Era il 1977 quando uscì nelle sale cinematografiche un film destinato a cambiare per sempre l’immaginario di milioni di persone, Star Wars. Spettatori di ogni parte del mondo erano in visibilio per le vicende di Luke Skywalker e Darth Vader, Han Solo e la principessa Leia, Obi-Wan e i droidi R2-D2 e C3-PO. A pensarci bene, la storia già così appariva perfettamente autoconclusiva, ma a distanza di tre anni ecco che esce il tanto atteso seguito L’Impero colpisce ancora, e con esso tutti si rendono conto che la trama non è poi così semplice e che ci sono tanti interrogativi che vanno svelati e tanti conti in sospeso da saldare. Detto fatto, nel 1983 con Il ritorno dello Jedi il cerchio finalmente si chiude e i nostri eroi ed eroine vengono consegnati definitivamente alla storia. Ma fin dall’inizio George Lucas aveva concepito un’opera in nove atti e così, poco meno di vent’anni più tardi, una seconda trilogia vede finalmente la luce: veniamo a conoscenza di come un giovane e promettente cavaliere Jedi diventa il più malvagio signore della Galassia, come la Repubblica si trasforma in un Impero e come l’ordine dei Jedi viene definitivamente distrutto e i superstiti mandati in esilio. E ora siamo tutti in spasmodica attesa di vedere cosa accadrà con l’uscita a dicembre 2015 (gennaio 2016 in Italia) del settimo capitolo della saga e primo della terza trilogia, intitolato Episodio VII: Il risveglio della Forza. Fino a qui, niente di nuovo.
Quello su cui vorrei puntare l’attenzione è che, a mio modesto parere – non me ne vogliano i sommi sacerdoti della critica – l’impatto sul pubblico della cosiddetta Trilogia Classica, soprattutto con il primo film del 1977, è stato talmente forte che possiamo tranquillamente considerarla una delle opere più importanti e rivoluzionarie non solo della storia del cinema, ma della storia della cultura in generale, capace come poche altre di modificare definitivamente il nostro immaginario collettivo. Per capire la portata di questo impatto, apro una breve parentesi: che cosa intendo con il concetto di “immaginario collettivo”? Mi riferisco a qualcosa in continuo movimento, una specie di luogo di creazione in cui l’umanità, a seconda del momento storico in cui ci troviamo, compone una sintesi dei propri valori condivisi grazie a narrazioni – non necessariamente scritte su carta – che diventano delle vere e proprie fondamenta sociali. Tanto per capirci, non sto parlando di un romanzetto di Moccia che, giocando con gli ormoni impazziti di adolescenti senza bussola, può tutt’al più rovinare le nostre città ricoprendole di lucchetti. Parlo di opere che modificano la Storia, modificano il nostro modo di pensare, riassumono sogni e paure di intere civiltà e sono un pugno di emozioni dritto allo stomaco, come possono essere i racconti omerici e biblici, le architetture greche e romane, il viaggio ultraterreno dantesco, l’arte geniale di Leonardo, Michelangelo, Picasso o Van Gogh, fino alla musica di Mozart, dei Beatles e dei Led Zeppelin, alla leggenda di Zorro, alla nascita di Superman e di Batman e alla rivoluzione tolkieniana sull’uso della fantasia. Dal rito sacro attraverso l’arte e la cultura popolare, è questo il percorso che il mito ha compiuto per arrivare fino a noi e rispondere alla necessità di vedere le nostre emozioni prendere forma. Che voi ci crediate o no, datemi pure dell’eretico, la Bibbia e Star Wars per certi aspetti io li metto sullo stesso piano.
Chiarito questo concetto, torniamo a parlare della creatura di Lucas. Tutti, o quasi, nel mondo, anche senza aver mai visto un minuto di film, sanno utilizzare espressioni del tipo “la Forza sia con te” o “passare al Lato Oscuro”, sanno riconoscere la maschera di Darth Vader o dei Cloni, sanno cos’è una spada laser o un salto nell’Iperspazio. La “forza” emotiva, direi, con cui si è imposta la saga è tale da aver investito tutti i campi della cosiddetta industria culturale con effetti assai diversi, dai media tradizionali (libri, DVD, videogiochi, fumetti), al merchandising di ogni tipo, fino alla proclamazione di uno Star Wars Day e addirittura alla fondazione di una setta religiosa, il Jedismo (su cui vi invito a leggere questo articolo). Già ho approfondito le origini mitologiche di Star Wars in un altro approfondimento, ma ora vorrei azzardare qualcosa in più: sono convinto che non solo questa storia si inserisca nel solco di una tradizione che ha inizio all’alba dei tempi, rielaborando miti antichi in forme moderne, ma che essa stessa crei dei nuovi miti. Cosa significa questo? Significa che siamo di fronte alla rifondazione del nostro concetto di mitologia, più adatto ai nostri tempi (in cui l’amore è parte fondamentale), più rappresentativo dei nostri sentimenti e dei nostri valori (la resistenza all’oppressione di un sistema che non ci tutela come esseri umani) e più coerente con i nostri canoni di comunicazione (nasce un nuovo genere, da alcuni chiamato Space Fantasy). Insomma, siamo di fronte ad una vera e propria epica moderna. L’epica narra vicende universali, in cui tutti si riconoscono e che riflette il modo di vedere la vita di un’epoca intera e per farlo efficacemente essa deve essere attuale. In quanto tale, essa non è una bugia ben confezionata, ma uno strumento di conoscenza di sé stessi e della società che ci circonda. È lo stesso principio che ha guidato Tolkien nella sua intenzione di regalare un universo mitologico alla propria patria, l’Inghilterra.
Adesso, prendiamo l’intera saga con i sei episodi che conosciamo fin qui e domandiamoci: di cosa parla realmente Star Wars? È una storia che parla fondamentalmente di tre cose, oltre ai duelli con le spade laser e ai viaggi interstellari: amore, morte e rinascita. È una storia di opposizione di principi forti che sperimentiamo tutti nel corso della vita e di come sia possibile farli convivere oppure farsi possedere da essi. C’è una cosa in particolare che emerge da questa nuova epica e che ritengo importante sopra ogni altra: la rassicurazione che, nonostante un cammino pieno di difficoltà, sia possibile realizzare sé stessi fino in fondo.
Prendiamo come esempio di ciò che ho appena detto il vero protagonista della storia, sempre presente fin qui nelle due trilogie, e cioè Anakin Skywalker aka Darth Vader. Se è vero che epica e mito sono attuali, vuol dire che da Anakin e dalla sua vicenda personale abbiamo di certo molto da imparare. Anakin è la figura cristologica più importante nella narrativa del nostro secolo: non ha un padre in carne e ossa e viene concepito dalla volontà suprema dell’essenza di cui sono fatte tutte le cose, inoltre è destinato a cambiare il mondo e fin da piccolo stupisce tutti per le sue doti uniche. Ma invece di resistere, cede alla tentazione dell’onnipotenza, così che quando nelle scene finali di Episodio III: La vendetta dei Sith ne vediamo la crocifissione e la resurrezione, assistiamo a qualcosa di terribile, cioè a cosa diventa un uomo che non ha messo a frutto le proprie qualità, che si è piegato a dei desideri standardizzanti e imposti e che ha amato tanto a fondo quanto è riuscito poi ad odiare. E quindi ci chiediamo: l’amore e il bene personale possono giustificare azioni malvagie? Dato il proseguo della storia, non possiamo che rispondere negativamente: diventare Darth Vader nella nostra vita equivale a non dare ascolto a sé stessi, ma farsi inghiottire da un sistema che nega la nostra umanità e ci obbliga ad essere ciò che non siamo. Eppure il messaggio è rassicurante perché infine esisterà sempre “una nuova speranza”, un esempio di chi riesce ad affrontare la vita equilibrandone le forze contrapposte. Vi sembra un messaggio da poco? Eppure a vedere le pagine di cronaca del momento…
– Michele Martinelli –