Recentemente, Robert Downey Jr. ha rilasciato un’intervista nella quale ha dichiarato di non aver intenzione di avere nulla a che fare con l’industria cinematografica indipendente. A suo dire, produzioni a budget limitato tendono a richiedere allo staff una dose ingente di energie, senza contare il rischio che, una volta usciti, i prodotti in questione si rivelino deludenti sia al botteghino che al giudizio della critica. I più malignano che il celebre attore abbia trovato la sua formula per il successo, concentrandosi su blockbuster di poco spessore che gli garantiscono stipendi da prodotto interno lordo della Bulgaria. L’etica degli attori italiani non è da meno, ovviamente, con grandissimi nomi che rinnegano il loro retaggio artistico per concentrarsi su decenni di cinepanettoni ben più remunerativi di qualsiasi lungometraggio impegnato di ieri, oggi, domani. Per contrastare questo andazzo di massificazione bigotta, vi parlerò oggi di Ambassador, un webmanga italiano e gratuito proposto dai giovanissimi Emilio Palmerini, Francesco Mazziotta e Marco Mallia.
Gedeon J. Boulevard è un ambasciatore fiorentino attivo in una Venezia fantasy intrisa di atmosfere vittoriane, il suo compito è quello di recuperare illegalmente documenti sensibili approfittando dell’immunità diplomatica garantitagli dalla sua carica. Morto e risorto in età infantile, il giovane portavoce ha vissuto da allora una ragnatela di intrighi e magie assieme al mistico compagno O’llantern, una zucca di halloween delle dimensioni di un biscotto che non smette mai di parlare e indulge nei piaceri del fumo. I loschi programmi dei due si complicano esponenzialmente per colpa di sicari spaventapasseri, malviventi licantropi, sedicenti traditori, molesti zombie e molto altro, ma la battuta del fumetto è tremendamente serrata e ogni parola aggiuntiva rischierebbe di rovinarvi parte del divertimento.
Il mondo di Ambassador non può che ammaliare con l’incanto delle sue imbarcazioni zoomorfe, le vivaci fatine volanti, gli imponenti castelli in aria o le ancora più surreali carrozze con cavalli che si muovono tra le calli veneziane; tutto ha quel retrogusto fantasy e un po’ steampunk che si riscontra anche in “D.Gray-man” e “Fullmetal Alchemist” (serie ormai storiche che hanno probabilmente influenzato estetica e immaginario dei creatori), ma rafforzato ulteriormente dalla scelta di voler sfruttare una città tanto nota e vicina qual’è il capoluogo veneto. In tal senso, un plauso va certamente fatto alla ricerca approfondita che è stata effettuata direttamente sul territorio, anche se alcune finezze sono accessibili esclusivamente a chi conosce la suddetta città, ma anche ad altri dettagli meno espliciti quali la scelta di fare utilizzare al corpo di polizia delle api da ricerca per stanare i criminali, dettaglio molto meno ridicolo di quanto si sarebbe portati a credere.
Come avrete già intuito, l’intera opera è progettata e disegnata pensando al fumetto giapponese, arrivando a invertire il senso di lettura e autodefinirsi manga (per prevenire polemiche, ci teniamo a ricordare che la scelta di limitare il termine “manga” al contesto nipponico sia del tutto arbitraria e dettata da convenzioni occidentali). Questo risulta particolarmente evidente nei disegni sintetici e stilizzati di uomini e nobiluomini al centro delle vicende, essi tutti sono caratterizzati da proporzioni accettabili solamente in un contesto simile o se firmati da Rob Liefled. I paesaggi (o meglio, la loro quasi totale assenza) sono il primo dettaglio a ricordare violentemente che stiamo parlando di un lavoro gestito da neofiti, ma non sono certamente l’unica nota di demerito; nei primi capitoli il tratto mostra numerose pecche che spaziano da errate fisicità dei protagonisti a una straziante gestione delle scene di combattimento, il tutto aggravato da un testo non adeguatamente seguito e che nasconde errori grammaticali in grado di stroncare all’istante gli amanti dell’italico idioma.
Non si può negare, tuttavia, che Mazziotta (colui che si occupa delle tavole) sia migliorato molto velocemente e che abbia raddrizzato notevolmente il tiro a distanza di brevissimo tempo. Nella seconda stagione, soprattutto, ci troviamo innanzi a un arricchimento netto della sua manualità, sia nella definizione che nella varietà grafica; gli ambienti iniziano ad avere un proprio carattere e i corpi risultano plastici, rendendo perlomeno accettabili le sfide in mischia (che iniziano a essere entusiasmanti). Anche sul piano narrativo gestito da Palmerini vi sono state evoluzioni con il passaggio di serie. La fase introduttiva, per quanto cerchi di proporre occasionali colpi di scena, non riesce infatti a liberarsi della sensazione di essere poco più di una dimostrazione tecnica non dissimile da quelle che i mangaka presentano alle case editrici per mendicare pubblicazioni – vedi i “Romance Dawn” che sono cresciuti fino a divenire “One Piece” – e come tale mantiene una linearità disarmante.
Con il procedere dei capitoli, tuttavia, vengono introdotti nuovi personaggi, approfondita la geografia della Venezia fantastica, e proposta un’interessante caccia alla volpe atta a rintracciare il protagonista, latitante per numerose pagine. Il ritmo, sempre più frenetico, spinge a una lettura veloce e consecutiva, spesso raggiungendo limiti estremistici che, occasionalmente, ledono più di giovare. Le buone idee sopra menzionate, per quanto sempre presenti, vengono spesso oppresse dalla necessità (o dal desiderio) di voler inserire quante più informazioni in un periodo estremamente ristretto. Capita che, con disinvoltura, antagonisti vengano imprigionati giusto per ritornare sulla strada poco dopo o che soggetti ambigui siano terminati giusto per rimanifestarsi rivestendo ruoli di spicco, tutte trovate che avrebbero funzionato alla perfezione se spalmate in anni di uscite che, però, perdono pathos nel subire un trattamento tanto frettoloso.
Visto che sono in vena polemica, tanto vale trattare un argomento che mi ha toccato sin da subito e che è indubbiamente legato a una sensibilità soggettiva: la scelta di emulare lo stile manga. Anche se sono il primo a difendere l’uso di questa nomenclatura, mi restano parecchi dubbi sullo sfruttamento intensivo della formula fumettistica di stampo giapponese. Risulta fin troppo evidente che il retaggio degli autori sia strettamente legato agli shonen, il lavoro finale parrebbe mancante di un’adeguata interpretazione; la lettura da destra a sinistra, per esempio, emula quella orientale snaturandone completamente il senso originario, divenendo una scelta stilistica guidata dal mero desiderio di somiglianza e non dalle ambizioni maggiormente sfaccettate che potrebbero scaturire da un’impostazione maggiormente aperta.
Anche in questo campo le cose evolvono nella seconda stagione che, pur non rinnegando l’ispirazione di partenza, dimostra un approccio più personale e sperimentale, probabilmente anche grazie all’arrivo del factotum Mallia in sostegno al mestiere di illustrazione. Il trio sembra starsi facendo strada e, dando retta a quanto si legge sulla rete, si stanno impegnando con costanza nella speranza di raggiungere il traguardo di regalare un destino cartaceo alla propria creatura, obiettivo un po’ contrastato da alcune disattenzioni imprenditoriali mica da ridere. Puntando molto sulla componente social di Facebook, infatti, tendono a essere negligenti nei confronti della pagina web ufficiale, vero biglietto da visita agli occhi del mondo, peccando di leggerezza al punto di non aver inserito i nomi degli autori nella pagina di presentazione del progetto, quasi l’anonimato desse loro un brivido di piacere.
– Walter Ferri –
Ambassador… non porta pena – Recensione
Isola Illyon
- Ambientazione interessante;
- Maturazione costante e evidente;
- Ritmo serrato;
- Ritmo (troppo) serrato;
- Inizialmente mediocre;