Per qualche oscura ragione, questo sembra essere un ottimo periodo per il maltrattamento infantile: scrivete un libro su un gruppo di adolescenti posti in una qualche situazione di pericolo (a prescindere da quanto ridicola e arbitraria essa sia) e quasi certamente qualcuno lo convertirà in un blockbuster cashgrab (e qualche redattore di Isola Illyon andrà anche a farvi la recensione). A confermare tale legge di natura questa volta è “La quinta onda”, film diretto da Jonathan Blakeson, tratto dal romanzo di Rick Yancey, giunto in Italia questo giovedì 4 febbraio sulla scia di un trailer carico di invasioni intergalattiche e bambini soldato, promettendo uno scontro senza quartiere tra Chloe Grace Moretz, la Hit Girl di “Kickass”, e misteriosi alieni mutaforma… basteranno tutti questi elementi a salvarlo dal pozzo di mediocrità dove abbiamo già relegato buona parte delle incarnazioni cinematografiche “young adult” degli ultimi anni?
A livello di trama, va detto che “La quinta onda” (titolo che pare più adatto a un cortometraggio neorealista tedesco) prende alcune decisioni in controtendenza, anche audaci, rispetto ai tropi affermati del genere “giovani adulti”: la vicenda inizia in medias res, con la nostra protagonista Cassie che ci dimostra la propria assoluta incapacità a maneggiare un fucile d’assalto, il tutto sul disastrato sfondo della provincia americana. Suspense, schizzi di sangue e vittime innocenti: la storia non ha certo voglia di farci aspettare… anzi, ha già cambiato idea. Ed ecco partire un flashback di almeno mezz’ora dove ci viene spiegato per filo e per segno chi sono i cattivi (spoiler da trailer – sono alieni) e cosa hanno fatto (spoiler da trailer – un sacco di cose scientificamente senza senso).
Il confronto immediato che viene naturale (per via dei numerosi parallelismi che si ritrovano lungo tutto l’arco del film) è con “Falling Skies”, la serie sci-fi prodotta da Steven Spielberg conclusasi lo scorso anno. Incentrata sulla lotta della resistenza umana in un mondo già conquistato dagli alieni, essa principiava narrando, con rara incisività ed efficacia, i passaggi cruciali dell’invasione attraverso i disegni e le parole di alcuni bambini. Rispetto a questo, il film preferisce dilungarsi nel rappresentare l’arrivo degli alieni vissuto in prima persona da Cassie: abbondano qui le inconsistenze logiche (la protagonista descrive avvenimenti subito dopo aver ammesso di non avere idea di come essi si siano svolti), e ci si prendono parecchie libertà nei confronti del buonsenso mentre il regista cerca di condensare un disaster movie alla Roland Emmerich in un quarto del tempo e un milionesimo del budget, mostrando al tempo stesso di non avere idea di come funzionino l’elettricità, i terremoti, e il virus dell’influenza.
Dopo diverse piaghe bibliche, in ogni caso, l’umanità è messa male, anche perché gli Altri (dai tempi di “Lost”, il nome migliore per i cattivi quando non hai voglia di inventartene uno vero) sono scesi sulla Terra, e sono identici a noi. Ciò sembra essere particolarmente drammatico, perché non è possibile capire chi sia il nemico: nell’universo del film, evidentemente, nessuna forza militare ha mai combattuto un nemico che non appartenesse visibilmente a una diversa specie animale (la Seconda Guerra Mondiale immagino fosse contro dei pinguini). L’unica speranza è iniziare ad arruolare i bambini e mandare loro a combattere al posto degli adulti perché… uhm… chiunque prende le decisioni laggiù è un fan del “Gioco di Ender”? Ma non è importante spiegare perché un infante in età prescolare dovrebbe essere più qualificato di, beh, chiunque altro a combattere gli alieni: il punto è che un qualche plot device senza senso separa Cassie dal suo fratellino di cinque anni. È dunque il momento per la nostra bionda eroina di intraprendere una marcia forzata a tappe di fanservice (tra primi piani di culi neo-maggiorenni e sexy boscaioli intenti a spaccare legna) per andare a salvarlo.
Da qui in poi, la situazione peggiora sensibilmente. Al di là dei vistosi buchi di trama e dei dialoghi ingessati (ai quali, va riconosciuto, il cast si sforza fino in fondo di trovare un senso), ciò che veramente fa saltare i nervi del film è quanto questo sarebbe potuto essere davvero bello. “La quinta onda” si presenta (a meno che non sia stato il mio cervello a cercare di dargli un senso che non ha) come una grande allegoria della guerra, e in particolare dei processi psicologici cui una popolazione in lotta si ritrova suo malgrado sottoposta: sono temi ricorrenti il trauma derivante dalla cessazione della normalità, la deumanizzazione utilizzata in modo strumentale da entrambe le parti per fomentare il conflitto, accanto a temi tristemente attuali come la tragedia dei bambini soldato (è impossibile non rabbrividire nel vedere alcuni dei protagonisti più giovani correre da una parte all’altra traballando sotto il peso di fucili più grandi di loro). Quando però si apre uno spiraglio e diviene possibile qualche digressione più in profondità, ecco che il film ci sbatte in faccia gli addominali di Alex Roe, una qualche lagna sul processo di colonizzazione delle Americhe (perché nessuno ha mai pensato di paragonare gli alieni ai conquistadores…), o una relazione romantica che viene fuori più come “due adolescenti arrapati casualmente trovatisi mezzi nudi nello stesso momento in un bosco sperduto” (e che arriva a insinuare, in maniera sottilmente misogina, che il pregio maggiore della nostra eroina sia quello di essere carina).
Il quadro complessivo che ne emerge è quasi schizofrenico: si passa da segmenti chiaramente studiati e coreografati in maniera distinta (nota di merito ai due o tre scontri a fuoco) a passaggi pigri, quasi svogliati, la cui dignità non viene redenta nemmeno da una prestazione complessivamente soddisfacente da parte del cast. Difficile immaginarsi che genere di pubblico potrebbe gradire un film simile: la gestione rushata dell’invasione in sé scontenterà chi si aspetta un action d’invasione aliena, i personaggi e la romance risultano completamente sprovvisti di carisma, e la pellicola ben si guarda dal fare il salto di qualità a fantascienza vera e propria.
– Federico Brajda –
‘La quinta onda’ – Recensione del film
Federico Brajda
- Il cast è decisamente sul pezzo, e mi ha convinto;
- Le buone idee ci sono, e si vedono nelle scene più concitate;
- A cercarli col setaccio, si trovano numerosi momenti tutt’altro che scontati;
- Ridicolmente retrogrado l’arco narrativo della protagonista;
- Piuttosto deboluccia l’intera sequenza dedicata all’invasione;
- La trama è forzata, mettendo a dura prova la sospensione dell’incredulità;