Nonostante server più lenti di uno Slowpoke, critiche per gli incidenti provocati, critiche per le invasioni domestiche, critiche religiose, critiche eretiche, critiche per torme di nerd che affollano piazze e parchetti anziché starsene rintanati in uno scantinato polveroso, Pokémon GO continua a regalare centinaia di ore di puro divertimento, a livelli che non si vedevano da almeno sei generazioni di mostri tascabili (quasi sette, in effetti…).
Fregandocene di chi ci vuole male (fermandoci giusto per compatire chi non conoscerà mai l’assoluta gioia del diventare Allenatori), ecco i sette motivi che i Professori dell’Isola mandano in campo per ribadire ancora una volta il perché la nostra app preferita sia di gran lunga tra le cose migliori che siano successe in questo travagliato 2016.
Non ci costa nulla
Le applicazioni gratuite sono innumerevoli, ma Pokémon GO porta questo concetto a un altro livello. Non parliamo tanto di soldi, quanto di tempo: il gioco non ci chiede di ritagliarci dei momenti appositi da dedicargli (sebbene una mezz’ora giornaliera per la caccia sia sempre una mezz’ora ben spesa), ma si incastra alla perfezione nella nostra ruotine: casa, lavoro, scuola… le bestiole che tanto agogniamo si nascondono in ogni dove. La grande differenza rispetto a praticamente tutti gli altri giochi per smartphone, è che Pokémon GO non ammazza i tempi morti, dà loro valore. Siamo in attesa del nostro turno per dare un esame? Che importa se siamo gli ultimi, avremo più tempo per guardarci attorno. C’è da buttare la spazzatura? Ci andremo volentieri, e magari allungheremo anche il tragitto, che non si sa mai cosa si potrebbe incontrare…
Ci fa bene
Non sarà un uovo da due chilometri in più a trasformarci in atleti olimpionici: ciò che conta qui è che Pokémon GO dia una motivazione a uscire, incontrare persone, fare movimento. Lungi da me demonizzare gli irrinunciabili piaceri del focolare domestico, ma non bisogna sottovalutare quanto il semplice contatto con l’aria aperta (o qualsiasi cosa si respiri nelle grandi città), un po’ di moto, e lo stare insieme possa fare bene al nostro umore. Che mi prendiate in parola o meno, la gioia che proverete giocando non dipenderà solo dall’aver catturato un altro Rattata da sbolognare al professor Willow: in parte saranno i meccanismi autonomi del vostro organismo che vi daranno un colpetto in testa per complimentarsi con voi.
Ci arricchisce
Cerchiamo di non mettere su una Pubblicità Progresso sull’importanza della consapevolezza civica, ma provate a pensarci: quanti punti di interesse della vostra città avete scoperto solo perché sono dei Pokéstop? Quanti monumenti progettate di visitare nella speranza di incontrare un Dratini? Quante vie a cento metri da casa avete percorso per la prima volta in vita vostra solo perché in fondo è apparso un Pinsir? A quanti sconosciuti avete rivolto la parola solo perché il loro cellulare sparava a tutto volume l’ormai familiare motivetto del gioco? Pokémon GO ci ricorda, con garbo e leggerezza, il valore dei luoghi che ci circondano, che diamo per scontati senza nemmeno conoscerli a fondo, e l’importanza di un gesto di pura e disinteressata cortesia (come anche solo avvertire il tizio del tavolo a fianco di non sprecare la batteria, che tanto nei dintorni ci sono solo Pidgey).
Ci dà buone notizie
I telegiornali ultimamente risultano poco distinguibili da una puntata di “Game of Thrones”: secessioni, colpi di stato, gente che si ammazza e fa stragi… Al tempo stesso, tuttavia, talvolta ritroviamo qua e là qualche ritaglietto dedicato a Pokémon GO, alle dimostrazioni di interesse, affetto, e dedizione verso un mondo immaginario che ci sta accompagnando, nel bene e nel male, da ormai venti anni. In fondo, che importa che si tratti solo di un gioco? È ovvio che le vere notizie per cui rallegrarsi siano altre: forse, però, si tratta di abituarsi, oltreché alla banalità del male, anche a quella del bene. Ricordarsi, insomma, che al mondo esiste qualcosa che, pur con tutta la sua infantile semplicità, continua imperterrito a fare la gioia di milioni di persone.
Ci insegna nuovi modi di aiutare
Vi è mai capitato di far cadere un Modulo esca nei pressi di un reparto pediatrico? Qualche bambino bloccato a letto avrà forse dimenticato di essere diverso (nel non poter giocare) da tutti gli altri per qualche minuto. Conoscete l’iniziativa Agente Jenny? Giocatori over-20 che si organizzano per sorvegliare i Pokéstop nelle loro aree, assicurandosi che nessuno importuni indebitamente gli allenatori più piccoli. Pokémon GO ci ha reso una community, tra le più grandi della Storia videoludica, e ci impone di prenderci cura della stessa non lamentandosi a un anonimo admin via chat, ma impegnandoci ora, in prima persona, perché tutti possano continuare a divertirsi.
Ci unisce
“Appena catturato il mio primo Pokémon”, dice l’ex-marine Louis Park dalla linea del fronte Peshmerga, sfidando il Daesh a una lotta Pokémon, perché i mortai sono per i vigliacchi (parafrasi mia). Dubito sarà uno Squirtle a convincerci dell’inutilità del farci esplodere a vicenda, eppure sono anche affermazioni come questa a ricordarci che, da un capo all’altro della Terra, un’intera generazione è cresciuta (o ha visto crescere figli e fratellini) collezionando i mostriciattoli tascabili: milioni di persone che ora sono a un download di distanza dall’unirsi a questa colossale famiglia di utenti, dove la cosa peggiore che possiamo farci è lasciare un Magikarp nella palestra appena conquistata, sommo spregio alle abilità combattive degli altri team.
È Pokémon GO
Dopotutto, non ci sarebbe altro da dire. Emblematica, penso, sia l’assoluta sorpresa del mondo reale al travolgente entusiasmo con cui abbiamo risposto all’uscita del gioco, cui è seguita un’accettazione disarmante nella sua naturalezza: “Come mai stiamo tutti impazzendo per questa cosa? Beh, del resto, è Pokémon GO”. Che lo si voglia o no, i nostri compagni virtuali sono diventati parte di noi, del nostro mondo, della nostra vita. Da due decadi ci tengono indefessamente compagnia: tutto quel che mancava era lo strumento che insegnasse al resto del mondo a vederli.
– Federico Brajda –