Trentasette gradi quattordici primi nord, centoquindici gradi quarantotto primi ovest: queste sono le coordinate del distaccamento della base aerea di Edwards noto come Groom Lake. Se il nome non vi suona, è perché la conoscete con la designazione utilizzata dalla CIA durante la guerra del Vietnam, ovvero Area 51. Centro di retro-ingegneria su relitti alieni e di scambio culturale con i legittimi proprietari dei suddetti (presumibilmente per tramite del governo-ombra mondiale), stazione di arrivo di una linea ferroviaria transcontinentale sotterranea, e fabbrica di raggi laser, dispositivi per il controllo atmosferico, e macchine per i viaggi temporali: da una sessantina d’anni a questa parte, complottisti e teorici della cospirazione di ogni parte del mondo hanno formulato decine di ipotesi riguardo alla misteriosa base militare. Al tempo stesso, numerosi autori e artisti di ogni genere di media non hanno resistito alla tentazione di inserire da qualche parte nelle proprie opere un riferimento a quella che è una vera e propria icona per qualsiasi appassionato di UFO che si rispetti.
Meno numerosi sono, tuttavia, quelli che hanno fatto dell’Area 51 il proprio argomento principale: ed è tra questi che si colloca Oren Peli, conosciuto al grande pubblico per la regia di Paranormal Activity. In uscita il 15 maggio abbiamo infatti Area 51, sua interpretazione cinematografica dell’eponima installazione militare, finalmente in arrivo negli Stati Uniti dopo un periodo di post-produzione apparentemente interminabile (circa sei anni), e che sembra promettere una rilettura meno fantascientifica e decisamente più horror.
Sebbene le informazioni trapelate fino a questo punto (complice anche una certa ritrosia del regista) siano più centellinate di quelle dell’ufficio stampa della CIA, la trama sembra affidarsi al collaudato topos del gruppo di ragazzi determinato ad andare in quel genere di posti da cui qualsiasi forma di vita intelligente si terrebbe alla larga. Abbiamo tre amici (interpretati da Ben Rovner, Darrin Bragg, e Reid Warner) cospirazionisti che durante un viaggio a Las Vegas sono colti dal desiderio di infiltrarsi nella base top secret dell’aeronautica militare, portandosi naturalmente dietro un adeguato numero di videocamere, elemento essenziale del kit della brava vittima di film horror fin dai tempi di The Blair Witch Project (1999). In ciò saranno aiutati da Nikki (Nikka Far), apparentemente figlia di un altro teorico del complotto che ha trascorso anni a studiare la base, e pertanto in possesso di numerose informazioni circa la sua planimetria e i sistemi di sicurezza. Una volta superato il perimetro esterno, però, andrà in scena l’orrore: nelle viscere dell’Area, i protagonisti si imbatteranno, in forme di tecnologia estremamente avanzata (extraterrestre?) e in una forza oscura non particolarmente bendisposta nei loro confronti. Quale sia l’origine di tali inspiegabili fenomeni, e in che modo essi siano collegati ai personaggi (uno dei quali sembra attratto da un inquietante richiamo proveniente dalla base), lo scopriremo tra pochi giorni, all’uscita del film vero e proprio (salvo qualche fuga di informazioni da parte della NSA, beninteso).
Ma cosa potremmo legittimamente aspettarci? Difficile a dirsi: quando si parla della Terra dei Sogni (“Dreamland”, un’altra designazione del complesso), tutto è possibile. Se guardiamo al mondo reale, già la storia ufficiale della base è di per sé argomento più che avvincente (per gli appassionati di techno-thriller, almeno): ai tempi della Guerra Fredda, infatti, dall’Area 51 uscivano aerei sperimentali e velivoli con capacità stealth, caratterizzati da profili innovativi e invisibili ai radar (attualmente considerati una delle principali cause di presunti avvistamento UFO). Inoltre, fin dagli anni ’60, Groom Lake svolge funzione di deposito per aerei di Paesi ostili in possesso degli Stati Uniti (consegnati da disertori), utilizzati in schermaglie fittizie contro piloti americani per ragioni di addestramento. Niente dischi volanti, ufficialmente, ma se qualche potenza intergalattica dovesse mai far cadere un intercettore in mani terrestri, sembra logico pensare che gli americani lo porterebbero lì. Secondo molti, infatti, è esattamente ciò che è accaduto con l’incidente di Roswell, nel 1947, quando le forze armate intervennero nei pressi della cittadina del New Mexico per recuperare un relitto di origine sconosciuta (o un pallone sonda meteorologico, a seconda di chi si ascolta). La notizia fece scalpore ai tempi, ma è solo a partire dagli anni ’70 che dietristi e cacciatori di UFO hanno iniziato a diffondere voci sulla sorte dei passeggeri della navetta, alcuni dei quali sarebbero ancora detenuti all’Area 51, coinvolti in operazioni di retro-ingegneria. Sebbene tali teorie sembrino trovare ridotte (per non dire nulle) conferme nella vita reale, la popolarità della base non sembra particolarmente scalfita dal trascorrere del tempo, ed è stata alimentata negli anni dalle testimonianze di numerosi (presunti) ex-impiegati del governo, informati dei traffici interplanetari consumatisi nei meandri dell’installazione (Robert Lazar, solo per citarne uno).
Per quanto riguarda il mondo del fantastico e della narrativa, come si è detto, l’Area 51 ha spesso fornito un sipario per alcuni momenti divenuti dei classici, come il discorso del presidente Whitmore (Bill Pullman) prima dello scontro finale di Independence Day (1996). Paradossalmente, tuttavia, il film di Peli sarà l’opera filmica più ambiziosa (cinque milioni di dollari, per dirla in soldoni) dedicata e ambientata esclusivamente nella base militare: se il mondo del grande schermo è stato prodigo di omaggi e riferimenti, fino ad ora solamente titoli indipendenti hanno trattato Groom Lake come soggetto e location principale (tra gli altri, “51”, di Jason Connery).
Il discorso cambia (ma non di molto) quando ci spostiamo al piccolo schermo. Qui sono frequenti i singoli episodi dedicati all’Area 51 (o a sue copie con nomi alternativi), specialmente all’interno di quelle serie che abitualmente trafficano nel mondo del fantascientifico (Stargate Atlantis, X-Files). Abbiamo poi Seven Days, serie in onda tra il 1998 e il 2001 negli Stati Uniti, che sceglie come base principale delle operazioni per i suoi protagonisti una certa base chiamata Never Never Land, da qualche parte nel deserto del Nevada… tuttavia, nella maggior parte dei casi, si tratta di opere di fantascienza pura, che poco o nulla hanno a che vedere con atmosfere claustrofobiche e riprese ansiogene che la pellicola di Oren Peli sembra promettere.
Paragoni più corretti sarebbero forse quelli dell’ambito videoludico: all’interno dell’Area 51 sono stati ambientati infatti diversi titolo arcade, oltreché un survival horror (Area 51, del 2005) e un FPS (BlackSite: Area 51, 2007) per console e PC. Questi ultimi, invero senza infamia e senza lode, ci portano a vivere (con una certa immedesimazione) quel particolare groppo alla gola derivante dal vagare per un corridoio sotterraneo affrontando qualcosa di pericoloso, spietato, e sicuramente non umano. Pare inoltre che, a suo tempo, Grant Morrison (nome che suonerà famigliare ai fan di DC e Vertigo Comics) fosse stato assunto per stendere una sceneggiatura a partire dalla trama di Area 51 (il gioco). A tutt’oggi, la vicenda non ha avuto seguito (né è collegata in alcun modo al progetto di Oren Peli): dobbiamo forse aspettarci, nel caso il regista israeliano dovesse bissare il successo ottenuto con Paranormal Activity, una rinnovata attenzione del grande schermo nei confronti della base segreta meno segreta del mondo? Salvo interventi di tecnologia aliena per la lettura del futuro, non ci resta che aspettare, e vedere.
– Federico Brajda –