Il titolo dell’articolo potrebbe indurre a pensare che io stia per ammazzare l’ennesima serie tv. Insomma, che brutta cosa i cliché, ma chi li vuole? Io, se sono i cliché che fanno la storia di un genere e se sono usati così sapientemente da catturare l’attenzione e produrre senso di meraviglia. Senso di meraviglia… Eterni, sì, condito con il grottesco, l’inquietante, il trash che solo una serie chiamata “American Horror Story” potrebbe trasmettere. Mai titolo fu più azzeccato: AHS è un concentrato di tutto quello che è l’horror americano, dai fantasmi e le case infestate della prima stagione, ai manicomi, gli alieni e le suore possedute nella seconda, alle streghe e il voodoo di New Orleans nella terza, per approdare ai freaks e il clown serial killer della quarta stagione, preparandosi, poi, con ansia e acquolina in bocca alla quinta, ambientata presumibilmente in un hotel. Presente Hostel? Ecco, è uno degli splatter che preferisco – sono una persona raccomandabile io.
Su AHS, iniziata nell’ormai lontano 2011, pochi avrebbero scommesso qualcosa. Nessuno si aspettava un prodotto completamente vomitevole: è horror, peggio di tanto non poteva essere. Il problema è che di solito l’horror non è neanche meglio di tanto, non è eccezionale, né nuovo, né ha attrattive particolari. Vedi Constantine, che hanno spiattellato dopo una sola stagione. Vedi Supernatural, di cui stanno girando la decima stagione, ma che funziona solo per il divertimento e il continuo fanservice, ma soprattutto perché si è consolidato – infatti ora si possono anche permettere di non avere una trama troppo stravolgente.
Invece AHS si è rivelato eccezionale. Metto le mani avanti: ha i suoi problemini come tutte le serie tv, incluso in questo caso un certo modo di fare (molto camp) del regista, che non a tutti è piaciuto. Però, tirando le somme e mettendo sui piatti della bilancia le quattro stagioni attuali e il modo in cui sono fatte, e i difetti… per una volta vincono i pregi. Giustificatissimo il successo, quindi, anche se mi rendo conto che per alcuni la serie può risultare poco digeribile. Perché horror? No, perché è grottesca e gli esperti, gli amanti del genere, sanno molto bene quanto disturbanti possano essere alcuni particolari quando vengono esasperati. Il fatto che sia antologica non fa altro che concedere a regista e sceneggiatore di focalizzarsi, di stagione in stagione, su storie, cliché e dettagli sempre diversi, ed estremizzarli, giocare con le percezioni dello spettatore, costringerlo a seguirli e sbattergli in faccia le peggiori urban legend partorite in suolo americano. Ma l’antologico permette anche un impegno minore da parte dello spettatore, che può vedere una sola stagione e godere comunque di una storia completa, e decidere se recuperare il vecchio, andare avanti o abbandonare e accontentarsi di una dozzina di episodi di brivido – oppure, ancora, aspettare la quinta, la sesta, la settima e il sottotitolo che lo attira di più. D’altra parte, antologico comporta che lo show (e sì, è proprio uno spettacolino) venga continuamente rinfrescato, pur mantenendo circa lo stesso pool di attori.
Mi sono accorta che quello che hanno fatto con AHS è il meglio che ci si possa aspettare da un prodotto riguardante tematiche sull’orrore. La pecca dei film è che puoi inserire uno, due elementi da affrontare e (eventualmente) risolvere. Ciò comporta che i lungometraggi di questo genere siano tutti uguali, a tratti noiosi, e in genere poco attraenti: trame semplici, sviluppi standardizzati, personaggi stereotipati. La serie tv, di contro (e lo abbiamo visto con Sleepy Hollow), obbliga i creatori a continuare a formulare pezzi di trama da affibbiare sempre agli stessi protagonisti, e costringe gli spettatori a sorbirsi tutte le stagioni, se vogliono capirci qualcosa. Il rischio, insomma, è quello di annoiare anche solo dopo la seconda stagione (e sono sempre più frequenti quelli che, come me, iniziano a bofonchiare direttamente dopo la prima). AHS prende il meglio di due media diversi (film e serie tv) e li unisce, facendosi film esteso a serie tv: la dozzina di episodi permette ai creatori di sviluppare la storia in modo interessante e approfondito, inserendo molti più personaggi e intrecciandoli fra loro, senza mai arrivare a sfiancare lo spettatore con una narrazione troppo prolissa. Dodici, tredici puntate: fine storia, si cambia attrazione.
Parlo volutamente di spettacoli e attrazioni, perché per gli amanti del genere AHS è come un giro sulle giostre del luna park degli orrori, accostato in modo sapiente ma straniante, azzeccato ma graffiante, sensato ma paradossale.
Fra le critiche più acide rivolte a questo show, ho sentito qualcuno lamentarsi degli “eccessi” in tutti i sensi: storie ai limiti del ridicolo, personaggi sempre forti con psicologie improbabili, elementi orrifici definiti come “troppo”. In questo caso capisco davvero che possa risultare disturbante, ma… cosa vi aspettavate da American Horror Story? Credo che siano loro ad aver sbagliato serie, non la serie ad aver sbagliato in qualcosa. Lo show, per quello che vuole essere, è al 100% un fuck yeah.
1a STAGIONE: MURDER HOUSE
Una casa infestata dai fantasmi di tutti quelli che vi sono morti all’interno (e sono tantissimi): ho un amico che potrebbe elencarmi almeno una dozzina di case sul genere sparse per l’America, ma mai con così tanti cadaveri. È stata presa una delle urban legend più comuni e portata all’estremo, rendendo i fantasmi non solo presenze evanescenti che aprono le ante e fanno volare coltelli, ma anche elementi in grado di interferire fisicamente con le faccende dei vivi. Tanto da mettere incinta una donna… o andare dallo psichiatra.
Il secondo tema che fa da sottofondo alla stagione è la repressione, accompagnata da manifestazioni psicologiche all’estremo opposto: ninfomania, cleptomania, depressione. Sono queste emozioni a intrecciare le storie dei personaggi, non facendo altro che portarli in un baratro sempre più profondo. Già nella prima stagione, AHS si conferma una discesa verso gli abissi più profondi della corruzione del genere umano.
Contornano la trama principale un serial killer, una donna down, episodi di bullismo e rivalsa. Imperante la figura della casa, ma questo era ovvio.
2a STAGIONE: ASYLUM
La clinica psichiatrica. Poteva mancare? No, e non manca infatti. Dopo la sempreverde casa infestata, giustamente scelta come tema portante della prima stagione, nella seconda AHS traghetta lo spettatore in un manicomio gestito da suore, al capo del quale troviamo un prete desideroso di fare carriera.
Per gli esperti del genere ci sono già tutti gli elementi necessari a convincerli a prendere birra, popcorn, gelato e spanciarsi sul divano a guardare un prodotto gigione. Per tutti gli altri c’è bisogno di un approfondimento, e allora diamoci a due parole su Asylum. Quattro parole anzi: suore ninfomani e alieni. Sì, siamo in un manicomio, i creatori non potevano non inserire vere o presunte abduction. Anche perché la storia si svolge negli anni Sessanta, in cui la paura per le invasioni aliene era una realtà tanto quanto i bunker preparati in attesa di un inverno nucleare. Riguardo alle suore invece… c’è un’ampia letteratura a rating rosso che vi permetterà di approfondire in modo accademico la figura della suora ninfomane.
Scherzi a parte, in questo caso sono molto intriganti gli elementi di contorno: il medico nazista, la violenza carnale come tema portante, la sindrome di Anna Frank, la perdita di fede (sempre un po’ horror) seguita ad una possessione… sì, anche il diavolo! È gigiona, lo ho detto. A corollario di tutto, un assassino che scuoia le sue vittime.
3a STAGIONE: COVEN
Quella che ho preferito in assoluto, ma d’altro canto mette in gioco New Orleans, un collegio per giovani streghe, e il voodoo. Quando si parla di voodoo io inizio a sorridere come un’ebete: bamboline, spilloni, santone unite a New Orleans, che significa schiavismo, lotta di classe, estese piantagioni di zucchero in cui accade di tutto. Coven rinnova lo stereotipo, presentando un gruppo di personaggi femminili uno più stridente dell’altro. Le donne lottano per emergere, si accozzagliano le une sulle altre, si combattono non a colpi di tirate di capelli o schiaffi, ma di magia. E allora ecco comparire la Suprema, la più potente delle streghe, che si contende l’immortalità con una non-morta vissuta secoli prima; una ragazza-bambola-voodoo, una apprendista che impara in fretta, e così via. Potere alle donne? Sì, sembra che i creatori abbiano voluto una serie tutta al femminile per mostrare il peggio delle donne, le stronze per eccellenza.
Anche qui troviamo le imprescindibili pulsioni carnali: nel pilot una delle streghe viene violentata da un gruppo di ragazzi, e si vendica molto presto, compiendo una vera e propria strage. Torna in scena anche il serial killer, cui i creatori di AHS sembrano essere affezionati. Questa volta ce lo presentano come “l’uomo con l’accetta”, e chi mastica l’horror americano sa bene quanto questo stereotipo sia comune. Disturba e infastidisce? No, perché viene preso l’archetipo e piazzato in altra posizione, in un calderone ribollente di magia.
4a STAGIONE: FREAK SHOW
La quarta stagione, già conclusasi negli USA e arrivata al capolinea in Italia proprio qualche ora fa, non ha affatto deluso le aspettative e le promesse di Murder House, Asylum e Coven. Per certi versi, ha fatto qualcosa di ancora migliore, spostando l’attenzione dello spettatore su un tema di un certo peso: chi è il vero mostro?
Protagonisti della stagione sono ovviamente i freak, i “mostri”, i diversi. Negli anni Cinquanta, come ben ci viene ricordato, venivano riuniti in circhi ambulanti, indotti ad esibirsi per ricavare qualche soldo e fingere di avere una vita normale. Qui le voci sono multiple: qualcuno dice che il circo è la propria casa e che la proprietaria dello show va ringraziata per la possibilità data; qualcun altro invece vuole andarsene e trovare una vera vita; altri ancora vorrebbero rilevare lo show per guadagnare in prima persona; qualcuno vorrebbe unirsi, e non viene accettato perché è la sua normalità ad essere mostruosa. Proprio quest’ultimo è stato l’elemento che più mi ha fatto sogghignare, anche perché è stato il via della degenerazione di un personaggio, passato da banale e viziato borghese, a serial killer… al fianco di un clown assassino. Miei Dei, il clown assassino!
Valore aggiunto alla stagione, è stata la scelta dei produttori di ingaggiare dei veri “freaks” come attori, e ammiro davvero molto il coraggio di queste persone di presentarsi sulla scena per quello che sono, senza vergogna e, anzi, divertirsi a girare ogni episodio.
Con Freak Show, visti gli ottimi ascolti, la serie ha strappato a FX il rinnovo per la quinta stagione, in partenza negli Stati Uniti ad ottobre. Questa avrà come sottotitolo Hotel e vedrà nel cast anche una piuttosto interessante Lady Gaga… non vedo l’ora! Hotel sarà ambientata in un ostello e giocherà con le vite dei gestori e degli ospiti, riportando in scena (pare) storyline di Murder House.
Complessivamente, quindi, AHS è assolutamente da promuovere e da guardare, anche una stagione alla volta nell’ordine che si vuole. Consigliato soprattutto a chi ormai, pur essendone un appassionato, si sta allontanando dai prodotti horror per noia: la serie riuscirà di certo a trascinare nel vortice della sorpresa e dello “spettacolo”, travolgendo con il suo carattere sprezzante e oscuro.
– Lucrezia S. Franzon –