Oggi raggiungeremo insieme il punto più profondo dei vostri ricordi, vagando nei meandri della vostra mente che probabilmente avrà messo da parte tutto ciò che riguarda l’età infantile. Parleremo, con l’aggiunta di una sincera lacrimuccia, dei Mumin o come sono conosciuti da noi in Italia dei Moomin, e della loro creatrice, la svedese Tove Jansson.
Ma di cosa parliamo? Per chi non la conoscesse, la serie dell’infanzia dei Mumin compare per la prima volta nel 1946 e racconta le vicende, appunto, dei Mumin, troll disegnati come una sorta di ippopotami; questi personaggi di finzione comparvero come parte integrante dei libri d’infanzia che la Jansson scriveva, ma poco dopo divennero così famosi che le venne proposto di creare una comic strip. La bellezza dei Mumin che ha travolto i migliaia e migliaia di ragazzi che li leggevano stava nella spontaneità di questi personaggi, cosa a dire il vero anche plausibile, considerando che essendo nati come corredo a libri d’infanzia, dovevano trasmettere per lo più morali e positività.
È in effetti il fulcro della famiglia dei Mumin, composta da papà Mumin, mamma Mumin e figlio Mumin, a dare il via alle numerose avventure divise in episodi-strisce, tutti autoconclusivi. Naturalmente l’episodio diviso in strisce non comprendeva per forza di cose una componente di humor, ma anzi, seguiva di più la via della riflessione e ci faceva ritrovare alla fine delle battute a pensare al messaggio che questi simpatici esseri avevano voluto darci. Essi erano rappresentati con semplicità, e l’unico modo che avevamo per distinguerli era di basarci su alcune piccole caratteristiche, come papà e mamma Mumin più alti rispetto al figlio, o la fidanzata di quest’ultimo rappresentata con una frangetta, o anche altre piccole minuziosità come un cappello, un grembiule… tutti particolari che ad un solo sguardo permettevano al bambino di riconoscere facilmente i vari personaggi del nucleo familiare, ritrovando gli stessi elementi anche nella vita reale. La vita a Muminland appariva pressoché tranquilla, e tutto quello che accadeva lo faceva senza particolare logica: poteva succedere qualsiasi cosa, ma il tutto veniva riposto nella giusta locazione alla fine di ogni episodio. La maggior parte delle storie provenivano da quello che è l’ambiente familiare, e di conseguenza si affrontavano tutte tematiche inerenti alla realtà, e proprio per questo potevamo assistere allo sbocciare di semplici situazioni del tutto naturali che potevano poi rivelarsi molto più articolate e complicate del previsto, ma che naturalmente a fine episodio ritornavano come erano. Ovviamente la famiglia Mumin costituiva solo la parte dei personaggi primari, ma c’erano anche diversi personaggi secondari, che si intervallavano all’interno delle varie storie e dei quali alcuni erano anche causa scatenante di determinate situazioni. I nomi italiani ovviamente erano differenti da quelli originali, poiché riadattati, proponendoci quindi Adipella, la dolce e innocente fidanzatina del figlio Mumin, Sniff, suo amico, e Puzzetta che può essere considerato un po’ come “l’antagonista”. Della famiglia dei protagonisti principali, però, quella che prendeva le redini delle principali situazioni che si venivano a creare, a specchio di quella che è spesso la realtà, era la mamma Mumin, che cercava di essere quel sostegno quando il resto della famiglia si faceva prendere dall’esuberanza durante determinante situazioni.
Le storie sviluppate in episodi avevano la capacità di far sorridere appunto più che per humor, quanto per il rivedere una realtà rispecchiata e resa elementare, ma condita da situazioni che iniziavano con l’essere alla portata di tutti i giorni e si evolvevano finendo per diventare dei veri e propri intrighi. Ma non ci trovavamo di fronte solo a situazioni quotidiane, bensì anche a toni che si avvicinavano al dark e al thriller, dove si poteva assistere a sparizioni e assassinii, ma che poi nella fattispecie risultavano essere sparizioni giustificate e sangue che non era nient’altro che semplice marmellata. Il numero di strisce non era sempre fisso, e c’era una particolarità che possiamo definire quasi una sorta di “firma” essendo una costante: in ogni episodio, nella prima vignetta, era possibile ritrovare sempre Moomin chinato di spalle, per un motivo o per un altro.
I Mumin erano quindi un concentrato di semplicità, quotidianità, attualità, ma soprattutto di riflessività; come dovrebbe esser fatto, nell’insegnare il buono e il cattivo, questa serie accompagnava il lettore con l’ingenuità, ma anche con la freschezza che solo gli occhi di un bambino possono avere, che toccano anche lati oscuri ma che finiscono sempre per avere la peggio contro i lieti fine.
È proprio per questo mix di caratteristiche che i Mumin o Moomin hanno sempre riscosso un enorme successo, facendo nascere diverse serie tv e, proprio recentemente, per la precisione l’anno scorso, un film, Moomins on the Riviera, lungometraggio diretto da Xavier Picard e che riscosse talmente successo nella sua prima settimana da raggiungere addirittura i 28,500 spettatori, diventando campione di incassi nei due fine settimana in Finlandia. Con un viaggio nella Costa Azzurra, i Moomin entrano a contatto con un mondo a loro totalmente sconosciuto e in cui cercano di rapportarsi: estremamente godibile, questo film può piacere a grandi e piccini, cosa che, del resto, probabilmente è sempre stato intento della scrittrice. Intanto, se volete fare un tuffo nel passato, vi lasciamo il trailer del film:
– Alessia Bellettini –