Disclaimer: Quello che troverete in questo pezzo è pan di via farcito con prime impressioni e riflessioni sull’ultimo film de Lo Hobbit, senza rovinare la sorpresa a chi ancora non l’ha visto. Lunedì 22 dicembre pubblicheremo una recensione approfondita, ma in questa di oggi non troverete alcuno spoiler.
Cari abitanti della contea e frequentatori delle donnacce di Dol Guldur, come vi sentite dopo la visione de “Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate”? Emozioni contrastanti e sentimenti galoppanti, eh già.
Se non avete ancora visto il film, seguiteci comunque in questa analisi preparatoria a quello che vedrete.
Inizio subito dicendo che “Lo Hobbit: La desolazione di Smaug” mi aveva emozionato molto, permettendo al godurioso maiale che vive nella mia mente pensieri audaci tesi a creare sacrileghi confronti con le tre pellicole principali del Signore degli Anelli. Se questa era una cosa difficilmente realizzabile con il secondo film, con l’ultimo capitolo solo pensarlo sarebbe una follia. L’epicità che trasuda ad ogni scena, quel senso greve del male che incombe, quella terra piena di morte e sacrificio, una missione impossibile da realizzare. Questo è Il Signore degli Anelli, ma non può essere Lo Hobbit.
Chilometriche le critiche fatte a questo film sulla perdita di una resa epica, sulla mancanza di eroi pronti a salvare il mondo e sulle effrazioni all’intoccabile storia del maestro che hanno stravolto ogni cosa. Quest’ottica è decisamente sbagliata. Il libro de “Lo Hobbit” è una favola, ambientata prima di quello che succederà ne Il Signore degli Anelli. I suoi personaggi buffi e simpatici hanno un compito duro più della testa di un nano, ma di certo diverso dal fardello di un anello da portare a Mordor. Lo stile, i tempi, la narrazione, sono orientati ad un plot molto semplice, senza tutto questo grande respiro. Il film di Peter Jackson ha preso questa storia, e l’ha resa un kolossal diluito nel tempo, con più personaggi, con più dinamiche e con forzature ed invenzioni. In vista di ciò, nel film l’epicità e la guerra si sommano ai sorrisi e all’incoscienza di una favola.
Ne “Il Ritorno del Re” c’è uno scontro per la salvezza del mondo intero, ne “Lo Hobbit” sono i personaggi le uniche anime importanti da salvare, il resto è in secondo piano. In maniera irresponsabile? Certo, proprio come in una favola. Insultare Jackson su tale punto vuol dire non aver capito il lavoro compiuto, nel dare un respiro diverso ad ognuna delle sue due trilogie. Guardare tutto con gli occhi de Il Signore degli Anelli risulta fuorviante.
La storia si modula su due livelli, l’attacco di Smaug a Pontelagolungo e quello della battaglia che si tiene alle porte di Erebor, come avete visto in teaser e trailer. Questo modulo bipolare ci offre quasi una struttura episodica, con il film diviso in due parti, nemmeno eguali. Come nei precedenti, i personaggi che ci sono stati presentati vengono spalmati ben bene tra un momento ed un altro della narrazione fedele al libro, così l’amore tra Tauriel e Kili, e altri secondari ottengono piccoli palcoscenici che fanno da riempitivo alla storia.
Tutto il film è poi disseminato da uno spirito ilare e leggero che si riassume nella figura di Bilbo. Anche in situazioni poco credibili, egli risulta schietto e diretto, fermando eserciti interi e ponendo in stallo situazioni critiche. La fusione dell’ironia e dell’amaro insieme si accompagna a questo personaggio ed in parte anche a Gandalf nella fase finale. Lo stesso Mithrandir, che abbiamo lasciato atterrito a Dol Guldur, si mostra schiacciato dalla gravità di quello che sta per accadere e, soccorso da Galadriel, apre uno squarcio su quello che sta succedendo e succederà nella Terra di Mezzo. Ma solo fino ad un certo punto, dopodiché torna il sorridente e buono stregone amico degli Hobbit.
Tauriel e Legolas d’altro canto, fighi più del precedente film, mantengono la loro compostezza e serietà: le scene in cui sono protagonisti, da buoni esploratori, sono quelle in cui si scorge la mole più grossa degli eserciti nemici. Un capitolo a sé meritano i nani, che si ritrovano padroni del loro tesoro, la cui immensità fa gola davvero a tanti e mette in crisi il piccolo gruppo ed il suo eroe Thorin, che si de-scudodiquercizza. Eh, già. L’evoluzione di questo e degli altri personaggi che sono ad Erebor è molto interessante, e ci torneremo nel prossimo pezzo.
Altro elemento rilevante riguarda i combattimenti, che come dicevo non sono incentrati sullo scontro degli eserciti quanto nel combattimento tra i principali personaggi e le loro nemesi. Nell’avvicendarsi di questi sembra di trovarsi dinanzi ad un’avventura di D&D in quanto la componente elementale, l’idea dell’ultimo momento, e qualche botta di culo sono alla base di ogni scontro, con tanto di colpi di scena, e di spada.
Il forte gioco rocambolesco che avviene anche in questo film e che si è susseguito dalle gallerie degli orchi fino alla famosa scena delle botti qui è immancabile, la fortuna è l’origine di ogni azione, ed alla lunga risulta sempre meno credibile quello che vediamo, specialmente in azioni continue che superano l’americanata classica per entrare nel mondo di Matrix e dell’impossibile.
Ogni personaggio va nella direzione che viene elaborata dal fato, dalle sue capacità e dai movimenti nemici, in funzione dei quali si evolve la storia. In questo percorso forte è, a partire già dai primi minuti, il momento commozione, con musica toccante e lacrimoni tra compagni, padri, figli, famiglie, amici. Ad un certo punto, però, questo vanno in loop e davvero tutti i personaggi, da Bard a Legolas, vogliono farci commuovere e piangere con loro.
Ultimo elemento fondamentale è l’effetto trilogia: se nei primi due film era disseminato ciò che avrebbe collegato questa storia a quella de Il Signore degli Anelli, qui gli accenni sono tantissimi, da Thranduil che invita Legolas a trovare il figlio di Arathorn, a Gandalf che guarda con sospetto il tesssoro di Bilbo. Questa fase risulta forzata e poco naturale, incastonata anch’essa tra il sequel di Matrix e la commozione di una telenovela. Peccato, un aggancio migliore e più fluido sarebbe stato ottimale.
Il film mi è piaciuto, mi sono emozionato ed ho sorriso, lasciando che la pellicola mi spiegasse quale era il tono che il regista ha dato a questo film e accompagnandomi pian piano in uno scontro mortale in cui lo scopo non era vincere la guerra, ma scoprire amici, rinsaldare amori, dire addio a qualcuno. Sono uscito dal cinema guardando quello schermo, e chiedendomi se e fra quanto avremmo rivisto quei protagonisti di storie stupende sorprenderci o deluderci in nuovi film per il grande schermo.
Fantastiche le colonne sonore e la canzone di chiusura che è la famosa “The last goodbye” di Billy Boyd, cantante ed attore scozzese che ha interpretato nella trilogia de Il Signore degli Anelli, lo hobbit Peregrino Tuc. Ascoltatela, e commuovetevi.
– Luca Scelza –
“Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate” – Recensione [NO SPOILER]
Luca Scelza
+Un fantastico Martin Freeman
+La bellezza di Smaug
+La sotto-storia del Bianco Consiglio
+Momenti commoventi ed ironici
-Grafica computerizzata, troppo troppo pulito.
-Guerra poco credibile
-Azioni oltre l'immaginabile e la fortuna