Diciamocela tutta: molti di noi si sono decisamente stancati delle mode che, da diversi anni a questa parte, hanno investito il genere fantastico, invaso da una serie infinita di plotoni di zombie, lupi mannari dagli ormoni impazziti e vampiri metrosexual. Chiariamo subito una cosa, onde evitare equivoci: queste tipologie di creature – intendendo nel senso più largo dei termini morti viventi, mutaforma e nottambuli succhiasangue – fanno parte di tradizioni narrative antichissime rintracciabili nel folklore e nelle leggende delle più diverse culture e nei più diversi periodi storici, e solo in un secondo momento, grazie a dei prestiti letterari, si sono affermate come protagoniste più o meno stabili di saghe letterarie horror e soprattutto fantasy, fino ad approdare in tv e al cinema. Pertanto stiamo parlando di modelli di personaggi che hanno una loro natura archetipica ben precisa, e che sono connaturati al genere fantastico e radicati nell’immaginario collettivo. Perché allora ho esordito dicendo che ci siamo stancati di loro? Perché, come accade per tutte le cose di cui si abusa eccessivamente – e il pleonasmo è voluto –, anche le storie di zombie, mannari e vampiri, per riuscite che possano essere, alla fine annoiano. Lo fanno perché la ripetizione senza senso forza il gusto del lettore/spettatore, il quale, ad un certo punto, non viene più spinto ad usare l’immaginazione e ad immedesimarsi nella storia e nei personaggi, perché gli si propone qualcosa che ormai è sentito come già consumato. Ovviamente tutto questo non vale qualora siate dei cultori di b-movie o dei cultisti di Cthulhu. Ma rimaniamo in ambito cinematografico, visto che oggi parliamo di cinema: per farvi degli esempi, “La notte dei morti viventi” (1968), “L’Armata delle Tenebre” (1992), “L’uomo lupo” (1941), “Gremlins” (1984), “Il conte Dracula” (1978) e perfino il leggendario video di “Thriller” di Michael Jackson sono delle pietre miliari, che non hanno scopiazzato niente e hanno inventato dei generi. Cosa che, invece, non vale assolutamente per “Twilight” e che vale in parte per “World War Z”, ma solo perché tratto dal romanzo originale di Max Brooks. Ci tengo a precisare che non sto dando un giudizio di gusto personale, ma semplicemente esprimo il mio parere sulla qualità dei contenuti. Fan di Bella, non offendetevi.
Questa premessa per dire che personalmente non mi aspetto niente di trascendentale da “Cooties”, film in uscita negli USA il 18 settembre con protagonista Elijah Wood e di cui Lionsgate ha diffuso pochi giorni fa il trailer ufficiale, presentandolo come una delle pellicole più divertenti dell’anno e tra le più spassose del genere horror demenziale. Per farvi capire il tono del film, già evidente dal filmato qui sotto, faccio notare che la sceneggiatura è stata scritta da un duo che più antitetico non potrebbe essere, ma devo dire perfetto per la stesura di questo copione: Leigh Whannell, co-creatore di “Saw – L’Enigmista”, e Ian Brennan, co-creatore della serie tv “Glee”. Boom! Questa commedia horror, infatti, è ambientata tra le aule di una scuola elementare in cui, attraverso l’ottimo cibo della mensa, si diffonde un virus che contagia un’alunna e la trasforma in una incazzosa biondina che in breve tempo trasmette la malattia a tutti i compagni, mutandoli in assassini mangiauomini. I docenti, immuni al virus come tutti quelli che non sono in età pre-puberale, dovranno fare squadra per poter sfuggire all’ira dei bambini che, ovviamente, non vedono l’ora di rifarsi sui propri insegnanti divorandone le budella. In questo film, diretto da Jonathan Milott e Cary Murnion e presentato lo scorso anno al Sundance Film Festival, il nostro Elijah Wood (ma perché non ti sei ritirato a vita privata dopo aver interpretato Frodo? Saresti uscito di scena rimanendo per sempre una leggenda immortale…) è il protagonista assoluto, e interpreta un supplente sfigato che si trova a dover affrontare il lunedì più brutto e potenzialmente letale della propria carriera scolastica.
Sicuramente l’idea per questa sceneggiatura è originale e introduce qualcosa di nuovo nell’ampio panorama dei soggetti che hanno come tema l’apocalisse zombie. E poi vi è una nutrita schiera di appassionati del genere horror-comedy – di cui non faccio parte, ma lo avrete capito – che di certo apprezzerà la comicità delle classiche gag tra scolaretti americani mischiata al sangue che gronda dalle loro bocche dopo aver sbranato il bidello. Quello che mi chiedo è se, dopo i bambini zombie, non siamo forse arrivati al capolinea di un genere. Tra l’altro, è di poco fa la notizia che “World War Z 2” uscirà il 9 giugno 2017, ma già si sapeva che ci sarebbe stato un seguito. Come dicevamo, di certo non sarà un film che rimarrà nella leggenda, ma ci può stare. La storia è avvincente, ci sono tanti colpi di scena e vogliamo tutti vedere come si evolverà la trama.
Dico solo che se non ci fosse stato Brad Pitt, non sono così sicuro che i guadagni sarebbero stati tanto alti da farlo diventare il film sugli zombie con il maggior incasso di sempre. Detto questo, non è forse il caso di smettere di considerare soggetti di questo genere – e nel genere includo chiaramente anche lupi mannari e vampiri – visto anche il prolungamento della serie tv “The Walking Dead” e la nuova “The Strain”, che da sole possono benissimo soddisfare la brama di sangue degli spettatori più assetati? Cos’altro ci si può inventare ancora per rinfrescare questa categoria narrativa e non cadere in banalità disarmanti? Scrittori e sceneggiatori, beh, stupitemi!
Piccola curiosità finale per capire il titolo del film: il termine cooties (letteralmente pidocchi) si riferisce in campo medico all’effetto di repulsione che i bambini tra i sette e i dieci anni provano nei confronti di coetanei che percepiscono come “diversi”, magari solo in quanto molto timidi, con qualche mania o più frequentemente perché di sesso opposto. Devo ringraziare la mia Amigdala se da piccolo rincorrevo le bambine per picchiarle, invece che per baciarle. Di questa repulsione i bambini ne fanno spesso un gioco in cui simulano il contagio di una malattia immaginaria se si viene in contatto in qualche modo con i compagni “infetti”. Sono i cosiddetti tag games a cui abbiamo giocato tutti durante l’infanzia, di cui esistono mille varianti e di cui c’è, appunto, la versione Humans vs Zombie. Svelato l’arcano.
Ora che sono grandicello, però, mi chiedo perché gli esseri umani abbiano innata questa predisposizione tendente all’omofobo ad accostare i concetti di diverso e infetto. Lascio a voi le possibili considerazioni riguardo le implicazioni socio-culturali. Certo è che nerd, secchioni e bambine non se la passano mai bene alle elementari.
– Michele Martinelli –