
Non bisogna confondere L’ombra di Mordor con Le ombre di Mordor.
La vita di un ramingo non è mai stata facile. I Dúnedain più “fortunati” sono abbandonati al freddo delle montagne ove dimorano le grandi aquile, tra le ombre del monte Guerrinferno e le minacciose rovine di Angmar, quelli sfortunati sono condannati a sopravvivere alle minacce del sud, a poche miglia dal Cancello Nero e dall’oscuro signore stesso. Talion era un ranger di Gondor, viveva con la propria famiglia in prima linea per difendere i popoli liberi della Terra di Mezzo, ma ora la sua famiglia non esiste più e lui è condannato a non potersi ricongiungere a loro fintanto che il suo desiderio di vendetta non sarà appagato.
La Mano Nera e il suo plotone Uruk-Hai hanno distrutto la sua esistenza, trucidato i suoi cari e privato della vita, ma lui è stato sottratto violentemente alla morte quando il suo sangue ancora colava sul fetido fango del campo di battaglia; un innominato spettro elfico ha raccolto le sue membra defunte e si è unito a lui, formando un immortale duo non-morto pronto a decimare le armate di Sauron.
La Terra di Mezzo: l’ombra di Mordor ha inizio così, con un protagonista sconfitto che deve fare fede al suo nome dimostrando che nomen omen (“Talion” deriva dalla celebre lex talionis ed è forma contratta del termine anglosassone retaliation), ma anticipiamo sin da subito che la forza del prodotto non sia insita nella lineare trama e che vi siano ben poche evoluzioni. Il personaggio principale corrisponde al profilo del guerriero stereotipato che non brilla per caratterizzazione e il suo amichevole spettro non se la passa meglio, colpito com’è dalla comunissima amnesia che pare essere la risposta a ogni problema di trama videoludica.

Sentire bisticciare i due protagonisti è comunque più divertente dell’andare a bowling con un cugino molesto.
Il tempo da trascorrere in loro compagnia è tuttavia lungo e con il progredire della trama riveleranno entrambi affascinanti lati nascosti dei loro caratteri; mai si ribellano ai loro archetipi, sia chiaro, ma dimostrano entrambi uno humor e un cinismo leggero capace di riempire i lunghi silenzi patiti nell’attraversare i vasti territori orcheschi, territori che risulterebbero estremamente monotoni e fiaccanti se non fossero ravvivati dalle loro osservazioni. La gratitudine muta in affetto, l’affetto in legame e ben presto si finisce per essere coinvolti oltre ogni previsione sia dai protagonisti che dai (pochi) personaggi secondari, unici individui in grado di fornire note di colore, desiderando completare ogni singola missione pur di scoprire i retroscena delle loro storie.
L’azione, dal canto suo, compensa ogni mancanza narrativa. Il gioco della Behaviour Interactive, casa di sviluppo indipendente che fino a oggi aveva prodotto titoli di nicchia, ha ben imparato da i suoi illustri predecessori e prende in prestito senza esitazioni dai grandi titoli Ubisoft e Square-Enix. Sin dai primissimi trailer, infatti, sono esplose giustificate voci che lo accostavano al noto Assassin’s Creed e ai recenti Batman, destando nel pubblico interesse e preoccupazione in egual misura. A prima impressione si sarebbe pensato all’ennesimo clone dotato di licenza che emula vergognosamente videogame celebri senza curarsi degli aspetti essenziali che garantiscono il divertimento, ma tale pregiudizio è stato grandemente contraddetto dai fatti. Ci si arrampica su torri per rivelare nuove missioni, ci si nasconde in cespugli aspettando di pugnalare un nemico distratto, ci si azzuffa con la possibilità di contrattaccare alla pressione di un pulsante, ma al contempo ci si trova davanti a un’esperienza nuova che non si limita a ridisegnare il paesaggio circostante o ad aggiungere accessori in linea con l’ambientazione.
Quello che rende veramente unico e attraente L’ombra di Mordor è l’originale sistema che gestisce il mondo sociale orchesco, il cosiddetto sistema Nemesi. Abituati come siamo a combattere contro innumerevoli nemici privi di identità e carisma, non possiamo che accogliere a braccia aperte la brillante idea di introdurre un sistema gerarchico nelle armate avversarie che sia direttamente influenzato dalle azioni dei giocatori. Ogni volta che un soldato dell’Oscuro Signore si distingue in battaglia – magari proprio dando il colpo di grazia allo sventurato Talion – può aspirare a una promozione utile a farlo salire di grado e renderlo celebre tra i suoi simili. In termini puramente tecnici, questo vuol dire che la classica “carne da macello” può evolvere fino a conquistarsi un nome e una personalità, sfoggiando un carattere legato ad abitudini e paure, ma soprattutto costruendosi una storia che si intreccia a spire strette con quella del protagonista. Avete sconfitto un Uruk coprendolo di fiamme? Al prossimo incontro è facile che sarà coperto dalle cicatrici delle ustioni e sarà paranoico nei confronti di qualsiasi cosa possa esplodere. Siete stati umiliati in singolar tenzone? La creatura in questione non mancherà di deridervi quando vi imbatterete nuovamente in lei.
Essere posseduti da uno spettro pare concedere innumerevoli vantaggi, oltre alla già strepitosa possibilità di tornare dal mondo dei morti ci si può esibire in salti acrobatici, scoccare frecce incantate, teletrasportarsi. In aggiunta e tutta questa serie di poteri cinematografici che farebbero invidia agli x-men compare anche un interessantissimo talento taumaturgico che permette di influenzare attivamente il fato dei nemici sconfitti. Al momento di decidere del loro destino, infatti, è possibile imporre loro la propria “magia” in modo che confessino le vulnerabilità dei loro alleati o, decisamente più appagante, che si convertano in araldi del protagonista, pronti a sabotare le proprie armate dall’interno. Tutti gli avversari facenti parte del sistema Nemesi sono inoltre in grado di agire indipendentemente e in tempo reale, dando vita a situazioni intriganti quali dissapori intestini soffocati nel sangue capaci di stravolgere completamente gli equilibri bellici senza la necessità di un intervento da parte di Talion, che volendo potrà comunque accorrere per supportare una delle parti o cogliere l’occasione per sterminare tutto e tutti.
Questo particolare e innovativo sistema non è perfetto, ovviamente. Per fomentarne la drammaticità e renderlo più gestibile, è facile che la programmazione faccia affidamento ad escamotage abusandone quanto basta da divenire prevedibili e meccanici. Risulta comune, per esempio, che nemici trucidati in modo cruento si ripresentino a distanza di tempo simulando il classico colpo di scena del combattente dato per morto. Una volta mangiata la foglia verrà naturale cercare di infierire sui corpi per evitare si possano rimettere, ma gli sviluppatori ci hanno privato di questa macabra gioia e non resta che guardare impotenti lo schermo, consapevoli di essere ancora in balia dei capricci di una macchina. Si tratta sempre e comunque di dettagli minori che non sono in alcun modo in grado di intaccare la godibilità di un sistema tanto versatile da rendere unica ogni partita, li menzioniamo qui solo per dovere di cronaca, confidando che gli sviluppatori leggano queste righe e migliorino la loro creatura nel (quasi certo) sequel.
Come avrete già intuito, L’ombra di Mordor non ha l’ardire di considerarsi parte integrante del folklore dettato da Tolkien. Ambientati nell’ambiguo periodo che spazia dall’avventura di Bilbo Baggins alle gesta della compagnia dell’anello, gli atti terroristici di Talion si inseriscono in un mondo decisamente più affine all’approccio filmico di Peter Jackson – cosa che stupisce poco visto che sia il videogioco che gli ultimi film sono prodotti/distribuiti dalla Warner Bros., limitando i riferimenti letterari a equipaggiamenti o a obbiettivi secondari. Sebbene all’annuncio avessimo accolto con frustrazione lo scoprire che avremmo rivestito i panni di un inedito ranger impegnato in una banale storia di vendetta, dobbiamo ammettere che Talion riesce a estraniarsi dal canone tolkieniano abbastanza da non causare frustrazioni tra i puristi e lo fa senza rinunciare ai panorami fantasy che tanto amiamo.

L’ombra di Mordor non flagella i puristi tolkeniani con gli orrori visti nel gioco La Terza Era.
Richiedere a questo videogioco di rispecchiare rigorosamente i libri sarebbe come lamentarsi degli errori nella progettazione planimetrica della Venezia di Assassin’s Creed; in ambo i casi l’ambientazione serve esclusivamente a creare un’atmosfera degna di nota che faccia da sfondo a epici massacri.
I ragazzi della Behaviour Interactive hanno saputo proporre un titolo decisamente degno di nota, bello a vedersi e divertente da giocare. Oltre al dare importanza all’intelligenza artificiale dei personaggi gestiti dal computer (abitudine che pare stia finalmente prendendo piede nelle grandi produzioni) sono stati in grado di trovare un’alchimia che equilibrasse le necessità dei giocatori occasionali con quelle dei veterani incalliti. Grafiche e musiche, entrambe eccelse, sostengono una giocabilità di alto livello, rendendo L’ombra di Mordor uno dei candidati favoriti al riconoscimento di gioco dell’anno per il 2014. Critici di tutto il mondo gli stanno assegnando voti esorbitanti, forse esagerati dall’enfasi dovuta al provare qualcosa di genuinamente innovativo, ma il titolo rimane imperdibile e se ne avete l’occasione prendetelo senza pensarci due volte. Noi torneremo sicuramente a parlarne, magari in concomitanza con l’uscita del contenuto aggiuntivo in cui si farà un salto nel passato per assistere alla forgiatura degli anelli del potere!
-Walter Ferri-