Vanni Santoni è uno dei personaggi chiave della recente imposizione in Italia dell’immaginario fantasy (e fantastico tout court) come nuovo mainstream presso il grande pubblico, come terreno non più disprezzato e colpevolmente relegato a narrazione “per bambini”, o peggio a puro escapismo (anche se qualche irriducibile giapponese ancora resiste) – ma tuttora visto come una cosa strana e un po’ esoterica dalla cosiddetta cultura “alta”. Toscano della Valdarno, Santoni è responsabile della sezione narrativa dell’editrice Tunuè e autore che ama spaziare tra generi e registri anche molto diversi tra loro. Per rimanere all’ambito che più ci interessa in questa sede, ricordiamo la saga fantasy di Terra Ignota, il romanzo autobiografia-saggio-riflessione esistenziale La Stanza Profonda (qui la nostra intervista in merito all’ultimo Salone del Libro di Torino), col quale entra nella dozzina che concorre al Premio Strega 2017 e col quale sdogana definitivamente la “controcultura” ruolistica presso il lettore medio, e Gli Interessi in Comune del 2008, che introduce Federico Melani, protagonista assoluto dell’opera di cui parleremo oggi, L’Impero del Sogno, già disponibile in libreria ed edito da Mondadori.
SINOSSI
Federico Melani, detto il Mella, è un nemmeno più troppo giovane valdarnese eternamente in conflitto con la famiglia, che divide le sue giornate tra una giocata a Magic, una puntata all’Università della quale è storicamente fuoricorso, e una bevuta al bar con gli amici. Finché, dapprima lentamente, poi sempre più ossessivamente, un sogno ricorrente si fa strada durante il sonno, un sogno nel quale egli è deputato a rappresentare il genere umano in un conclave al quale partecipano delegazioni di esseri fantastici provenienti dagli immaginari più disparati. Senza nemmeno sapere bene come, il Mella si trova a subire il ribaltamento del ciclo sonno-veglia, e a desiderare di rientrare sempre più compulsivamente nel regno del Sogno, fino a vederlo trasfigurato nella realtà e a iniziare una rocambolesca fuga prima attraverso la Toscana e poi attraverso un’Italia in cui l’elemento onirico inizia a far parte del paesaggio stesso.
DELLA STESSA SOSTANZA DI CUI SONO FATTI I SOGNI
L’Impero del Sogno è un romanzo dai molteplici significati. È anzitutto e soprattutto, un divertito divertissement (mi si perdoni il gioco di parole), nel quale l’autore riversa con genuino affetto e altrettanta genuina autoironia una valanga di citazioni, riferimenti e situazioni della “sottocultura” nerd provenienti da videogiochi, GdR, cinema e fumetti mai fine a se stessa, ma sintomo della inaudita potenza di penetrazione della narrazione fantastica nel definire e creare gli immaginari collettivi (e quindi la Cultura) a prescindere dal mezzo utilizzato: una specie di Guerrieri della Notte in salsa fantasy che porta in dote alcuni passaggi (come il confronto con i Draghi) destinati a entrare di diritto nell’olimpo delle scene cult del fantasy italiano. È il romanzo col quale si definisce la continuity, oserei quasi dire il canone, di quello che ormai possiamo chiamare Santoniverse: costituisce di fatto il prequel e la cosmogonia di Terra Ignota, si riallaccia tramite il protagonista a romanzi precedenti non fantasy (dimostrando quanto la distinzione tra realismo e fantastico sia artificiosa) e spiega in modo geniale addirittura un passaggio alquanto criptico de La Stanza Profonda. È, infine, una acuta e perfino dolente riflessione dietro le quinte sulle difficoltà del processo creativo e sulla quasi impossibilità di lasciare un’impronta originale, una riflessione sul processo di subcreazione portato alle estreme conseguenze di cui si accorge in modo metanarrativo anche il suo protagonista. E Vanni Santoni fa tutto ciò riuscendo a rendere coerenti intreccio e regole del suo universo e tenendo dritta la barra della narrazione, utilizzando un registro giustamente surreale e una scansione degli eventi e dei capitoli adrenalinica e sincopata ma mai fastidiosa, “a livelli”, come se si trattasse di uno dei videogames dai quali tante suggestioni trae. Il libro non è sicuramente scevro da difetti: per esempio alcuni comprimari (Livia per tutti) scivolano un po’ troppo nello stereotipo, specie nella parte finale del romanzo (però forse anche questa è una cosa voluta). Ma si tratta in ultima istanza di un libro dai molteplici e per nulla banali significati.
A mio modo di vedere L’Impero del Sogno è un libro da leggere. Non tanto per l’intreccio divertente e portato avanti con sicurezza, che tante gioie citazioniste riserva a noi appassionati; non tanto per la riflessione metanarrativa sulla genesi creativa influenzata dagli immaginari collettivi che monopolizzano la Cultura di questo inizio millennio; non tanto per il fondamentale tassello che aggiunge alla continuità degli universi dell’autore. No: perché si tratta di tutti questi aspetti assieme, e quindi della dimostrazione in carta e inchiostro, sbattuta in piena faccia agli ancora troppi sacerdoti di questa divisione artificiosa e in malafede, che le sottoculture sono il propellente di cui si nutre la cosiddetta “Cultura” e addirittura che, sacrilegio dei sacrilegi, il fantastico non ha bisogno di nessun tipo di riconoscimento ufficiale da chicchessia per essere considerato Letteratura.
–Luca Tersigni–
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L’Impero del Sogno di Vanni Santoni: la recensione
Luca Tersigni
- Vicende e situazioni citazioniste il giusto, mai fini a loro stesse;
- Immaginario fantastico pop ai massimi livelli;
- Riuscita riflessione sulla transmedialità e sul processo creativo;
- Alcuni comprimari avrebbero meritato un po’ più di spessore;