Il momento che molti appassionati attendevano con ansia è finalmente arrivato. La nuova stagione di The Wakling Dead è appena iniziata e già ha fatto storcere il naso a molti, me compreso. Magari è presto per poter parlare ma, sinceramente, ciò che ci si aspetta da una delle serie tv sicuramente più seguite ed apprezzate al mondo è qualcosa in più rispetto a quello che invece ci viene propinato in questa prima puntata (che da prassi supera un’ora di durata).
La quinta stagione si interrompe con l’arrivo e lo stabilirsi del nostro gruppo di sopravvissuti ad Alexandria, complesso residenziale quasi autonomo a livello energetico che è stato fortificato da una comunità, il cui intento palese è quello di condurre una vita normale, come in un’oasi utopica in mezzo ad un mare di merda. Fin qui ci siamo. Ovviamente, per i nostri sopravvissuti, abituati a ben altre circostanze, tornare a condurre una vita normale diventa praticamente impossibile. Questo viene sottolineato dal fatto che Rick, nominato Sceriffo di Alexandria ed affiancato da Michonne, non fa passare molto tempo prima di freddare uno dei membri della comunità. Ovvio, lo ha fatto per un buon motivo. Ma siamo proprio sicuri che questa giustizia sia reale, oppure si tratta semplicemente una dimostrazione di cruda violenza al fine di imporsi sul resto della comunità? Uno dei temi che questa prima puntata approfondisce è proprio questo. Rick pretende di avere il controllo della comunità ma, nell’evoluzione del personaggio, ci viene da chiedere se abbia il controllo di se stesso. Cosa rimane, quindi? Abbiamo trovato un Rick sicuramente incattivito dalla situazione, alla deriva (così come Abraham che appare in alcune scene evidentemente disturbato) ed insieme al timone di questo gruppo di sopravvissuti, ben più numeroso di qualsiasi altro gruppo lo Sceriffo si sia mai ritrovato a capitaneggiare.
Per quanto le tematiche siano effettivamente più sensibili alla tendenza narrativa del fumetto (almeno a primo impatto) il ritmo della puntata è terribilmente lento. Flashback in bianco e nero narrativi e densi di sfumature caratteriali talvolta anche troppo melense, che si alternano a scene d’azione e concitate. Il risultato? Quello di far sembrare le parentesi narrative ancora più lente. Forse la risultante è dovuta anche ad un’aspettativa elevata a seguito di un paio di stagioni decisamente sotto tono rispetto all’inizio più slanciato. Che l’incedere lento degli zombie, soprattutto a seguito dello spin-off Fear The Walking Dead fresco di chiusura (e di rinnovo per la seconda stagione), ci abbia un po’ stancato? Forse sì, forse no: la percezione degli avvenimenti e della trama narrativa rimane soggettiva, ma il fatto che quest’oretta sia difficile da digerire mi sembra quasi universale.
Per quanto riguarda i dialoghi, nella fattispecie l’adattamento in italiano, mi verrebbe da dire che c’è da lavorarci ancora. Se la cosa però non è stata sistemata all’alba della sesta stagione, allora significa che qualche problema c’è. Ci troviamo di fronte ad una Michonne che, parlando con un redivivo Morgan comparso dal nulla e senza troppe spiegazioni dalla prima stagione, non ha niente di meglio da dire se non “È così che funziona, no? Pensi sempre che sia rimasto un ultimo burro di arachidi”, a seguito di una discussione il cui perno è stata, appunto, una barretta di burro di arachidi. BENONE. Vogliamo parlare di Carol invece, che quando apre bocca ti dà la sensazione di guardare uno di quei programmi stile documentario che parla di adolescenti evidentemente disagiati? La chicca però, sia a livello di sceneggiatura che di doppiaggio, è Eugene: uno strano mix fra Einstein, Forrest Gump ed un pasticcione da cine-panettone.
Tutto questo viene sapientemente farcito con scene che sforano abbondantemente il limite dell’ignoranza. Come ad esempio Daryl che conduce un’orda di zombie a bordo della sua moto homemade (se ricordate le modifiche fatte alla fine della quinta stagione, mi capirete) con una colonna sonora epica, degna della marcia degli Estranei di Game of Thrones. Da sottolineare, inoltre, anche le uscite piuttosto badass di Rick con frasi del tipo “Hai almeno una vaga idea di con chi stai parlando?” (arrangiamento, fra l’altro, dalla dubbia espressività, ma ne abbiamo parlato prima). Una serie di eventi che porteranno il tutto ad un finale al cardiopalma che, onore al merito, lascia con il fiato sospeso in attesa della puntata seguente.
The Walking Dead ha abituato il suo pubblico, almeno all’inizio, a standard altissimi: ha rivoluzionato l’idea di survival horror e l’ha decisamente condizionata, non meno di illustri predecessori del genere. A cosa attribuire il merito di questa ricetta? Alla story-line del fumetto dalla quale la serie sembra aver preso un distacco pressoché totale? O al fatto che ci troviamo davanti ad una produzione che oggettivamente nasce come una serie di ottima qualità – nonostante ci siano degli inserti in CGI che mi hanno lasciato un po’ deluso, a dire il vero – e si protrae soltanto per poter soddisfare il pubblico più curioso, lasciando che sia la sceneggiatura a pagarne le conseguenze?
Non è detta l’ultima parola, ovviamente, ma staremo a vedere.
Chiudo con una citazione del nostro sceriffo preferito, la stessa con la quale la prima puntata si apre: questa racchiude il senso profondo della serie e dell’aspetto della natura umana che vuole sottolineare: “Dobbiamo aggredirli per forza, prima che loro aggrediscano noi, è semplice!”
Stay Tuned!
– Antonio Sansone –
The Walking Dead 6×01 – Recensione
Antonio Sansone
- Ritorno in grande stile, lo spettatore viene subito messo di fronte ad un bel po' d'azione;
- Particolare attenzione all'aspetto comunitario ed alle differenze fra sopravvissuti con background diversi;
- I personaggi di sempre si amalgamano con molta naturalezza alle new entry;
- Rick caccia le palle per davvero;
- Puntata molto lenta, resa ancora più lenta dalla scelta di intervallare molti flashback alla narrazione;
- Chi ha lavorato agli effetti speciali poteva fare di meglio;
- Sceneggiatura e dialoghi che di tanto in tanto barcollano;
- Eugene è diventato un personaggio da sit-com;