Esploratori spaziali, capitani della Flotta stellare o semplici vagabondi della galassia, avete spento i vostri motori a curvatura, parcheggiando nello spazioporto di Isola Illyon? Nello scorso articolo (che potete rileggere qui), abbiamo cercato di analizzare insieme, partendo dal versante letterario, il genere della Space Opera, seguendo i primi passi e l’evoluzione della parte più romantica e avventurosa della Fantascienza. Abbiamo dato un rapido sguardo agli autori, nomi fondamentali della science-fiction americana, che si sono cimentati con opere ambientate nello spazio profondo o su lontani pianeti esotici, con romanzi famosissimi che hanno delineato le caratteristiche principali che ancora oggi contraddistinguono, nel nostro immaginario, questo genere. Ma non è nell’ambito letterario che la Space Opera trovò la sua fortuna, e sono altri i lavori, legati soprattutto al cinema e alla televisione, che associamo subito al suo nome.
In principio c’è Star Trek, e non poteva essere altrimenti. Infatti, la serie televisiva creata da Gene Roddenberry è diventata per molti, a tutti gli effetti, sinonimo non solo di epopea spaziale o addirittura di Fantascienza in generale, ma della stessa idea di telefilm. Non che sia stata la prima serie fantascientifica ad andare in onda; già altre produzioni (come Flash Gordon nel 1954, solo per citarne una) avevano aperto la strada del teleschermo ad un genere che in America stava prendendo sempre più piede. Eppure, la prima serie di Star Trek del 1966, per coloro che la videro all’epoca sul proprio televisore, dovette apparire come qualcosa di profondamente nuovo e rivoluzionario. Pur rimanendo un prodotto di intrattenimento, senza tradire quindi lo spirito della science-fiction da rivista tanto in voga in quegli anni, presentava ai suoi spettatori tematiche, per l’epoca, profonde e attuali, come forse ancora più di oggi, che non erano mai state trattate in quella maniera fino ad allora. Temi quale quello sociale o quello razziale, problematiche politiche ed etiche, argomenti filosofici venivano trattati con leggerezza e naturalità, mescolati agli elementi più avventurosi e coinvolgenti tipici della space opera. Questa è stata la ragione del grandissimo successo che Star Trek riscosse, e riscuote ancora dopo quasi cinquant’anni dal suo esordio, e non ci si poteva aspettare di meno, se pensiamo ai grandissimi scrittori di Fantascienza che firmarono le sceneggiature dei vari episodi: Theodore Sturgeon e Richard Matheson, solo per fare due nomi.
L’universo ideato da Roddenberry prese forma puntata dopo puntata, mostrando un’umanità del futuro che ha raggiunto la concordia e la pace mondiale, che si è innalzata grazie alla conoscenza e alla scienza da quello stato di barbarie che proprio in quegli anni, in piena Guerra Fredda, era sotto gli occhi di tutti. Per una realtà dominata dalla paura del nemico, terrorizzata dall’incombere di una spada di Damocle come quella di un conflitto nucleare, vedere un equipaggio multietnico che conviveva insieme e in armonia all’interno della leggendaria astronave Enterprise doveva essere qualcosa di profondamente rivoluzionario. Ancor di più se si pensa che il gruppetto, formato da un giapponese, da una donna africana, un russo e uno scozzese, comprendeva addirittura un alieno, il celeberrimo signor Spock, proveniente dal pianeta Vulcano, nel ruolo di ufficiale scientifico. Tutto ciò rispecchiava in pieno il pensiero di Roddenberry, la sua fiducia in un futuro radioso per il genere umano, che allo stesso modo in cui aveva creato da sé i suoi problemi, da solo avrebbe trovato in futuro il modo per risolverli grazie alla sua intelligenza. L’extraterrestre Spock, insieme al capitano della missione esplorativa James Tiberius Kirk, interpretato dall’intramontabile William Shatner, un personaggio molto più temerario e in linea con i canoni avventurosi della space opera, e all’ufficiale medico Leonard McCoy, detto Bones, forma il trio dei personaggi cardine della serie, sempre “alla ricerca di nuove forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare là dove nessuno è mai giunto prima”, citando lo storico motto di apertura della serie.
Il successo di Star Trek, con la sua fantascienza positiva e fortemente ottimista verso il futuro, è testimoniato dalle quattro serie che hanno seguito la prima, ormai rinominata “la serie classica” proprio per essere all’origine di tutto ciò che venne in seguito. Non sorprende poi troppo, quindi, che ancora oggi la sua fama non si sia attenuata, grazie anche ai film del 2009 e del 2013 diretti da J. J. Abrams che, pur discostandosi radicalmente dal carattere più riflessivo e lento dell’originale, hanno portato di nuovo alla ribalta un nome che per le nuove generazioni poteva significare poco o niente.
Parlando di Star Trek non si può assolutamente non nominare quello che a tutti gli effetti è il suo contraltare cinematografico: Star Wars. Da decenni, infatti, gli appassionati di fantascienza tendono a dividersi nei due eserciti, fieramente opposti, dei trekker e degli starwarsiani, con sparuti casi di fan amanti di entrambe le saghe. In effetti le differenze sono tante e sembrano inconciliabili: mentre Star Trek punta tutto su tematiche profonde e ritmi narrativi più lenti, adatti appunto a sviluppare storie in cui si ragiona piuttosto che combattere, dall’altro lato Star Wars ha un ritmo incalzante, scandito dall’azione frenetica che non lascia respiro allo spettatore, in un susseguirsi di duelli tra cavalieri e inseguimenti nell’iperspazio. Duelli, cavalieri e principesse, sì; perché l’universo creato da George Lucas, con il primo film uscito nel lontano 1977, è molto più vicino al genere fantasy rispetto a quello fantascientifico da cui prendeva a piene mani Star Trek. In questo senso, potremmo dire che Star Wars si ricollega a quella Space Opera romantica ed esotica, piena di azione e puramente votata all’intrattenimento che ha le sue origini nell’opera di Burroughs. È qualcosa che ci viene fatto intuire sin dall’inizio, con la scritta “tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…”: la storia viene ambientata in un passato favoloso, senza tempo, molto più vicino alle corde del fantasy che non a quelle della science-fiction, che trova invece un terreno ideale nella maggiore concretezza e scientificità che possiamo ritrovare nell’opera di Roddenberry. Il “cavaliere nero” Darth Vader, la saggia guida di Yoda, le peripezie per salvare la principessa rimandano dritto al fantasy tanto quanto il teletrasporto, i motori ad antimateria e i viaggi a curvatura si basano su una scientificità certamente fantastica, ma verosimile.
In entrambi gli universi troviamo astronavi che sfrecciano a velocità superiori a quella della luce, ma mentre in uno i combattimenti sono all’ordine del giorno, con piogge di laser multicolori e spettacolari inseguimenti ricchi di piroette acrobatiche, nell’altro l’astronave è lo scenario che fa da sfondo alla quotidianità di un gruppo di esploratori interstellari, una mite nave scientifica che è protagonista anch’essa della storia, che raramente troveremo impegnata ad affrontare uno scontro. Sono due modi di declinare il sottogenere dellaSpace Opera, con caratteristiche diverse e diversi approcci, ma che hanno in comune il gusto per la meraviglia, la fascinazione per gli immensi spazi sconosciuti dell’universo e per i pianeti ancora inesplorati, ultimo banco di prova per un’umanità che non si arrende alla triste idea di aver scoperto già tutto e di non avere più motivi per provare curiosità.
In fondo, potremmo collocare la Space Opera nella scia dei romanzi di avventura, di quelle storie di viaggi e pirati, come per esempio L’isola del tesoro di Stevenson, che non smettono mai di appassionarci, e poco importa se al posto dei grandi velieri troviamo astronavi velocissime comandate da capitani alieni, se invece che nell’azzurro mare viaggiamo nel vuoto stellato dello spazio, screziato, invece che da isole e atolli esotici, da pianeti sconosciuti. Le sensazioni saranno le stesse, lo stesso brivido che ci spinge ogni volta a lasciare tutto e a partire con la nostra immaginazione.
– Davide Carnevale –