Ripercorriamo le tappe di uno dei GDR per console più longevo di sempre. La fortunata serie Dragon Quest ha ispirato anche importanti manga fantasy!
Era il 1986, l’alba dei videogiochi: in Italia non era ancora arrivato Super Mario Bros che, per quanto pubblicato l’anno prima in Giappone e negli Stati Uniti, sarebbe arrivato da noi solo due anni dopo, quando cioè a cavallo del 1987-88 si iniziava già a parlare di giochi molto più complessi e “seri”. Ma si sa che siamo sempre stati l’ultima ruota del carro, in Europa, circa le uscite legate all’intrattenimento videoludico.
Orbene, a distanza di un solo anno da quello in cui era stato partorito il capostipite dei giochi di Shigeru Miyamoto (Super Mario, appunto), in Giappone nasceva un tenero virgulto, destinato a diventare una quercia oramai prossima ai trent’anni: Dragon Quest.
Si trattava del primo JRPG (acronimo di Japan Roleplaying Game) a cui si sarebbero in seguito ispirati tutti gli altri giochi di questo stesso genere, a cominciare dall’oramai ben più famoso Final Fantasy, che vide la luce nel 1987, grazie alla allora Square (in seguito, Square Enix).
Dragon Quest seppe ritagliarsi ben presto l’amore incondizionato dei suoi fans, a partire da quelli d’oltreoceano abituati a chiamarlo con il nome di Dragon Warrior: vuoi per il design spesso accattivante di quei quattro pixel in croce che si muovevano su schermi che oggi appaiono antiquati anche se rapportati con i cellulari prima dell’avvento degli smart-phone; vuoi per la storia che, per quanto spesso semplice, riusciva ad intrigare e pur giocando su luoghi comuni, spingeva sempre e comunque ad ore ed ore di gioco per poter accumulare più esperienza e tesori possibile per andare avanti nella trama più agevolmente; vuoi perché il concept artist era tale che forse avrete sentito nominare, Akira Toriyama, i cui personaggi assomigliavano un tantino a quelli che poi avremmo imparato ad amare in Dragon Ball; vuoi perché all’epoca Pac Man e Pang erano giochi su cui perdere ore ed ore, assai più di quanto si faccia oggi per un ipertecnologico World of Warcraft; vuoi perché il gameplay era semplice ed intuitivo e si è poi conservato nel corso degli anni.
Fin dalle prime partite, Dragon Quest si proponeva come un videogioco fortemente intuitivo, semplice nella gestione del proprio gruppo di eroi o nel combattimento: regole comuni ai vari prodotti, infatti, erano proprio l’esigenza di muovere un party che si accompagnava al protagonista di turno che, nei primi tre capitoli della saga, era chiamato Erdrick; i combattimenti permettevano di accumulare tesori ed esperienza e così personalizzare (in modi via via più complessi nel corso delle edizioni e col passare degli anni) i propri personaggi: statistiche, incantesimi, attacchi, tutto veniva incrementato al passaggio di livello; non mancava, infine, anche una certa interazione del giocatore con la storia.
Un altro aspetto tutto sommato particolare, che contraddistingueva la serie, era una sorta di humor tipicamente giapponese che permeava a tratti i giochi della serie: è il caso di procaci massaggiatrici che si potevano incontrare, oppure degli slime che erano diventati quasi delle mascotte della serie.
A questo proposito, gli avversari erano i più disparati e comprendevano i draghi nel tenore più classico del fantasy, fino a non morti, casse animate fameliche, creature di roccia, armature animate, fantasmi e così via, taluni più “paurosi” altri decisamente più buffi e goffi: si può dire che la fantasia fosse davvero la componente più importante per impressionare un pubblico ancora abituato a… niente, appunto, dato che tutto quanto si pubblicò e presentò in quel periodo suona come rivoluzionario ancora oggi.
Per quanto, si è detto, Dragon Quest sia una serie longeva e LA serie longeva per eccellenza (uno degli ultimi adattamenti, Dragon Quest X Mezame Shi Itsutsu no Shuzoku Online, è stato lanciato nel 2013 per Wii U), dalla quale sono discesi altri giochi amati e noti, come il già citato Final Fantasy, ma anche Chrono Trigger, Secret of Mana e tanti altri, è anche vero che la serie più famosa ad oggi resta FF, appunto, gioco che ha conosciuto la sua consacrazione definitiva con il settimo capitolo della saga.
Tuttavia, Dragon Quest ha un merito importante che lo colloca, per quanto ci riguarda, su un gradino più alto, ancorché differente per rilievo, rispetto al celebre titolo citato: ossia, ha ispirato un sacco di opere, dagli anime ai manga, al punto che vi sono moltissimi fumetti di tenore fantasy (alcuni abbastanza scialbi, va ammesso) il cui numero preciso non è facile da stimare.
Tuttavia, e questo ci occuperà per i due nostri prossimi appuntamenti, ci sono due opere che sono giunte anche da noi, in Italia, forti di un buon adattamento e portatori di disegni e storie veramente interessanti, di cui ci occuperemo assieme a voi.
Stay Tuned!
– Leo d’Amato–