Sarete tutti d’accordo con me nell’affermare che se esiste il genere fantasy oggi, è grazie a Tolkien. Tutto è iniziato da lui e se, quando era ancora studente, non avesse iniziato ad inventare lingue fantastiche, forse non avrebbe mai scritto Lo Hobbit. Fin da giovane era interessato alle lingue; lo studio accademico non fece che aumentare la sua passione, e di certo intuì che un testo è legato ad una cultura così come ad una lingua. Tuttavia, la storia delle lingue di fantasia sarebbe potuta finire lì, se Tolkien fosse stato considerato uno strambo che passava i pomeriggi chiuso in casa ad immaginare come parlavano gli elfi. Al contrario, non solo questa idea fu apprezzata dai fan (tanto che oggi esistono un mucchio di persone che parlano elfico!), ma ha influenzato tutta la narrativa successiva.
Cerchiamo di capire il fenomeno. L’elfico, così come la lingua dei Klingon, o il Dothraki de Il Trono di Spade, sono tutti linguaggi artificiali, detti anche “Conlang”, forma abbreviata di “Constructed Languages”. Attenzione: non sono un’accozzaglia di parole inventate e piazzate sulla carta stampata. Al contrario, sono vere e proprie lingue, con grammatiche, pronunce e storie complesse. Anche se i Conlang superano raramente le 3000 parole, la loro differenza principale dalle lingue naturali (quelle che parliamo normalmente) è essenzialmente la loro diversa origine: non si sono formate spontaneamente, ma sono frutto dell’ingegno umano. Quindi un buon Conlang non è meno complesso, bello o reale rispetto alle altre lingue.
Lo ammetto, l’idea di passare del tempo ad inventare lingue che nessuno parla davvero può sembrare un po’ bislacca, ma di certo non è di questa opinione David J. Peterson, il maggiore “Conlanger” del momento, che ha trasformato il fenomeno in una professione: è stato lui a creare le lingue per il film di Thor, e per le serie Penny Dreadful, Il Trono di Spade e The Shannara Chronicles.
Pensandoci bene, questo fiorire di lingue non dovrebbe stupirci: forma e contenuto hanno un legame indissolubile, e questo appare ovvio quando si tenta di tradurre, ad esempio, una canzone. A maggior ragione nei mondi fantastici, in cui ogni cosa è fittizia, ma deve restituirci impressioni ed emozioni, ecco che anche il suono di una lingua straniera può fare la differenza. Non sarebbe una delusione scendere da un aereo a Londra, e sentir parlare italiano per le strade? Anche le lingue che non comprendiamo, con il loro suono, sono capaci di evocare emozioni, e nella narrativa fantasy non c’è nulla di meglio di una lingua creata ad arte per dare verosimiglianza ad un mondo.
Il cinema, in particolare, sembra piuttosto affamato di Conlang, che nei film e nelle serie TV sono sempre più frequenti. Lo spettatore medio, sempre più abituato a leggere i sottotitoli, sembra apprezzare qualche tocco di lingua straniera, seppure inventata. Grazie al potere della pellicola, le lingue possono essere recitate, e questo dà loro molta più profondità (nonché tanti grattacapi a coloro che devono recitarle!). Non è un mistero che gli attori de Il Signore degli Anelli abbiano dovuto frequentare corsi di elfico, mentre gli adattatori italiani hanno spesso fatto scempio di quelle bellissime frasi in Quenya. Numerosi sono i casi interessanti in cui il Conlang cinematografico si è sviluppato notevolmente. Sempre parlando della prima trilogia di Peter Jackson, il dialogo tra gli orchi era essenzialmente scritto in inglese, mentre l’unico Conlang che sentivamo era un po’ di Quenya tra elfi. Diverso l’approccio per la trasposizione de Lo Hobbit – uscito 10 anni dopo ISdA – dove sentiamo tutte le lingue indigene della Terra di Mezzo, “orchese” compreso. The Shannara Chronicles, invece, fa di più: sorpassa lo stesso autore. Terry Brooks, prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura, era un avvocato, non un linguista, e non creò lingue per i suoi popoli. I produttori della serie invece hanno voluto osare, creando il Noalath. Anche il Dothraki, una lingua appena tratteggiata da Martin, viene trasformata in un linguaggio complesso per la serie TV di HBO.
Il fantasy è un genere che vive una contraddizione di fondo: si basa su universi immaginari, eppure punta, nelle sue creazioni fantastiche, a raggiungere una sorta di realismo. Le parti del puzzle devono sempre combaciare tra di loro, perché il lettore/spettatore a modo suo “creda” alla storia, e si faccia trasportare da essa. Sono i piccoli dettagli a far percepire al lettore/spettatore che c’è un intero mondo dietro alla storia che viene raccontata, un mondo da scoprire, ma con continui richiami e riferimenti alla realtà. Non a caso i Conlang, nonostante siano creazioni di fantasia, hanno sempre dei richiami a lingue del mondo reale. Prendiamo un esempio: il Khuzdul, o lingua dei nani. Tolkien trovava che i nani avessero qualcosa di ebraico nel loro essere cacciati dalla propria terra, e sempre desiderosi di ritornarvi. Per questo motivo, diede alla lingua un suono ed un vocabolario semitico.
Quello delle lingue artificiali è un mondo in espansione, quindi se non volete perdere l’occasione di familiarizzare con i Conlang, il mio consiglio è di unirvi ad una community online di cultori del vostro linguaggio preferito, iniziando così ad apprenderlo – dicono che ci sia un gruppo di persone che si riunisce periodicamente sulla tomba di Tolkien per recitare la messa in Quenya. Nota bene: l’elfico non vale come lingua straniera all’Università!
Un altro suggerimento che vi do è: create una nuova lingua! Se “creazione di lingue fantastiche” non è nel vostro corso di studi, niente paura! Trovate online un kit di creazione, oppure potete comprare il libro di Peterson con i segreti del mestiere.
– Daniele Gabrielli –