorde, anzi rilancia, alzando la posta: ecco che dopo il film, il prossimo agosto ci vedremo consegnare “Legion”, quinta (e ultima?) espansione di WoW, incentrata sul (possibile) ritorno della Legione Infuocata, un assortimento di demoni e tipacci poco raccomandabili nel mondo di Azeroth, che promette una nuova classe eroica, un innalzamento del livello massimo, e numerose, piccole modifiche a diversi aspetti del gameplay.
Internet che dice? Purtroppo, le aspettative sono piuttosto basse: l’accusa che più spesso si sente muovere alla software house californiana è quella di aver svenduto il gioco ai casual players. Da un livello medio-alto di complessità richiesto agli utenti nelle fasi finali del gioco ai tempi delle prime espansioni, a partire da “Cataclysm” (terza espansione, 2010) il sistema è andato incontro a una progressiva (eccessiva?) semplificazione, che ha visto come effetto secondario una certa riduzione della variabilità negli stili di gioco tra le classi (un effetto alla D&D 4.0, se volete), che oltre ad alienare i favori di un certo segmento di fruitori (i più fanatici), non ha sortito l’effetto sperato di attirare altre fasce, meno dedite ai giochi di ruolo online.
Certo, è ancora decisamente troppo presto per un giudizio definitivo, e non è mai facile mantenere l’obiettività dovuta quando si ha a che fare con un titolo del genere: a più riprese si è parlato di un ritorno ai vecchi tempi, ai fasti di una volta, ma la realtà dei numeri ha regolarmente smentito con la cinica solerzia di un rinvio della pubblicazione del prossimo libro di Martin.
L’unica possibilità che ci rimane è aspettare, sperare, e provare. Certamente WoW non scomparirà da un giorno all’altro, e in ogni caso difficilmente nel prossimo futuro. Nel bene e nel male, continuerà a tenerci compagnia ancora per un po’, come ha fedelmente fatto nel decennio precedente.
– Federico Brajda –