Non credo che debba presentarvi One Piece, il noto manga piratesco ambientato in un mondo fantastico colmo di poteri strabilianti e mostri giganteschi nato dalla penna di Eiichiro Oda. L’opera ha debuttato nel 1997: i bambini dell’epoca sono oramai cresciuti e alcuni di loro hanno generato a loro volta altri bambini, ma l’epica di navigazione sembrerebbe averne per almeno altri dieci anni, più probabilmente venti. Pensate un po’: oggi, secondo i dati Istat, la durata media di un matrimonio si aggira sui sedici anni, una stima addirittura “gonfiata” dalle attuali condizioni economiche che disincentivano le separazioni/divorzi (vivere da soli costa il 66% in più, fa notare Coldiretti). Qui abbiamo un fumetto giapponese che rischia di durare due volte il lasso di vita di uno sposalizio contemporaneo, quindi tanto vale concentrarsi sui valori duraturi e parlare più approfonditamente delle sue recenti evoluzioni.
Pochi giorni fa sono stato ospite a un evento esclusivo in quel di Milano, la presentazione del nuovissimo videogame One Piece: Burning Blood, che arriverà su PlayStation 4, Xbox One, PC e PSVita il prossimo 3 giugno. Si tratta del grande e quasi inatteso ritorno della ciurma di cappello di paglia sui lidi del genere picchiaduro (l’ultimo grande titolo dalle tinte affini risale al 2006): le aspettative dei fan, resi ghiotti anche dagli encomiabili esempi della concorrenza “narutiana”, sono ai massimi storici, e i controller sono in carica nell’attesa di potersi sfidare in furenti battaglie tra amici.
Mancano ancora mesi perché possiate mettere le mani sul gioco, quindi vedrò di sedare la vostra sete con alcune prime impressioni e qualche piccola rivelazione riguardante il venturo titolo Bandai Namco.
Iniziamo a parlare della modalità storia che, come spesso capita per questo genere videoludico, altro non è che un mero pretesto narrativo striminzito e superfluo di cui, tuttavia, mai potremmo fare a meno (Star Wars Battlefront insegna). Per quanto è dato sapere, la “guerra suprema” andrà a toccare esclusivamente la parte narrativa legata ai cosiddetti eventi di Marineford, spaccandosi tuttavia nelle quattro prospettive di Akainu, Barbabianca, Ace e, ovviamente, Rufy. Insomma, Burning Blood non sembra certo brillare in quanto a varietà, anzi è ben consapevole che il suo successo sarà interamente dipendente dalle efferate sfide da tenersi comodamente seduti sul divano. L’importante, pertanto, diventa la qualità del roster di personaggi utilizzabili e la solidità stessa del gameplay.
Ora come ora sono stati annunciati ben 35 combattenti (seppure alla dimostrazione ne fossero accessibili “solamente” 21), ma da come è stato trattato l’argomento tutto da a intendere che siano previste nuove aggiunte alla lista finale. Quello che sorprende, semmai, è il criterio di selezione dei personaggi che, tutto sommato, parrebbe aver favorito delle entità marginali finendo col tagliare fuori le immancabili bestie epocali. In tal proposito non ho potuto fare a meno di interrogare Koji Nakajima e Hiroyuki Kaneko (rispettivamente producer e director del titolo, presenti all’evento) che, in tutta sincerità, hanno ammesso di aver voluto evitare di inserire un numero spropositato di guerrieri, e che il loro criterio di giudizio fosse fortemente condizionato da due fattori: popolarità e rarità nelle presenze videoludiche. Ecco dunque spiegata la comparsa del Bartolomeo dai denti aguzzi, il cui peculiare stile di combattimento ha tanto fatto dannare Nakajima, ma anche il motivo per il quale X Drake e Jaws siano riusciti a scalzare gli intramontabili Lucci e Arlong. I protagonisti, per forza di cose, sono tutti presenti, ma la scelta degli avversari è stata quantomai vorticosa, e non tarderà a scontentare certi fan che, sicuramente sorpresi, non potranno adoperare i loro beniamini.
Per quanto concerne il sistema di controllo, inutile negare vi sia una certa influenza da parte dello schiacciante esempio della saga di Naruto Ultimate Ninja Storm, ma oltre la superficie i due titoli paiono differenziarsi sufficientemente per poter coesistere. Grande nota di vanto degli sviluppatori, nonché perno su cui vogliono puntare per dirsi rivoluzionari e unici, è l’inedita presenza della dinamica Rogia/Haki. I personaggi dotati di “Rogia Guard”, infatti, hanno la possibilità di rendersi intangibili per breve periodo, strategia estremamente valida per evitare di subire troppi danni dalle tecniche avversarie, ma questa loro arrogante qualità può essere contrastata con l’Haki, il noto talento che permette di prendere in contropiede gli evasori.
I match, rigorosamente 3-contro-3, sono governati da meccaniche simili a quelle di J-Stars Victory VS, altro picchiaduro con personaggi dei manga sviluppato proprio dallo stesso team. In molti casi, quindi, la sensazione è che a farla da padrone sia il mero button mashing piuttosto che l’elaborazione di una strategia raffinata; ho anche avuto l’impressione che i poteri Rogia siano più utili dell’Haki, ma per un’opinione più dettagliata vi do appuntamento al periodo estivo, quando avrò padroneggiato finalmente qualche combo.
– Walter Ferri –