Inutile menare il can per l’aia, ormai l’immagine di Antonio Banderas si è allontanata grandemente da quella del mariachi pistolero, del chirurgo seviziatore o del giustiziere mascherato; il suo profilo recente risulta confinato a quello di un panettiere particolarmente tradizionalista che si concede delle pause dalle sue galline esclusivamente per andare in campeggio-avventura insieme ad amici geriatrici, ma per l’ennesima volta l’attore ha saputo stupirci mettendosi al centro di una pellicola che, a primo impatto, parrebbe sfruttare l’azione fantascientifica per introdurre problematiche di spessore: Automata. Appassionati dal fantasy in tutte le sue sfumature, non possiamo che trovare intrigante il trailer recentemente rilasciato – che trovate in calce più sotto – e ci apprestiamo qui a condividere le nostre personali considerazioni.
Il mondo distopico del non troppo lontano 2044 è un deserto riarso dal sole in cui uomini coesistono con robot programmati per ubbidire loro. Le regole alla base di queste macchine, in maniera non troppo dissimile da quanto dettato da Asimov, vengono riassunte brevemente dai protocolli del non poter danneggiare alcuna forma di vita, e dall’impedimento a modificare se stessi o altri droidi. Quest’ultimo comandamento, tuttavia, è stato violato, e spetta a Jacq (Banderas) indagare sul caso per dimostrare ai suoi increduli superiori che sia in corso una rivoluzione potenzialmente pericolosa per la società stessa.
Io robot, Blade Runner e Animatrix riemergono fortemente nella nostra memoria vedendo i fotogrammi in cui compaiono questi investigatori-boia vestenti improbabili impermeabili in cui scopo è sterminare robot fuggitivi che minacciano gli albori di una ribellione di scala mondiale. I riferimenti tirati in ballo, in effetti, sono così cristallini da lasciarci supporre siano semplici cammei colmi di riconoscenza più che rivisitazioni al limiti del plagio; in effetti, per certi aspetti, le atmosfere che si vanno a tessere durante i pochi minuti di riprese promozionali sembrano più vicine ai ritmi di District 9, adottando un approccio maggiormente legato alla critica sociale che alle avventure futuristiche, idea che pare essere confermata dall’insoddisfazione del protagonista nei confronti del mondo al neon che lo circonda.
Il regista Gabe Ibáñez, insomma, non ha vita facile nel sopravvivere a tanti illustri metri di paragone che, nel bene e nel male, sono rimasti nell’immaginario comune, dettando standard epocali o causando clamore per le loro scelte tecniche/visive. Certo non aiuta il fatto che, non essendo una produzione hollywoodiana, il budget sia notevolmente inferiore ai mastodonti citati, ma la storia ci insegna che le produzioni spagnole sono in grado di sorprendere in positivo con pellicole dirette con astuzia e scritte con sagacia (basti vedere La spina del diavolo), lasciandoci complessivamente ottimisti e speranzosi di incappare in un’esperienza che faccia leva su immaginari riconoscibili globalmente esclusivamente per promuovere nuovi orizzonti. Nonostante le ristrettezze, tuttavia, ci aspettano sicuramente un’estetica interessante e una fotografia decisamente degna di nota che sa approfittare di contrasti cromatici e inquadrature ben ponderate.
Tra gli attori che affiancano l’intramontabile Banderas citiamo Melanie Griffith e Dylan McDermott, nomi abbastanza popolari negli States, ma frequentemente relegati a produzioni minori o televisive. Anche qui ci imbattiamo in un evidente tentativo di attirare il pubblico allargato mettendo in campo una selezione di personaggi conosciuti (e relativamente economici) che seducano con le loro passate interpretazioni. In senso puramente pecuniario, non esitiamo a credere che l’ex protagonista della fortunata serie American Horror Story sia stato ben felice di accettare qualsiasi compromesso pur di allontanarsi dal piccolo schermo, ma ci suona un campanello dall’allarme nei confronti della nota attrice che, sebbene sia ormai sul viale del tramonto, vanta un’illustre carriera ed è solita concedersi a cachet corposi; feriti dal “tradimento” inferitoci dal video promozionale di Godzilla, sospettiamo maliziosamente di trovarci nuovamente a vedere menzionato un grande nome che, in concreto, avrà un ruolo marginale condensato in poche scene… ma magari siamo eccessivamente negativi e Griffith ha deciso di puntare su remunerazioni umili sotto richiesta dell’allora-marito Banderas.
Dalla prima impressione che ci siamo fatti di Automata ci aspettiamo un film capace di mantenere una propria identità, profondamente segnata dal retaggio del cast coinvolto, che indulge in sostanziosi rimandi al punto di sfociare occasionalmente nell’eccesso. Il nostro unico timore è che il desiderio di attirare i fedelissimi dei blockbuster abbia spinto la produzione a esigere un’esperienza ibrida incapace di armonizzare lo stile iberico con sparatorie e inseguimenti tipicamente americani. I primi secondi dell’anteprima sono quelli che più ci inquietano: si intravedono di sfuggita immagini che danno a intendere una possibile esposizione narrativa atta a introdurre lo spettatore al contesto in cui si muove la vicenda. Per quanto sembri un’inezia, siamo ormai rassegnati dal fatto che molti lungometraggi contemporanei adoperino questo escamotage per tappare i buchi logici lasciati da copioni incapaci di creare mondi credibili o, peggio ancora, per riassumere la trama e lasciare maggiore spazio ad eventi scenografici puramente di intrattenimento. Considerando che estetiche e atmosfere hanno conquistato i nostri cuori, ci auspichiamo che Automata ci dimostri paranoici e che riesca a preservare la propria anima pur ammiccando vistosamente al mondo USA. Con un po’ di fortuna potremmo trovarci innanzi a un Labirinto del Fauno in salsa fantascientifica, possibilità che ci riempe di entusiasmo e ci spinge a tenervi aggiornati promettendovi una recensione dettagliata non appena avremo occasione di visionare la pellicola, in uscita il 26 febbraio.
-Walter Ferri-