Quando si tratta di made in Japan c’è sempre una parte di noi che immancabilmente inizia a sudare freddo. Certo, la terra del Sol Levante ci ha regalato, nel corso degli anni, innumerevoli capolavori in campo sia fumettistico che d’animazione, nonché diverse perle dell’universo ruolistico videoludico; al tempo stesso, tuttavia, risulta la rifornitrice principale dell’internet di pubblicità vagamente disturbanti, filmini contenenti un numero di tentacoli superiore alla soglia massima sancita dalla nostra sanità mentale (ossia, zero), e remake di prodotti mediatici occidentali arricchiti dalla saltuaria (e, per quanto ne capisca, costituzionalmente sancita) presenza di Megazord e Godzilla.
Tale preoccupazione risulta amplificata quando il discorso si sposta sui giochi di ruolo tabletop, basati sul creare e raccontare una storia coerente insieme con altre persone. Tale processo di story-telling condiviso dipende, infatti, fortemente dagli standard archetipali trasmessi dalla cultura di appartenenza: quando si ruola in occidente, sappiamo cosa aspettarci, ma in Giappone? A cosa giocano i giapponesi?
Il fenomeno del role-play moderno è prettamente di matrice occidentale: il principale limite posto alla sua diffusione in estremo oriente è dato dalla barriera linguistica. I primi contatti tra Giappone e GdR cartacei avvengono a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, con la stampa di manuali importati in lingua inglese, cui seguono a distanza di qualche anno quelli tradotti nell’idioma locale. La svolta si ha negli anni ’90, quando il genere cattura l’interesse del grande pubblico grazie al successo di videogiochi come “Final Fantasy”, e soprattutto alla stampa e pubblicazione dei log di sessione.
Questi ultimi sono libri costituiti integralmente dalla trascrizione verbatim (cioè parola per parola) di una sessione di gioco: il perché qua il Italia non abbiano preso piede è inspiegabile (o forse no, considerando che la sessione media italiana è composta per il 70% da bestemmie e per un 20% di battute su peni). Nel caso vi chiedeste dove sia il divertimento del leggere di altre persone che giocano, beh… in realtà non l’ho capito neanche anche io (ma, trattandosi del Giappone, non lo prendo come un fatto negativo). Tuttavia, la cultura locale dimostra una notevole permeabilità per quanto riguarda i confini tra i vari tipi di intrattenimento: il passaggio da log di sessione a manga è semplice, come pure da manga vero e proprio a sistema regolistico appositamente dedicato, al punto che presto i confini sfumano e i vari prodotti legati a un dato universo vanno a costituire un tutt’uno organico.
Anche quando gli appassionati realizzano di poter, effettivamente, giocare in prima persona, i sistemi di gioco stranieri continuano a mostrare una diffusione ridotta: certo, i mostri sacri come D&D e GURPS (con il supplemento ufficiale GURPS Runal) ricevono la loro bella edizione tradotta e revisionata, e ottengono anche un notevole consenso, ma il mercato risulta letteralmente saturato da prodotti locali. A farla da padrona sono case di produzione come a Group SNE e F.E.A.R., che sfornano a ritmo da record sistemi di gioco e manuali dall’elevata qualità sia in termini di meccaniche che di editing e soprattutto illustrazioni. Com’è facilmente intuibile, nella terra dei manga i disegnatori di talento sono tutt’altro che scarsi, e la mera bellezza dei manuali li rende delle opere d’arte di per sé, più oggetti da collezione per i role-player stranieri che regolamenti veri e propri.
Purtroppo per tutti voi otaku là fuori (o, almeno, quelli non fluenti col giapponese scritto, chiaramente), la spinosa questione delle traduzioni risulta tutt’oggi praticamente irrisolta, nemmeno per i sistemi più diffusi e di successo. Ma questo è un male? Che cosa ci stiamo perdendo?
L’interesse nei confronti del fantasy classico con ambientazione europea è, in proporzione, maggiore rispetto a quello dalle nostre parti per l’Asia medievale: accanto a giochi ispirati all’epica orientale troviamo differenti versioni locali di mondi tolkeniani, come “Arianrhod” e “Sword World”, con i quali i giocatori nostrani non dovrebbero ritrovarsi troppo spaesati (se non, forse, per una percentuale maggiore di ragazze-coniglio). A causa della scarsa diffusione di dadi poliedrici nel Giappone rurale, si nota tuttavia una curiosa preponderanza di sistemi basati esclusivamente sul d6 rispetto ai più organici modelli occidentali.
Più originali, e invero piuttosto interessanti a livello di meccaniche, sono il supereroistico “Double Cross”, dove macellare il nemico di turno passa in secondo piano rispetto al mantenere stabile la sanità mentale del proprio personaggio gestendo le relazioni personali del proprio alter-ego, e “Tokyo NOVA”, cyberpunk futuristico che incoraggia i master a sviluppare trame che mettano i giocatori in competizione tra loro, dove i personaggi non necessariamente collaborano per uno scopo comune ma, anzi, possono scegliere di intralciarsi a vicenda.
Sapendo che poi tra di voi ci sono quelli che hanno iniziato a leggere questo articolo sperando in un po’ di delirio made-in-Japan, sappiate che anche in campo GdR non rimarrete delusi. Incidentalmente, uno dei giochi di maggior successo è “Alshard”, descritto da alcuni come un fantasy-fantascientifico sulla falsariga della serie Final Fantasy: c’è il classico impero nazista steampunk medievaleggiante dominato dall’altrettanto classico Papa-Hitler che va per i cinquecento anni, valchirie-robot equipaggiate di jetpack, fucili al plasma e minigun, e una nave-dirigibile capitana dall’equivalente di Re Artù e i cavalieri della tavola rotonda. E se vi sembra il mash-up più ridicolo dai tempi di “Alien vs Predator”, è solo perché non conoscete “Chaos Flare”, dove il team di giocatori si allea per combattere una mega-minaccia cosmica stile Cthulhu che vuole distruggere la Terra di Mezzo di turno. Ordinaria amministrazione? Peccato che le classi dei personaggi includano (ma non si limitino a) Transformers, mezzi-draghi e samurai su navi da battaglia spaziali (no, non sto scherzando).
Infiniti sono i meandri più oscuri del mondo GdR nipponico, destinato a rimanere perlopiù sconosciuto al giocatore occidentale digiuno di lingue asiatiche. Avventuratevi oltre la soglia, se avete il coraggio: del resto, rischiate solo la vostra sanità mentale.
– Federico Brajda –