«In un buco del terreno viveva uno Hobbit». Non ci sono mirabolanti presentazioni, né particolari epiteti di accompagnamento da poema epico. Tolkien ci fa fare conoscenza con le creature a lui più care nel modo più semplice possibile, parlandoci della loro casa e dei loro usi e costumi. E lo fa dedicando loro le primissime righe de “Lo Hobbit”. Non al terribile Smaug, non alla leggendaria progenie di Thorin Scudodiquercia e nemmeno a Gandalf, agli Elfi o all’Unico Anello. È come se il Tolkien volesse rivelarci qualcosa di intimo, qualcosa che forse abitava nella sua mente fantastica prima ancora dell’idea della stesura di un romanzo, e che cercava solo l’occasione giusta per prendere vita su un foglio di carta. Attraverso gli Hobbit, con le loro goffaggini, le loro tradizioni e le loro avventure, il professore ci parla anche di se stesso.
Ma che origine ha la parola Hobbit? Non parlo di come sia nato questo termine nella Terra di Mezzo, intendo le origini semantiche che hanno portato Tolkien a coniare questo vocabolo. Sul secondo supplemento dell’Oxford English Dictionary del 1976 apparve finalmente il termine Hobbit, con questa definizione: “Nei racconti di J.R.R. Tolkien, esemplari di un popolo immaginario, una varietà minore della razza umana, che si sono dati da soli questo nome (che significa abitatore di buchi), ma che venivano chiamati anche mezz’uomini, dato che la loro altezza era la metà di un uomo normale”. È possibile che un fine ed esperto filologo come lui, che dal nulla ha inventato lingue meravigliosamente funzionanti, non sia stato in qualche modo influenzato o non si sia lasciato ispirare da una qualche fonte e che, quindi, la parola che indica la specie di Frodo e soci sia davvero frutto del caso? Da una mente sognatrice come la sua mi aspetterei anche questo e, in effetti, Tolkien stesso non ha idea dell’origine di questo nome. Tra le tante congetture fatte, la più certa è che il termine babbit sia stato la vera fonte – forse inconsapevole – per il padre del fantasy moderno. “Babbit” è il titolo di un romanzo di Sinclair Lewis del 1922 con una trama effettivamente simile a quella de “Lo Hobbit”: un uomo americano di mezz’età gradualmente esce dalla sua vita ripetitiva e monotona e comincia ad avere strane avventure. Lo stesso Tolkien conferma che le due parole sembrerebbero avere un legame stretto e che «Babbit ha la stessa mediocrità borghese che hanno gli Hobbit. Il suo mondo è lo stesso, un luogo limitato».
Una cosa però è certa: i borghesi abitanti della Contea hanno affascinato anche i paleontologi. Fate finta per un attimo che Tolkien non ci abbia mai parlato degli Hobbit. Nella vita reale Homo Floresiensis è il nome affettuosamente dato a una nuova specie di ominide di origine indonesiana, i cui resti sono stati scoperti per la prima volta nel 2004. Da allora si sono susseguite una serie di speculazioni, misteri e controversie di ogni tipo, tanto che questo mezz’uomo – è il caso di dirlo – alto poco più di un metro pare avere una storia (scientifica) ben più complicata di quella delle creature nate dalla mente di Tolkien. Di recente la stampa di settore sta scomodando i nostri eroi dai piedi pelosi perché nuove scoperte hanno portato alla revisione della timeline riguardo all’esistenza dell’Uomo dell’isola di Flores. L’iniziale teoria secondo la quale questa specie si sarebbe estinta solo 12 mila anni fa aveva un che di affascinante, poiché portava alla conclusione che sarebbero vissute contemporaneamente due specie di uomini, cioè questa e l’Homo Sapiens.
Niente di più simile a ciò che accade nella Terra di Mezzo: uomini di diverse tribù che convivono tra loro e anche con altre specie umanoidi, tra le quali dei piccoletti alti poco più di un metro e che vivono per giunta nelle grotte! Peccato che questa teoria sia stata rivista alla luce di ulteriori ritrovamenti che hanno datato l’estinzione dell’Homo Floresiensis a 50 mila anni fa. Tra l’altro, questi piccoli uomini erano forse più simili a degli scimpanzé che a dei bassi umani, anche se c’è chi ritiene che essi non fossero altro che Sapiens affetti da nanismo o addirittura Sindrome di Down.
Niente da fare, quindi? Al di là della bassa statura e dall’uso di vivere sotto terra, non abbiamo sufficienti elementi per illuderci che la Terza Era fosse realmente un lontano passato dell’umanità? In realtà, il dibattito riguardo il fatto che l’incontro con l’Homo Sapiens sia avvenuto o meno rimane aperto. In effetti l’arrivo di questi ultimi in Indonesia sarebbe coinciso con la scomparsa dei loro piccoli simili. Una strana coincidenza, che potrebbe indicare che proprio l’incontro con i nostri progenitori ne abbia determinato la scomparsa.
Che Saruman sia riuscito a portare scompiglio nella Contea lo si sapeva già, ma non capisco come questi archeologi si permettano di asserire che i mezz’uomini sono stati debellati e di contraddire Tolkien su come sia andata a finire la storia. Quella vera, intendo.
– Michele Martinelli –