Per la rubrica de La biblioteca di Gana ci occupiamo del nuovo racconto, primo di una trilogia, di Ilaria Pasqua: Il Giardino degli Aranci- Il mondo di nebbia.
[ La vita è bella proprio perché ha un tempo limitato]
È questa frase, probabilmente, quella che meglio incarna lo spirito del libro: nella sua essenza, nella sua semplicità immutabile, nel suo essere un caposaldo talmente noto che spesso lo si da per scontato. Se alle volte una simile frase può venire utilizzata nei romanzi o nei giochi di ruolo quando razze longeve hanno a dover spartire il loro tempo con quelle mortali, è pure vero che essa si presta ad essere utilizzata in svariati contesti, nessuno dei quali, all’inizio della lettura del presente racconto della scrittrice Ilaria Pasqua (che l’anno prossimo pubblicherà il suo primo, vero romanzo), avrei pensato di trovare ne Il Giardino degli Aranci – Il mondo di nebbia.
Il racconto si sviluppa principalmente in terza persona, e narra le vicende/vicissitudini di Aria, una giovane ragazza che, come tanti suoi coetanei, vive una vita che a tratti non percepisce del tutto come propria, sentendo spesso di “girare a vuoto”: si potrebbe obbiettare che tutto ciò sia normale e una sensazione comune a tanti, specie in un periodo come quello dell’adolescenza, fatto di amicizie, di amori o di antipatie che spesso nascono, viscerali e profondi, senza un preciso motivo. Ma non è tutto qui: con apparente normalità e abitudine routinaria, apprendiamo che tutti gli abitanti della città (o del mondo?) riescono a manifestare inconsciamente i loro incubi, a dar materia e forma personalizzate a guisa di famigli animali, dei quali però sono chiamati a sbarazzarsi al mattino presso appositi centri di raccolta, come se fossero immondizia: un piccolo prezzo da pagare per vivere serenamente, e senza angosce o ansie, un’abitudine tanto radicata che nessuno la mette in discussione, né si sogna di interrogarsi sul perché degli ordini espressi e delle leggi varate dai Cinque Sacerdoti.
Ed è proprio questo il nocciolo di tutto: la singolarità, la scelta, i dolori e la vita in sé stessa. Aria non è da sola ma, attorno ad ella, ruotano, fondendosi ora come comprimari ora come “protagonisti celati”, diversi altri personaggi. Ma è quando la ragazza inizia a sentirsi fin troppo estraniata da quella realtà che le cose prendono a cambiare e a scorrere velocemente, dando il via alla storia vera e propria. Perché gli incubi vengono materializzati? Qual’è la loro reale funzione? E dove finiscono, una volta smaltiti? Come mai questa realtà appare così simile eppur strana?
Sono alcune delle domande che attendono una risposta, compresa quella, più importante, su una misteriosa figura di anziana signora che potrebbe conoscere ogni cosa.
La scelta. Il problema è la scelta.
Non è però possibile svelare altro della trama dato che è uno di quei racconti nei quali il singolo dettaglio fornito in più potrebbe lasciar già presagire troppo e togliere il gusto della sorpresa.
Debbo ammettere che, sulle prime, il racconto non mi aveva impressionato favorevolmente: vuoi per le contaminazioni che sono più o meno evidenti (Matrix, Il Tredicesimo Piano, La Zona Morta, finanche qualche numero di Dylan Dog – come La Città Perduta o La Zona del Crepuscolo) vuoi per qualche – trascurabile – leggerezza sotto il profilo grammaticale o della consecutio (in un paio di occasioni non era ben chiaro se la narrazione si fosse soffermata su di un flashback, o se narrasse degli eventi che erano in corso in quel preciso momento); inoltre, sempre all’apparenza, la storia procedeva un poco a rilento, in un contesto non perfettamente definito di una realtà distopica eppur vicina mentre i personaggi tardavano ad accaparrarsi le mie simpatie.
Tuttavia, va detto che solo uno sciocco non cambia mai idea e che in casi simili mi fa enorme piacere sbagliarmi. A circa metà del racconto ho cominciato a sentirmi coinvolto e, da quel momento in avanti, a capire il perché di alcune reazioni, iniziative o commenti dei protagonisti che sulle prime mi avevano lasciato interdetto: ho iniziato ad intuire non tanto la storia dietro la storia, che già appariva tutto sommato comprensibile, ma ciò che era dietro la trama, ossia il lavoro di ricerca che la scrittrice ha compiuto per caratterizzare il suo racconto e, posso dirlo, alla fine è risultato di mio gradimento.
È possibile che io stesso fossi rimasto disorientato dall’ambientazione che appariva, come vuole suggerire il titolo, “fumosa“, “nebbiosa” e che alcune cose mi apparissero, appunto, semplici e scontate. In realtà, la nostra Ilaria ha saputo davvero costruire un racconto interessante al punto che c’è da chiedersi quando verrà pubblicato il seguito: i personaggi stessi acquistano una loro dimensione solo in seguito e trovano una loro piena identità nel momento in cui si comprendono le reali premesse del racconto, ed il perché ciascuno dei personaggi abbia fatto determinate scelte: si deve per forza leggere questo racconto fino alla fine per poi iniziare nuovamente a rileggerlo: solo allora si potrà dire di averlo assaporato appieno.
-Leo D’Amato-