Attenzione: prima di proseguire con la lettura, devo avvertirvi che in questa recensione si spaziarà liberamente nella trama di Dark, dunque il rischio spoiler per chi non ha visto la serie tv è piuttosto alto: vi ho avvertiti!
Nel piccolo paese di Winden, nella Germania del sud, costruito tra un’imponente foresta poco rassicurante e una centrale nucleare sicuramente losca, tutti dicono che non accada mai niente, il che è un fatto piuttosto singolare, visto che negli ultimi 66 anni di cose strane ne sono successe parecchie: nel 1953, nel 1986 e nel 2019 (i tre diversi orizzonti temporali in cui si dipana la vicenda), infatti, si sono viste ogni sorta di stranezze e piccole crudeltà.
Tanto per iniziare, c’è un tale livello di onestà e purezza in paese che i primi due episodi della serie si chiamano “Segreti” e “Bugie”. Poi ci sono bambini che scompaiono e bambini che appaiono, quasi sempre morti, con la faccia squagliata e vestiti in maniera molto strana. E non possiamo dimenticare i viaggi nel tempo.
A questo punto mi sento in dovere di dire una cosa: Dark NON è una serie fantasy o fantascientifica. Dark parla dei rapporti malati che si creano all’interno di una piccola comunità, portati alla luce da una serie di eventi drammatici in cui la componente sovrannaturale è tematicamente poco importante.
Se a molti non è sfuggito un paragone con Stranger Things, evidente soprattutto se si prendono in esame il trailer e i primi due episodi, basta inoltrarsi un minimo nelle complesse profondità dello show Netflix per capire di star guardando una serie molto diversa da quella dei fratelli Duffer per stile, ritmo e tema.
L’assunto che sta alla base della complicatissima trama di Dark è il seguente: se, per volontà o per incidente, si venisse a creare un wormhole, questo metterebbe in comunicazione presente, passato e futuro di uno stesso spazio in una distanza di 33 anni esatti, poiché tanto dura un ciclo che riporta Sole, Terra e Luna a essere nuovamente allineati allo stesso modo. In questo tempo distorto la relazione di causa-effetto subirebbe un brusco cambio, poiché il futuro potrebbe influenzare il passato esattamente come il passato normalmente influenza il futuro.
Ecco dunque che nel 1986, a seguito di un non meglio specificato incidente alla centrale nucleare, una serie di grotte sotto Winden diventano un passaggio nel tempo che unisce 1953, 1986 e 2019. Ovviamente c’è chi ne approfitta compiendo crimini efferati per poi dileguarsi, e chi sfrutta la possibilità per cercare di cambiare il passato.
Per quanto mi riguarda ho trovato questa serie davvero molto difficile da seguire e generalmente priva di un’anima definita. I viaggi nel tempo, che sembrano così importanti a livello di trama, sono trattati in maniera poco originale e per nulla ispirata, nascondendo dietro un velo di misterioso “non detto” riflessioni che chiunque abbia letto o visto opere che parlano degli stessi temi sarebbe in grado di riconoscere come scontate e prevedibili. Inoltre l’assenza di un antagonista forte, che c’è ma si vede poco, si percepisce molto, e in definitiva, per quanto tenti di spiegarlo, non si capisce esattamente cosa voglia e quanto sia effettivamente pericoloso. In più, le dinamiche umane e paesane che portano spesso a deliberati atti di crudeltà o di repressione sono soffocate da un numero spropositato di personaggi, alcuni anche moltiplicati nelle varie linee temporali, che non permettono un’adeguata indagine, né danno il tempo in quasi tutti i casi di provare empatia per qualcuno. Forse da questa logica si salvano solo un paio dei personaggi adulti del 2019, su cui spicca Ulrich (interpretato dal grande Oliver Masucci), che hanno nelle loro controparti adolescenti la possibilità di acquistare spessore. In genere, però, è difficile tenere il filo di tutte le piccole storie che si intrecciano.
Le performance degli attori non convincono, né tantomeno quelle dei doppiatori, così come molte scenografie in interni e molti costumi sembrano essere usciti pari pari da una modesta produzione televisiva nostrana, nonostante alcune riprese in esterno siano davvero magnifiche. Da segnalare in positivo la colonna sonora, molto presente, ma sempre in grado di trasmettere ansia e inquietudine anche nei momenti più deboli della storia.
Insomma, a mio modesto parere Dark promette molto, si ammanta di una pesante riflessione filosofica, e vuole spesso strafare, ma pare essere minato alla base da una grave mancanza di interesse da parte degli autori nei confronti della materia trattata, come se qualcuno avesse obbligato regista e sceneggiatori a raccontare di una storia nella quale in realtà non hanno interesse. E loro ci provano, e si vede, ma in definitiva non riescono a trovare un nucleo narrativo che valga davvero la pena di essere sviluppato.
–Simone Formicola–
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Dark: la recensione della nuova serie tv Netflix
Simone Formicola
- Ottima colonna sonora;
- Splendidi alcuni scorci della Germiania;
- Nulla di nuovo sul tema dei viaggi nel tempo;
- Diverse imprecisioni al livello di trama;
- Il ritmo della narrazione è piuttosto lento;