Tolkien ha narrato di eroi, umani e non…e se alla fine chi è capace di parlare, non fosse veramente umano?
Tutti tifano per i buoni e gli eroi. E i buoni e gli eroi, soprattutto di omerica memoria, sono anche nobili e sono quindi lontani dalla gente comune. E Tolkien non fa eccezione: si è inventato una magnifica architettura cosmica, ma alla fine ha cantato le gesta di eroi aristocratici. Persino Frodo e tutti gli Hobbit, per quanto sconosciuti, ignorati, bistrattati dal resto delle genti della Terra di Mezzo, non se la passano per nulla male, soprattutto gastronomicamente parlando. Ovvio, questo è perfettamente in linea con il genere high fantasy, perché sindacare? Un genere dove Bene e Male hanno la lettera maiuscola e sono perfettamente divisi e identificabili. Gli Anelli hanno già corrotto chi si poteva corrompere, i giochi sono ormai stati fatti e i nostri eroi sono…eroi, a tutti gli effetti. Gli Uomini, gli Elfi, i Nani, gli Hobbit…sono tutti piattamente e disperatamente…buoni! Sento già l’accorato invocar di un eroe che pure è universalmente considerato in evoluzione, psicologicamente parlando: Boromir, odiato ed amato da schiere di lettori che sulla sua morte hanno versato lacrime commosse (serbandone sempre qualcuna per i poveri conigli cucinati da Sam più avanti). Eppure anche Boromir è solo buono. E nobile.
È l’illusione (certo dettata dal fatto che, diciamolo, Boromir è un guerriero e non un fine pensatore e la genetica, con un padre come Denethor, non poteva certo favorirlo) di poter salvare la sua terra grazie al potere dell’Anello a spingerlo ad aggredire Frodo. Difficile pensare ad uno scopo più nobile e buono di questo (o forse è molto semplice…ma poi ne uscirebbe troppa retorica politically incorrect). E allora sono tutti splendidamente nobili, di sangue e di virtù, e questa volta sul serio. Eppure qualcuno che si comporta da umano c’è, ma umano non è: sono gli Ent e i loro inquietanti fratelli dormienti, gli Ucorni. Gli Ent sono molto più simili agli umani, agli umani veri, di quanto non appaia alla…corteccia. E forse lo stesso Tolkien ne era consapevole, perché nella foresta di Fangorn cambia anche il modo di narrare: diventa quasi favolistico e sottilmente infantile, infarcito di opinabilmente piacevoli suoni onomatopeici. I pensieri degli Ent sembrano lontanissimi e inafferrabili, del resto seguono una logica che non dovrebbe essere totalmente umana…o forse no. In un mondo dove tutti, o almeno tutti quelli di cui ci parla Tolkien, sono pronti a servire i più alti ideali sembra fuori luogo una reticenza come quella dei pastori di alberi e ciascuno, leggendo, avrà trepidato entescamente in attesa della decisione dell’Entaconsulta, del loro “risveglio”.
Eppure la reticenza degli Ent ad entrare in una guerra, pur contro il Male, sarebbe perfettamente logica presso degli umani “veramente umani”! Quella non è la loro guerra. Perché non li coinvolge direttamente, o almeno così credono, perché le necessità della guerra richiedono fuoco e legna, o forse perché il Male è assoluto e in quanto tale colpisce tutti. Ma..questa è la logica del not in my backyard! È l’uomo del bar che guarda solo il suo giardino! Perché affidare proprio alle amate piante tal ruolo ingrato? Forse perché esse reagiscono solo se importunate? O forse quello della foresta in cammino è solo un topos letterario che compare da secoli, nella letteratura nordica e celtica (anche se Tolkien ha negato di aver pescato da quest’ultima): la battaglia degli alberi (Cad Goddeu) compare nel libro di Taliesin, nel folclore bretone compare nel Viaggio di Iannik, e poi nell’indimenticabile Macbeth. Gli alberi si muovono molto nella fantasia. Solo nella fantasia…
– Chiara Boem –