Certe volte, al mattino, ti risvegli con una canzone in testa. Non si sa perché, ma apri gli occhi e il ritornello ti si aggroviglia tra gli anfratti della tua malandata materia grigia, gridando vendetta: “metti YouTube, metti YouTube!” (o Spotify, dipende quanto siete hipster). Quella canzone è Supermassive Black Hole dei Muse, che gentilmente vi offrono il titolo di questo articolo, e che salutiamo sempre, visto che ci seguono e – spoilerone – seguiranno nella nostra immancabile trasferta luccacomicsandgameseduemilaquattordiciosa. Carina questa intro alla Carlo Lucarelli, me la devo segnare, magari un giorno ve la riproporrò. Oggi, isolani, vi tocca recensione doppia, dopo eoni di assenteismo, per recuperare terreno sui volumetti che ci siamo lasciati in sospeso. Si lavora e si fatica…
Nord dell’Impero, il Varliendàr alias Terra dei Draghi, oltre la Barrier il Vallo. Ian, è, assieme ad un pugno di indisciplinate guardie imperiali, sulle tracce di Arentèl, mago luresindo sparito nel nulla nel corso di una precedente missione, assieme a tutta la sua scorta, monaca guerriera compresa. Fuga d’amore libero? Strano a dirsi, il Dragonero verrà scoperto dagli Algenti, popolazione nomade albina, brutti come la fame nei giorni di scabbia acuta, in compenso guerrieri formidabili, che stermineranno i suoi compagni e lo costringeranno alla ritirata. Non contento, dopo aver recuperato l’orchesco Gmor, l’eroe biondo tornerà ad indagare, addentrandosi fino alle profondità delle Fosse dei Fargh, pachidermici animali del deserto molto simili ai bantha dell’universo di Star Wars, che vanno a scaraventarsi nelle cavità delle rocce per morire fra atroci sofferenze. Che bel quadretto, e quanti barbecue sprecati…
Ma i due non avranno certo vita facile, e soltanto il tempestivo intervento della monaca guerriera Sheda, e di una tonnellata di sale, tirato a secchiate manco fosse acqua benedetta per esorcizzare un vampiro, salveranno i nostri eroi dall’attacco alla cieca di un gruppo di famelici vermoni giganti, in puro stile Dune. A quel punto, il genio mondiale del protagonista, rinfrancato dalle attenzioni notturne della bond-girl di turno, la “rossa in fiamme” Taisha, viene fuori di prepotenza, quando la compagnia progetta una fuga coi controfiocchi per ritornare sani e salvi alle difese sicure del Vallo. E nella strampalata iper-fuga finale, a bordo di un bestione del deserto, la misteriosa Regina degli Algenti si parerà davanti alla banda già sul punto di esultare per la missione andata a buon fine. La sua freccia squarcerà, finalmente, una cicatrice che brucia lì sotto, ancora viva, portando dietro di sé il dolore e il rancore di chi credevano morta da tempo immemore. È la sofferenza dell’abbandono, lo sguardo ostile di una compagna risorta nell’odio e nella vendetta.
C’è una cosa che, nell’universo di Dragonero, poteva equivalere alla morte di zio Ben e di Gwen Stacy in Spider-Man, o a quella dei genitori di Bruce Wayne in Batman. Una svolta così epocale da non ammettere ritorni miracolosi dall’oltretomba o sotterfugi narrativi come cloni o mezzucoli vari: la morte di Ecuba nel romanzo a fumetti originario. Ora, mi rendo conto che era un personaggio sacrificabile, mi rendo conto che the show must go on, e dopo qualche numero a sé stante, la serie doveva prendere una riavviata sul piano della trama, e doveva cominciare a delinearsi, finalmente, un nemico principale per la nostra combriccola di eroi. La domanda sorge spontanea: un villain riesumato dopo una decina di numeri, è il massimo che questa serie può proporre?
La mia non è una critica dura e amara, prendetela più che altro come una provocazione. Chi vi scrive è affezionato a questa serie, e spera che le sue vicende vadano avanti per ancora molto tempo quindi, Mr. Vietti e Mr. Enoch, sappiate che mi aspetto grandi cose in futuro.
Per il resto, questa parentesi al di là del Vallo porta in dono svariati punti a suo favore: i disegni di Gianluigi Gregorini, per esempio, forse, al momento, fra le migliori chine a lavorare su Dragonero. Le sue tavole vengono esaltate dall’azione frenetica e dai combattimenti sanguinolenti contro i tentacolari vermazzi che, in qualche occasione, strizzano l’occhio agli squarciamenti dark-medieval di scuola berserkiana. E la mini-storia conclusiva, focalizzata sul destino di Sheda, apre nuovi futuri spunti per espandere ancor più l’universo dell’Erondàr oltre i suoi confini attuali. Nella speranza che, tutti questi spunti, portino ad un quid coi controfiocchi.
La frase di Gmor del giorno? Questa volta la spalla comica – e non solo – di Ian, raccogliendo la sfida di alcune rissose guardie rosse, caccia fuori una vera perla: “Signori, questo si chiama invitare un orco ad ammazza il porco!”. Quanta classe. Alla prossima recensione!