Se non avete mai sentito parlare di Howard Phillips Lovecraft, le alternative sono due: o siete dei Viaggiatori Temporali dell’epoca vittoriana provenienti da Richmond, nel Surrey, oppure avete trascorso la vostra intera esistenza in cima a una colonna nel mezzo del deserto in compagnia di un geco. Nel caso non vi riconosciate in alcuna delle casistiche precedenti, allora potete star certi di aver incontrato, nel corso della vostra carriera di lettori e appassionati di fantasy e fantascienza, almeno una dozzina di riferimenti, omaggi, citazioni, o adattamenti della massiccia produzione del sopraccitato autore di Providence, Rhode Island.
Avete mai letto un fumetto di Batman? Sappiate che l’Arkham Asylum condivide il nome di una fittizia cittadina del Massachusetts (provvista naturalmente di sanatorio mentale) ideata da Lovecraft e palcoscenico di più d’una delle sue disturbanti novelle. Siete appassionati di MMORPG, e all’epoca d’oro di Wrath of the Lich King bazzicavate le istance di World of Warcraft? Vi rallegrerà sapere che Yog-Saron (boss dei sotterranei di Ulduar) e i suoi compagni di merenda degli Antichi Dèi sono decisamente farina del sacco del vecchio Phil. Trovate South Park divertente? Cthulhu bazzicava anche da quelle parti. Siete dei Martin-dipendenti e avete veramente investito dei soldi per comprare Il Mondo del Ghiaccio e del Fuoco (edito in Italia dalla Mondadori)? Che i Grandi Antichi ci salvino, i toponimici di tre quarti di Essos sono ripresi dalla cosmologia lovecraftiana.
E questi esempi sono veramente solo la punta dell’iceberg.
Da Robert Howard a Magic the Gathering (sto guardando voi, Eldrazi), da Bloodborne (per ulteriori dettagli, guardate qua) a Supernatural, pressappoco chiunque abbia mai preso in mano una penna e deciso di mettere insieme una frase di senso compiuto a tema vagamente fantastico prima o poi ha ceduto alla tentazione di omaggiare Lovecraft e il suo Mito di Cthulhu, termine con cui si è giunti a designare il corpus meta-narrativo di personaggi, luoghi ed eventi sottesi a tutte le sue opere, ruotante intorno a un pantheon di dementi e raccapriccianti divinità proveniente dalle regioni oltre la fine dell’eternità e i confini dell’esistenza, alieni e entità cosmiche più antiche del tempo stesso, e località rurali del New England (perché, evidentemente, nella classifica degli orrori del vecchio Phil la voce “abominazioni arcane al di là della fisica e della ragione umana” veniva subito dopo “panini all’astice” e “immigrati europei”).
Una simile abbondanza non stupisce, del resto, visto che stiamo parlando del più grande autore horror finora vissuto, rivaleggiato forse unicamente da Edgar Allan Poe (di cui peraltro era grande ammiratore), creatore della corrente del cosmicismo, quel genere enfatizzante l’assoluta e totale insignificanza dell’esistenza umana collocata in un tempo e in uno spazio dilatati al punto da non poter essere nemmeno concepiti, vero e proprio tema ricorrente nelle sue storie, assieme al confine vischioso e mutevole tra sanità e pazzia, ordinario e raccapricciante, tra la veglia e il sonno.
Follia e disturbi del sonno, del resto, sono sempre stati le due grandi costanti della vita di Lovecraft: dall’età di sei anni soffriva di pavor nocturnus, o terrori notturni, fonte di ispirazione di molte delle sue opere; terrori che si accompagnavo allo spettro della follia genitoriale (sia la madre che il padre morirono rinchiusi in un manicomio).
Non iniziate a sentirvi troppo tristi per lui, però: oltre a essere un’anima sensibile e tormentata, dai trascorsi traumatici e circostanze di vita difficili, Lovecraft era anche un convinto razzista. E, badate, qui non si sta parlando del razzismo casuale da inizio novecento: parliamo più di un razzismo da “quell’Hitler sembra un tipo simpatico ma i suoi metodi mi paiono un po’ blandi” (andate a leggervi la lettera a Donald Wandrei datata Novembre del 1936 per una citazione più letterale). Spesso nelle sue storie ricorre il concetto della superiorità morale e intellettuale dell’uomo bianco rispetto a tutte le altre razze, mentre le sue raccolte epistolari abbondano di insulti indiscriminatamente rivolti ad afroamericani, asiatici, immigrati europei e soprattutto ebrei, abitudine che mantenne anche dopo aver sposato una donna di origini semite (perché la coerenza è un concetto alieno alle menti di chi ascolta i bisbigli di Nyarlathotep da oltre il velo del sogno).
Si potrebbe andare avanti per ore a parlare degli affascinanti particolari della vita di Lovecraft, a partire dalla sua anacronistica fissazione per i gatti (che lo spinse a scrivere una dissertazione in cui spiegava perché sono migliori dei cani e lo classifica irrimediabilmente come un precursore dell’internet moderno), o di quando gli fu commissionata una biografia di Harry Houdini comprensiva di un presunto incontro tra il mago e un demone dell’oltre-spazio, della quale tuttavia contestò a più riprese la veridicità. Per chi fosse interessato all’argomento, consigliamo vivamente la consultazione di una delle sue biografie (la più completa è forse “I Am Providence”, di J. Joshi, Hippocampus Press): per tutti gli altri, ci si può tranquillamente accontentare della sua massiccia produzione letteraria, buona parte della quale è attualmente considerata di dominio pubblico e reperibile gratuitamente su internet (sebbene la questione sia particolarmente controversa). In ogni caso, il sottoscritto è un teorico della superiorità del cartaceo, e segnala pertanto l’ottima serie di edizioni singole dei suoi racconti da parte della Newton Compton, e la raccolta “I Capolavori” de La Feltrinelli. Per i neofiti al primo approccio, si consigliano in particolare “Il Richiamo di Cthulhu”, dedicato alla figura del Grande Sognatore e vera pietra angolare di tutto il Mito lovecraftiano, “La Maschera di Innsmouth”, “Il colore venuto dallo spazio” e “L’Orrore di Dunwich”, quattro ottimi biglietti da visita per i temi e lo stile lovecraftiano. Chi poi dovesse sentirsi di animo particolarmente ardimentoso, non vorrà certo farsi scappare il mammut della Newton Compton “Lovecraft – Tutti i romanzi e i racconti”.
In ogni caso, Neil Gaiman stima che ci vogliano ancora un paio di eoni prima che il dormiente Cthulhu si risvegli nella sua città di R’lyeh per porre fine alla razza umana: in un modo o nell’altro, il tempo lo dovremo pur impegnare…
– Federico Brajda –