DISCLAIMER: articolo non adatto a bambini, anime pie e deboli di cuore. Contiene spoiler (manifesti e/o velati) dai primi tre volumi americani di A Song of Ice & Fire di George R.R. Martin e dalle prime quattro stagioni della serie TV Game of Thrones; contiene spoiler dalla saga de La Ruota del Tempo di Robert Jordan ed in particolare dal secondo volume, La Grande Caccia. Contiene riferimenti alla saga videoludica Dragon Age – incluso il capitolo prossimo venturo Dragon Age: Inquisition. Può stimolare la voglia di (ri)leggere i romanzi, di (ri)vedere la serie e/o di (ri)giocare ai videogiochi: l’Autore declina sin d’ora ogni responsabilità in merito. Avventuratevi nella lettura a vostro rischio e pericolo!
N.B.: per praticità e chiarezza espositiva, quando farò riferimento ad A Song of Ice & Fire, utilizzerò la suddivisione e i titoli originali, non quelli italiani, le cui vicende editoriali richiederebbero molto più spazio di quello a mia disposizione.
Il Gioco del trono in Game of Thrones
“Quando si gioca al Gioco del trono si vince o si muore. Non c’è una terza via” (“When you play the Game of thrones you win or you die. There is no middle ground”): questo è l’ammonimento che la regina Cersei Lannister dà al suo avversario del momento, l’onorevole Lord Eddard Stark di Grande Inverno, dopo che questi l’ha affrontata faccia a faccia nei giardini della Fortezza Rossa, minacciando di rivelare al Re il suo terribile segreto (A Game of Thrones, cap. 45). Tutti noi sappiamo quanto questa mossa sia costata cara al povero Ned e alla sua famiglia. Ma l’uomo è un pessimo giocatore, così come il suo predecessore nella carica di Primo Cavaliere del Re (Hand of the King, nella versione originale) Jon Arryn: questo è il giudizio, forse appena tranchant, di Varys l’Eunuco, il Ragno tessitore, il Maestro delle spie dei Sette Regni, affidato alle orecchie caute di Tyrion Lannister, all’inizio della terza stagione di Game of Thrones. Secondo Varys sia Arryn che Stark, entrambi uomini d’onore, disprezzavano le regole del Gioco, non volevano sottostarvi, e per questo motivo il gioco li ha travolti e spazzati via. Il Folletto, per converso, si presenta come un ottimo giocatore, anche se forse questo non basterà a salvarlo dagli ingranaggi senz’anima di un Gioco più grande di lui.
D’altronde, nella stessa stagione della serie, Ser Jorah Mormont, consigliere della khaleesi Daenerys Targaryen, ammonisce la sua pupilla sulla inconciliabilità tra onore e vittoria al Gioco del Trono: “Rhaegar combatté con valore. Rhaegar combatté con onore. E Rhaegar morì” (“Rhaegar fought valiantly, Rhaegar fought nobly, Rhaegar fought honorably. And Rhaegar died” – A Storm of Swords, cap. 23). I personaggi che vogliono giocare al Gioco del Trono e avere qualche chance di vittoria devono adottare un’ottica machiavelliana, oltre che machiavellica. Nel suo trattatello De principatibus, meglio noto come Il Principe, Niccolò Machiavelli (1469-1527) non si proponeva di cancellare un sistema morale consolidato da millecinquecento anni di cristianesimo: affermava più semplicemente, intendendo “fare cosa utile a chi legge”, che un conto è l’agire morale, un conto l’agire politico; e che l’uno e l’altro debbono essere valutati secondo metri diversi. L’onore, il codice cavalleresco, i giuramenti di proteggere i deboli, difendere gli innocenti, obbedire al re, e chi più ne ha più ne metta, sono belle cose, e coloro che li seguono e li rispettano sono certamente degni di stima: ma non vinceranno mai al Gioco del Trono.
Semplificando al massimo: per quanto un’azione sia moralmente ripugnante, essa va valutata secondo la sua utilità politica e militare, non secondo coscienza. Ecco perché nelle pagine di George Martin e nelle sequenze prodotte da Benioff e Weiss per la HBO nessuno è al sicuro, neanche il re che un certo cavaliere ha giurato di proteggere con la propria vita; nemmeno l’ospite invitato ad un sontuoso matrimonio che abbia chiesto al feudatario pane e sale, in modo da sottolineare i sacri doveri di ospitalità. Gli scudi di carta non proteggono dall’acciaio di spade e pugnali, i giuramenti sono parole che volano nel vento, le amicizie niente di più che alleanze temporanee.
Il Daes dae’mar ne La Ruota del Tempo
In un mondo per certi versi assai simile a quello costruito da George Martin, e per certi altri parecchio diverso, fotografato da un ciclo di ben quattordici romanzi editi a partire dal 1990 e pubblicati fino al recentissimo 2013, altri giochi occupano i protagonisti delle vicende che precedono Tarmon Gai’don, l’Ultima Battaglia. Il riferimento è ovviamente alla saga de La Ruota del Tempo, concepita e scritta da Robert Jordan (pseudonimo di James Oliver Rigney) e ultimata, dopo la prematura scomparsa dell’autore, a partire dal 2007 da Brandon Sanderson. Anche nella Randland (il buffo nome attribuito dai fan all’anonimo continente in cui la storia è ambientata, dal nome del protagonista Rand al’Thor) è diffuso un Gioco assai sottile e pericoloso, il Daes dae’mar, o Grande Gioco, o Gioco delle Casate. Esso consiste in tutta una serie di manovre, a viso più o meno aperto, con le quali ogni Casata cerca di accrescere il proprio potere, oppure di condurre una Casata rivale alla caduta. Ad esempio: Berelain, la Prima del minuscolo Stato di Mayene, ricorre al Daes dae’mar per mettere l’uno contro l’altro gli Stati confinanti, che nutrono mire espansionistiche sul suo dominio, non disdegnando di ricorrere alla sua bellezza come arma.
Forse è un Gioco meno cruento del Gioco del Trono, almeno nelle premesse, ma non fatica ad essere altrettanto devastante. Quantunque la nobiltà lo pratichi ovunque (tranne che nelle Marche di Confine, la cui esposizione al pericolo rappresentata dai Trolloc non consente di minare l’autorità con giochi di Palazzo), è certamente a Cairhien che ne è stata fatta un’arte: in questa città anche il più insignificante comportamento può dar luogo a speculazioni infinite sui suoi reconditi significati politici.
Ne sa qualcosa il protagonista Rand al’Thor, che nel secondo volume della saga, La Grande Caccia, si ritrova suo malgrado invischiato nel Grande Gioco delle Casate locali, pur senza essere un nobile. Sin dal suo arrivo a Cairhien Rand viene raggiunto da diversi inviti alle feste della nobiltà minore, com’è prassi: inizia però a rifiutarli uno dopo l’altro, gettando i biglietti dentro al camino della locanda in cui ha preso alloggio, e proprio per questo non fa che attirare l’attenzione di nobili di rango sempre più alto, la cui naturale tendenza all’onanismo mentale li porta ad intravedere un messaggio che non c’è. Fino al punto che persino il sovrano locale si trova costretto ad inviare un invito per cercare di sondare i propositi del misterioso straniero.
Dragon Age e il Grande Gioco
Neanche nella saga videoludica di RPG fantasy Dragon Age, creata da Bioware e distribuita da Electronic Arts, possono mancare i complotti. Questi giochi sono noti al pubblico per un’ambientazione fantasy cruda e matura, caratterizzata da conflitti razziali esasperati, carneficine portate su schermo senza risparmiare dettagli, scene di sesso più o meno censurate, draghi, e un complesso sistema di scelte morali a cui ad ogni azione corrisponde una conseguenza (vi ricorda qualcosa…?). Un luogo famigerato per l’abbondare di trame e per l’intrico di doppiogiochismo è certamente Orlais, che i giocatori non hanno potuto visitare nei primi due videogame, ma che avranno la possibilità di scoprire in Dragon Age: Inquisition, atteso per il prossimo mese di ottobre.
Stando alle anticipazioni fornite sul sito ufficiale del videogioco, anche a Orlais si pratica un’arte che prende il nome di Grande Gioco, che viene così descritto: “Che lo voglia o no, tutta la nobiltà partecipa al Grande Gioco, come viene chiamato. Si tratta di un gioco che riguarda la reputazione e il patronato, nel quale le mosse vengono eseguite con i pettegolezzi, e lo scandalo è l’arma principale. Non è un gioco per signorine. Il Grande Gioco ha prodotto più sangue di qualsiasi altra guerra combattuta dagli orlesiani.” Le armi sono i pettegolezzi e gli scandali, ma le conseguenze non sono, evidentemente, meno cruente di quelle di una vera battaglia. Starà dunque al giocatore infilarsi in questa fossa dei leoni e sfruttare un’occasione più unica che rara per partecipare in prima persona al Grande Gioco e vivere sulla propria pelle le conseguenze del proprio agire… morale e immorale.
A proposito di leoni… devo proprio chiudere l’articolo. Mi trovo nel bel mezzo di un matrimonio, la banda è bravissima e si è appena lanciata in un’esecuzione magistrale de Le piogge di Castamere (qui la sontuosa versione dei Sigur Rós), il cibo abbonda e il vino… beh, il vino scorre a fiotti…
Alla prossima…?
– Stefano Marras –