Isolani, eccoci finalmente arrivati al mid-season finale di The Walking Dead. E dico finalmente perché, soprattutto con l’andazzo preso nelle ultime puntate, il raggiungimento della pausa invernale è diventato davvero un momento per prendere fiato da una serie che mi ha deluso molto. Nonostante ci fossero i presupposti narrativi (stando almeno alla sceneggiatura del fumetto che abbiamo visto riproposta frammentariamente), il lavoro degli sceneggiatori non ha per nulla convinto. Se ci si aspettava un finale cattivo che lasciasse con il fiato sospeso, allora abbiamo proprio sbagliato: l’impressione che L’inizio e la fine (questo il titolo della puntata) dà è quello di voler semplicemente rimandare tutto al prossimo febbraio, sperando che durante il natale gli sceneggiatori facciano ammenda dei propri peccati, e che ci propongano una puntata veramente cattiva.
Era naturale che da questo episodio ci aspettassimo i fuochi d’artificio, piuttosto che una puntata bella a tratti e non particolarmente brillante. L’incipit è interessante: l’atmosfera è creata dal bambino che ascolta una canzoncina allegra dal grammofono e dalla colonia di formiche sul cibo avariato, prima dello stacco della sigla. Degno di nota anche il disegnino inquietante che riporta un po’ alla mente le due ragazzine morte sotto la custodia di Carol qualche tempo fa. Tutto intorno, Alexandria crolla (letteralmente). La ritirata a tratti sembra non voler terminare, ma l’eterogeneità dei gruppetti che si formano non dispiace: in un’azione eroica nella quale si comporta come un’impudente, Deanna viene giustamente morsa. Fra gli autoctoni della comunità è sicuramente la più interessante: da sottolineare, inoltre, che il ruolo della vecchiaccia fino a fine puntata rimane centrale, tanto da aprire addirittura la serie di stacchi al rallentatore che andrà appunto a chiudere il finale di stagione. Un grido veramente potente, apice di una bellissima interpretazione dell’attrice (e qui dobbiamo rendergliene assolutamente atto!); un bel modo per far sì che il suo personaggio lasci una traccia convinta nella serie. Questa situazione risulta cardine anche di un’analisi più profonda di Michonne, che si spoglia (ancora) dei panni della spietata spadaccina per diventare una tipa riflessiva e profonda – come ogni altro personaggio della stagione a quanto pare.
All’interno delle mura la suddivisione dei sopravvissuti in gruppi crea del potenziale d’azione che rimane in grossa parte inespresso. Uno di questi è composto da Rick, Carl, Michonne, Jessie e i due figli, Padre Gabriel e Deanna, e l’unico personaggio che davvero lascia un segno nella puntata è appunto la vecchia (e per farlo deve schiattare eroicamente). Una lite fra Ron e Carl, ancora, crea dinamicità (e ho pensato davvero al peggio, lo ammetto), ma nonostante abbiano gli zombie in casa, sembrano essere tutti piuttosto tranquilli (al punto da lasciare la musica accesa e il figlio più piccolo di Jessie nella stanza da solo, fino a farti pensare che sia morto suicida). In questo frangente una cosa mi ha sorpreso, e non poco: troviamo un Carl più maturo al quale affidano addirittura uno scambio di battute e una presa di posizione da figlio del leader, anche un po’ troppo cafone ad essere completamente onesti, e quindi a tratti poco credibile. Se vogliamo interpretarla in chiave sociale, si potrebbe guardare il comportamento di Carl come quello di una persona mossa dalla pietà nei confronti di un ragazzo scosso dalla perdita del padre e poco abituato a questa situazione di merda, al quale fra l’altro ha anche fregato la tipa. L’altro gruppo di sopravvissuti si trova nella stessa casa ma separato da un muro: se da una parte abbiamo Morgan, Carol e la nuova doc/lesbo Denise, dall’altra, a bilanciare, c’è Eugene che sembra stia giocando di ruolo piuttosto che cercare di sopravvivere, insieme a Rosita e Tara, che ci regalano, nel salvare il nostro inetto preferito, una scena action davvero pietosa, un salvataggio da pellicola amatoriale per le dinamiche. Oltre ai punti bassi che si toccano nel garage della casa, anche lo sceneggiato fra Carol e Morgan, che tenta di coprirsi di un discorso etico importante, riesce a risultare inconcludente e sterile: per non parlare di come si comporta Denise e del fatto che, come tutti noi immaginavamo dal momento della cattura, il tizio dei Wolves riesce a scappare, prendendo in ostaggio proprio la dottoressa cicciona, fra lo sconvolgimento di pochi e l’incuranza dei più.
Maggie e suo marito, l’immortale Glenn, invece? I protagonisti della più bella storia d’amore al tempo degli zombie riusciranno a ricongiungersi? Non si sa, ma nel dubbio, i palloncini verdi continuano a volare in cielo, mentre la donna si salva a stento su una pedana poco stabile a ridosso del varco che la torre, cadendo, ha aperto: insomma, è in una botte di ferro. La ritroviamo a fine puntata esattamente dove l’avevamo lasciata, con Glenn che prova a convincere Enid a compiere una missione suicida (a quanto pare, vuole morire ad ogni costo) per salvare sua moglie incinta. Sembra che non abbiano ancora un piano, ma dovranno elaborarlo in fretta se vogliono risultare ancora più o meno credibili. Per il momento li salutiamo così, e gli auguriamo buone feste.
Come si chiude la puntata? Con un chiarissimo riferimento al fumetto (sì, magari quel momento madre/figlio con Rick molto ambiguo sta per arrivare!), oltre che anche alla prima stagione, con l’espediente degli zombie smembrati al quale, nonostante la riluttanza, anche i più teneri devono adattarsi. Poi quel maledetto bambino. Avrebbe dovuto solo stare zitto e “far finta di essere coraggioso”. Ovviamente, la prima cosa che ti viene da fare in mezzo ad un branco sconfinato di zombie, è chiamare tua madre come se potesse fare qualcosa per proteggerti. Nonostante questo lo ringraziamo, perché almeno aggiunge un po’ di pepe ad un finale scipito. Improvvisamente, poi, appare questa clip, della durata di poco più di un minuto e mezzo:
Ritorna quindi la tematica dell’unico gruppo, del senso d’appartenenza ad una comunità piuttosto che all’altra: da quell’essere residui di un mondo fatto di zombie e crudeltà al credere di poter mettere apposto le cose, in un modo o nell’altro, ridando ai sopravvissuti l’unica cosa che davvero gli manca per sistemare tutto, il senso di civiltà. Qualcosa che raccolga quel briciolo d’umanità rimasta in America (a questo punto, nel mondo?) e possa risollevare le sorti dell’uomo. Quantomeno provarci. E poi c’è Negan, l’uomo che tutti stavamo aspettando per sbloccare la situazione: il Supervillain che, dopo l’assaggio del Governatore, dovrebbe dare a questa serie il giusto tocco post-apocalittico che per certi versi ricorda l’universo di Ken il Guerriero o Mad Max. I Salvatori: tutto appartiene a loro, anche le vite dei nostri eroi. Un preludio della seconda parte di stagione che a me piace leggere come l’effettiva chiusura invernale, perché l’introduzione di questo personaggio straordinario nobilita sicuramente una serie che ha bisogno di dimostrare davvero qualcosa, ora più che mai.
– Antonio Sansone –
The Walking Dead 6×08 – Recensione
Antonio Sansone
- La morte di Deanna (e con lei della speranza?) che si sacrifica eroicamente;
- Michonne ritrovata, l'unica a vedere qualche speranza oltre;
- I riferimenti al fumetto, quelli sono sempre più che ben graditi;
- “Perfer et obdura: dolor hic tibi proderit olim ...", vale a dire: "Resisti e sta' saldo: questa pena un giorno ti sarà di giovamento…";
- Situazioni poco chiare ed irreali: durante la fuga in una qualsiasi altra puntata sarebbe stata una carneficina;
- Il salvataggio di Eugene che davvero potrebbe essere utilizzata come scena comica;
- Il figlio di Jessie e la musica accesa durante tutto l'assedio zombie;
- L'attore scelto per Negan non mi ha convinto immediatamente, spero di aver modo di ricredermi;
- Che il prigioniero dei Wolves sarebbe scappato lo si capiva fin da subito;