Era un agosto caldissimo quello del 2015: lo ricordo perché in mezzo a quell’afa fui percorso da un brivido lungo la schiena quando sulle mia bacheca di Facebook apparve il trailer di PPZ: Pride + Prejudice + Zombies. Molti nerd bramosi di trash ne furono estasiati, mentre le insegnanti di letteratura inglese furono colte da improvvisi malori, accentuatisi proprio in questi giorni, in occasione dell’arrivo della pellicola nelle sale. Armato di tanto orgoglio e di pochi pregiudizi, sono andato a vederlo per farvi sapere la mia opinione.
Il soggetto, nonostante sembri partorito da un folle produttore dell’Asylum, nasce in realtà nel 2009 dalla mente di Jason Rekulak della casa editrice Quirk Books, che sottopone l’idea a Seth Grahame-Smith, il quale porta a compimento Orgoglio e Pregiudizio e Zombie, romanzo che prende in prestito l’opera di Jane Austen, aggiungendo l’ingrediente non-morto. Il libro fa tanto scalpore che poco dopo i diritti vengono acquisiti dalla Cross Creek Pictures e dalla Darko Entertainment, che avviano la produzione di una pellicola la cui regia e sceneggiatura vengono affidate a Burr Steers (all’attivo solo qualche commedia e qualche ruolo attoriale).
La trama la conoscete, o meglio dovreste conoscerla se durante la lezione di letteratura inglese al liceo non dormivate, o comunque vantate una cultura letteraria come dio comanda. Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen è un classico: si tratta di una storia ambientata nell’Inghilterra dell’ottocento, in cui Elizabeth Bennet vive insieme alla sua famiglia in una tenuta di campagna, con una madre che cerca di sistemare le figlie in matrimonio e diversi intrighi e dilemmi morali che donano uno spaccato della società senza pari. Ora, provate a immaginare una storia alternativa in cui l’Inghilterra è stata colpita da un virus che trasforma le persone in zombie, in cui Londra è stata circondata da una muraglia per tenerli lontani e dove le famiglie che abitano fuori città devono vedersela quotidianamente con questa piaga che li costringe ad addestrarsi nell’arte del combattimento orientale per potersi difendere.
Bisogna ammetterlo, l’idea di fondo è geniale. Di produzioni con i morti viventi il cinema ne è pieno, ma da quando sono apparsi sul grande schermo raramente sono stati collocati al di fuori della società moderna. L’asfalto è stata la loro casa, le auto i luoghi preferiti in cui farsi circondare e poi morire. Se ciò non bastasse, a rendere il film originale abbiamo l’elemento più straniante di tutti, cioè la fonte letteraria: abbiamo amato e odiato Mr. Darcy per diversi motivi, abbiamo assistito volenti o nolenti ai pettegolezzi della società inglese, ma mai avremmo immaginato che Darcy sarebbe potuto essere un cacciatore di zombie, e le figlie Bennet delle assassine addestrate a squartare i morti che camminano. Tutto ciò spiazza fin dalle prime scene, come un cazzotto in faccia al proprio bagaglio culturale e uno schiaffo alla propria insegnante di inglese, che quasi si riesce ad immaginare lì a balbettare un: “ma… ma… signorina Bennet, lei non può…”.
Eppure, una volta esauritasi l’euforia della novità, entrando così nel pieno della storia, ci si inizia a chiedere dove il film voglia andare a parare, e quale possa essere l’intento del regista. E qua bisogna esser sinceri con se stessi: si era andati al cinema per vedere un film divertente, che citasse in qualche modo l’opera originale, ma lasciandola sullo sfondo per poter far risaltare l’azione, insomma il trash nudo e puro, senza abbellimenti di sorta, né tantomeno una storia d’amore che vorrebbe prendersi sul serio. Ed invece è proprio questo il problema di fondo, il prendersi troppo sul serio. A nulla valgono i tentativi di inserire siparietti comici qua e là: sono troppo pochi per etichettare il film come “spassoso”. Quindi a farla da padrone, paradossalmente, è proprio la storia d’amore e quel (poco) sottile gioco di seduzione misto al dramma presenti nell’opera originale. Poteva esserci cosa più sbagliata? No, assolutamente. Se avessi voluto tornare a guardare la storia d’amore tra Bennet e Darcy avrei recuperato il film del 2005 di Joe Wright o la miniserie del ’95 con Colin Firth. Mi sono seduto su quella poltrona per guardare un gruppo di damigelle sbudellare orde di zombie, niente di più e niente di meno. Peccato che l’unica scena in cui si vedono le donne all’opera duri pochi minuti, mentre l’intero film è costellato di scialbi duelli, scene di allenamento e qualche corpo a corpo con zombie che spinge lo spettatore a tifare per i non-morti, data la piattezza della messa in scena.
Non tutto è da condannare, però. In mezzo a tanto “già visto”, è giusto menzionare un aspetto che può essere considerato particolarmente originale e stuzzicante, ovvero le caratteristiche degli zombie. Questi non sono rappresentati come creature prive di raziocinio, ma come esseri che mantengono alcune capacità mentali, al punto da dissimulare la perdita dell’umanità in modo da confondersi con gli altri, arrivando persino a poter comandare gli altri zombie o addirittura tenerli a bada. Gli sceneggiatori di PPZ non saranno stati di certo i primi ad aver pensato a un’eventualità simile, ma è apprezzabile il tentativo di uscire fuori dagli stereotipi.
Il cast è un altro dei punti a favore della pellicola: a parte l’accoppiata Lannister che è sempre un piacere vedere (Charles “Tywin” Dance e Lena “Cersei” Headey), i protagonisti sono giovani rampolli che non se la cavano affatto male. Parliamo in particolare di Lily James, che regala una prova convincente – e non è solo merito delle sue… doti che sembrano dover scoppiare da un momento all’altro. Molto simpatico il “dottore“ Matt Smith, qua chiamato a interpretare un pastore che diventa la fonte principale della comicità della pellicola.
Il comparto tecnico, poi, deve fare i conti con una sceneggiatura che, come ho appena detto, delude le aspettative. Un esempio su tutti è dato dalla nostra amata Lena Headey, presentata come la migliore spadaccina dell’Inghilterra, una che gli zombie se li mangia a colazione (e ha persino un occhio bendato!). Dopo un curruculum del genere, ci si aspetterebbe da lei qualcosa alla Planet Terror in cui Rodriguez le farebbe acchiappare uno zombie per colpirne altri dieci, schiaffeggiando qualche altro non-morto con la mano libera. E invece, indovinate quanti ne ammazza nel film? Zero. Nessuno. Non fa nulla, se ne sta seduta sul suo scranno per ricordarci quanto è figa ne Il Trono di Spade – praticamente pubblicizza la nuova stagione.
Era troppo chiedere un po’ di sangue in più? Era troppo chiedere di mettere da parte l’inutile polpettone romantico e avere in cambio un po’ di combo spettacolari tra katane e fucili? Sì, forse chiedo troppo, sarà che son cresciuto con La casa e L’armata delle tenebre, sarà che le nuove generazioni non vanno al cinema se non gli infili un “romantico” sulla locandina, ma una cosa è certa: questo non è un film sugli zombie. Non uno di quelli per come li intendiamo noi, almeno.
– Andrea Carbone –
PPZ: Pride + Prejudice + Zombies – Recensione
Andrea Carbone
- La folle idea del soggetto iniziale;
- Le interpretazioni attoriali;
- Il tentativo di modificare i cliché dell'immaginario zombie;
- La sceneggiatura priva di mordente;
- L’eccessivo peso del plot romantico;
- L’assenza di scene d’azione coinvolgenti;